L'articolo seguente spiega con chiarezza la ragione per cui la cosiddetta "sinistra" PD è ancor meno credibile di Renzi.
Il premier è figlio (legittimo) di D’Alema e Bersani
Renzi pensa, parla, agisce come un politico di destra? Può darsi, in
molti casi è evidente, ma le domande a questo punto diventano altre
e sono più impegnative: com’è possibile che un politico così abbia
“espugnato” senza grande difficoltà il Pd e oggi goda di un consenso
largamente maggioritario nell’elettorato che si sente di
sinistra e che ha sempre votato a sinistra? Dipende solo dalle sue
doti obiettivamente straordinarie di istrione e demagogo? Io non
credo, penso che se il Pd si sta trasformando nel partito personale
di Renzi perdendo molti connotati tradizionali di un partito “di
sinistra”, questo dipende da com’è stata la sinistra prima di lui.
Renzi, insomma, è figlio di D’Alema e di Bersani, nel senso che il suo
avvento è la conseguenza di una sinistra, della sinistra italiana
erede del Pci, che non ha mai fatto i conti con i propri ritardi,
i vizi, le anomalie rispetto a buona parte delle sinistre europee.
Una sinistra che da tempo non è più “contemporanea”: per questo si
è progressivamente allontanata dagli italiani, compresi tanti
che hanno continuato a votarla per abitudine o per mancanza di
alternative, e anche per questo Renzi l’ha “spianata”.
Non ha fatto i conti, la sinistra ex-Pci, con tre questioni su cui si
sono costruiti prima il suo declino e poi la sua definitiva sconfitta.
Una questione è squisitamente ideologica. Gli ex-Pci cambiarono
il nome subito dopo l’Ottantanove, quando peraltro la “cosa” già aveva
già pochissimo di comunista. Ma di quella storia hanno conservato
un abito mentale che è stato di grave ostacolo per la comprensione
dei cambiamenti del mondo e dell’Italia. Così, hanno continuato
a misurare il progresso secondo categorie antidiluviane che
separano struttura – il lavoro, la condizione materiale delle
persone — e sovrastruttura – la legalità, la cultura, l’ambiente,
la dimensione immateriale del benessere -, e a concepire
l’economia e lo sviluppo come un secolo fa: certo non più “soviet
e elettrificazione” ma comunque carbone (Ilva e dintorni),
asfalto, cemento.
Così, sono rimasti prigionieri dell’idea del primato della politica sulla società, e della convinzione di essere – loro élite politica
— migliori del popolo rozzo e ignorante che si fa infinocchiare da
Berlusconi o da Grillo; così, ancora, proprio in quanto ex-comunisti
hanno tentato di tutto per dimostrare di non esserlo più: dando prova
di una compiacenza sistematica verso interessi costituiti e poteri
forti, praticando una rigorosa astinenza da qualunque
radicalità si chiami patrimoniale o stop al consumo di suolo
o diritti degli omosessuali…
Una seconda questione è culturale. Oggi l’alfabeto politico della sinistra novecentesca è del tutto insufficiente a rappresentare i valori, i bisogni, gli interessi di chi si considera “di sinistra”. Fatica a integrare pienamente nel proprio discorso temi come l’ambiente che settori crescenti della società considerano centrali, non riesce a vedere che malgrado i drammi incombenti legati a disoccupazione e povertà sempre di meno le persone basano il proprio “essere sociale” prevalentemente sul lavoro.
In nessuno dei movimenti sociali e di opinione degli ultimi decenni ascrivibili a idealità di sinistra, il lavoro è stato l’elemento centrale: dall’ambientalismo al femminismo, dai no-global ai movimenti giovanili, dalle mobilitazioni per i diritti civili a quelle per i beni comuni. Il lavoro naturalmente conta tuttora moltissimo, conta tanto più in una stagione di drammatica crisi economica.
Da il manifesto del 30 ottobre 2014
Il tema proposto da Della Seta è indubbiamente centrale. La questione del lavoro è certamente decisiva per chi voglia affrontare una lotta seria contro il renzismo e la “emergenza democratica” che esso ha provocato. Così come lo è la questione dell'ambiente. La connessione tra queste due questioni è anzi la chiave di volta per riconnettere quelle che per semplicità chiamero’ la vecchia e la nuova sinistra: quella che abbiamo conosciuto e quella che vogliamo costruire. Ma porre quelle due questioni volendo effettivamente risolvere ( e non mitigare, addolcire, depeggiorare) significa recuperare la tensione che è la ragione stessa del “comunismo”: la tensione, e la prospettiva, del superamento del capitalismo. In particolare del capitalismo di oggi: quello che ha ormai esaurito ogni sua “forza propulsiva” ed è diventato meramente distruttivo. Hic Rhodus, hic salta, caro Roberto Della Seta.
RispondiEliminaPer chi si pone in questa prospettiva il declino e la definitive sconfitta della sinistra ex PCI inizia forse ben prima della rottura di Occhetto: nasce quando all’interno stesso del PCI la visione di Enrico Berlinguer fu sconfitta, e la grande proposta strategica del “compromesso storico” fu immiserita riducendola al rango di una intesa di potere tra quel PCI, ormai disideologizzato, e quella DC, opportunamente privata della leadership di Aldo Moro. E forse è anche utile sottolineare - visto che, seguendo Della Seta, abbiamo ricordato la “cosa” di Occhetto - che il primo successore del PCI, il PDS, aveva tra i suoi obiettivi strategici la “riconversione ecologica dell’economia”, che evocava una trasformazione radicale del sistema economico sociale, rapidamente degenerate in “green economy”.