27 ottobre 2014

IO STO CON LA SPOSA


Ieri sera - nel Centro Santa Chiara di Palermo, uno dei primi luoghi di accoglienza della città per gli immigrati provenienti da tutto il mondo - ho visto un film bellissimo che mi ha ricordato tanto Le poesie dell'emigrazione  di Stefano Vilardo che ha saputo raccontare per primo, in modo poetico ma senza alcuna retorica, la storia dell'emigrazione siciliana degli anni sessanta in Germania,  quando clandestini erano i nostri padri. (Vedi in questo stesso blog http://cesim-marineo.blogspot.it/2011/12/tutti-dicono-germania-germania.html

Sulle tracce del vecchio passo della morte

Un poeta palestinese siriano e un giornalista italiano incontrano a Milano cinque palestinesi e siriani sbarcati a Lampedusa in fuga dalla guerra, e decidono di aiutarli a proseguire il loro viaggio clandestino verso la Svezia. Per evitare di essere arrestati come contrabbandieri però, decidono di mettere in scena un finto matrimonio coinvolgendo un'amica palestinese che si travestirà da sposa, e una decina di amici italiani e siriani che si travestiranno da invitati. Così mascherati, attraverseranno mezza Europa, in un viaggio di quattro giorni e tremila chilometri. Un viaggio carico di emozioni che oltre a raccontare le storie e i sogni dei cinque palestinesi e siriani in fuga e dei loro speciali contrabbandieri, mostra un'Europa sconosciuta. Un'Europa transnazionale, solidale e goliardica che riesce a farsi beffa delle leggi e dei controlli della Fortezza con una mascherata che ha dell'incredibile, ma che altro non è che il racconto in presa diretta di una storia realmente accaduta sulla strada da Milano a Stoccolma tra il 14 e il 18 novembre 2013.

 Un film documentario ma anche un'azione politica, una storia reale ma anche fantastica. "Io sto con la sposa" è tutte queste cose insieme. E questo suo carattere ibrido ha dettato fin dall'inizio delle scelte precise. A partire dal trattamento del film. Non abbiamo scritto dialoghi né personaggi, ma abbiamo organizzato il viaggio ragionando per scene. Abbiamo cioè immaginato delle situazioni all'interno delle quali far muovere liberamente i nostri personaggi, ormai abituati alla presenza delle telecamere. Tuttavia le riprese hanno sempre dovuto mediare con le esigenze dell'azione politica. Perché in Svezia ci dovevamo arrivare per davvero, non tanto per fare un film. E dovevamo arrivarci nel più breve tempo possibile. Questo ovviamente ha comportato ritmi di lavoro durissimi: dodici ore di macchina al giorno, le scene da filmare, i file da scaricare e quando andava bene tre ore di sonno a notte. Se la troupe non ci ha piantato il primo giorno, è stato per il clima che si è creato.
Condividere un grande rischio e un grande sogno, ci ha inevitabilmente unito. E quell'esperienza ha inevitabilmente cambiato il nostro sguardo sulla realtà, aiutandoci anche nella ricerca di una nuova estetica della frontiera. Di un linguaggio cioè che, senza cadere nel vittimismo, sia capace di trasformare i mostri delle nostre paure negli eroi dei nostri sogni, il brutto in bello, i numeri in nomi propri.


Dalle note di Regia tratte da http://www.iostoconlasposa.com/






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