Ripropongo la recensione di un libro di Roberto Ampuero pubblicata sull'ultimo INDICE DEI LIBRI DEL MESE:
L’ultimo Tango di Salvador Allende
Roberto
Ampuero è uno degli scrittori cileni più letti in Italia, eppure sfugge di
solito all'attenzione dei critici e soprattutto dei celebratori della cultura
latinoamericana. Non incarna il luogo comune dell'intellettuale del sud del
mondo, non abita le regioni del realismo magico e non fa (più) parte della
galassia della sinistra locale. Non ha mai evitato di confrontarsi con la
storia del suo continente, anche quando mostrava la sua faccia più controversa,
ma sempre con l'amareggiato disincanto del protagonista di tanti suoi libri, il
detective Cayetano Brulé, e con lo scetticismo guadagnato nel corso della vita.
È stato membro del partito comunista cileno, esiliato in Germania dell'Est e
poi a Cuba, aderendo all'inizio con entusiasmo alla rivoluzione castrista. In
seguito, tuttavia, ha preso le distanze dal regime dell'Avana e da tutto il
movimento marxista latinoamericano, finendo per diventare ambasciatore e poi
ministro della cultura del governo di centrodestra di Piñera. È significativo
perciò che proprio Ampuero racconti gli ultimi giorni di vita di Salvador
Allende, l'uomo assurto a rappresentare il canone del politico democratico di
sinistra martire delle dittature militari e di estrema destra degli anni
settanta. Quello di Pinochet dell'11 settembre 1973 è rimasto in fondo il golpe
per eccellenza, sineddoche di una tragedia collettiva che avvolge due decenni,
l'America Latina e la coscienza civile mondiale. Ampuero racconta questa
tragedia frammentando la narrazione in due piani temporali e attingendo molto
dalla sua autobiografia. Nel 2008 l'agente della CIA in pensione David Kurtz,
già in servizio a Santiago negli anni a cavallo del golpe e in seguito in
Germania dell'Est, torna in Cile per adempiere l'ultimo desiderio della figlia
morta di cancro: ritrovare il fidanzato dell'università, un amore di cui il
padre non sapeva nulla, e restituirgli un diario di difficile decifrazione,
scritto a matita dall'enigmatico Héctor Aníbal. Trentacinque anni prima, tra il
1972 e il 1973, Rufino, umile panettiere di Santiago, si riavvicina
sorprendentemente al presidente Allende, che aveva conosciuto quando entrambi,
poco più che ragazzi, studiavano teoria politica nel negozio del calzolaio
italiano Demarchi, attivista anarchico. Le memorie del panettiere cileno si
alternano alla ricerca dell'ex agente americano, fino a confluire forse proprio
nelle pagine di quel misterioso diario. La ricostruzione di un testo scritto è
da sempre parente stretta del lavoro di una spia: in entrambi i casi ci si
affida all'esegesi delle parole, chiedendo loro di rivelarci più di quel che
l'autore voleva dire. Involontario critico letterario, Kurtz ripercorre
dolorosamente le sue vicende private e familiari insieme alla storia del paese
che – come ripete con amarezza – ha contribuito a mandare in rovina. Quel che
ne emerge è tuttavia sorprendente, specie per il lettore italiano, se si pensa
che a scriverlo è un cileno che aveva creduto nel socialismo e che è passato
attraverso l'esperienza drammatica dell'esilio: pur senza revocare mai in alcun
modo il giudizio di condanna nei confronti di Pinochet e degli orrori di cui si
è macchiato, Ampuero riflette apertamente e senza pregiudizi sui gravi errori
commessi dal governo di Allende, soprattutto nella programmazione economica e
nel suo abbraccio mortale con la rivoluzione cubana e con l'influenza
sovietica. L'umile panettiere riesce a vedere nella realtà quotidiana quello
che sfugge ad Allende, ostaggio della sua autoreclusione nei palazzi del
potere: le code della gente per il pane, le stesse che Rufino ha visto quando
ha accompagnato il presidente a Mosca e all'Avana, non possono essere un caso,
non possono dipendere soltanto da presunti complotti dei capitalisti, sono
invece intrinseche alla costruzione di un modello di società che cancella
l'individuo e ne reprime sogni e progetti. Disperato, il panettiere scongiura
il vecchio di aprire gli occhi e smettere di piegare il paese reale alle linee
astratte della dottrina politica. Ne viene fuori un ritratto di Allende non più
come l'eroe senza macchia della leggenda popolare, ma con tutte le debolezze
dell'uomo: onesto e sincero, ma anche debole, insicuro, incapace di leggere
fino in fondo la tragedia e i bisogni del proprio popolo. Naturalmente è solo
letteratura, non storiografia. Il diario di Héctor Aníbal non esiste, né vi
sono altre prove documentali a sostegno di quanto Ampuero fa dire ai suoi
personaggi.
È però il racconto di un intellettuale che quelle
vicende le ha vissute in prima persona, dalla
parte giusta della barricata, e che oggi può permettersi il lusso di
parlarne senza complessi e falsi pudori, in un romanzo che una volta chiuso ci
lascia con una punta di sgomento, e soprattutto con la voglia di
riaprirlo.
Silvio
Mignano
Da L'Indice
dei libri del mese – ottobre 2014
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