Per decenni si è
parlato dell'Italia come un paese a sovranità limitata. Un'analisi
corretta, ma si guardava solo verso gli Stati
Uniti. Oggi, che ormai di storia si tratta e non più di politica, si
inizia anche a analizzare il ruolo svolto dal “blocco sovietico”
nel condizionamento della politica italiana.
Simonetta Fiori
Le vite degli altri
(italiani) spiati dalla Stasi
«Devo
ammetterlo, sono rimasto sorpreso: centinaia e centinaia di carte
segrete sull’Italia. Il faldone che mi sono trovato davanti era
impressionante: il più spregiudicato servizio segreto comunista ha
spiato il nostro paese per decenni, specie tra i Sessanta e gli
Ottanta. Ne ha seguito meticolosamente le crisi e gli scandali, le
relazioni con gli altri Stati, il potenziale delle forze armate e la
qualità della ricerca scientifica ». Da tempo Gianluca Falanga
collabora a Berlino con il museo della Stasi, il “ministero della
paranoia” a cui ha dedicato due anni fa un saggio molto documentato
(Carocci) . Ora s’è preso la briga di andare a studiare le
informative che ci riguardano tra le migliaia di tabulati estratti
dal cervellone del Sira, ossia le banche dati dell’intelligence
della Germania Orientale. Il risultato di queste ricerche è in un
libro in uscita sempre da Carocci, Spie dall’Est, la prima indagine
sugli agenti della Ddr nella penisola.
La documentazione ovviamente è parziale. «Alla caduta del Muro autentici “gruppi di macerazione” polverizzarono oltre il 90 per cento dell’archivio cartaceo, tutti i nastri magnetici e migliaia di file. Però nella confusione qualcosa è sfuggita di mano. E una copia di back-up con sezioni dell’archivio informatico è stata ritrovata a sud di Berlino. È su quei documenti che ho lavorato per oltre un anno».
Ma perché si sorprende dell’attenzione della Stasi all’Italia? Da noi esisteva il più grande partito comunista d’Occidente.
«Certo, ma all’interno
del patto di Varsavia la vigilanza sull’Italia era di competenza di
altri paesi. E invece ho trovato relazioni dettagliate sul sistema
politico, sulla dialettica tra le correnti dei partiti, sull’economia
pubblica e privata, e naturalmente sul Pci. Lo spionaggio era
funzionale sia alle strategie nazionali di Berlino Est, specie sul
versante commerciale, sia agli interessi degli “amici” ossia il
Kgb sovietico. Non a caso la vigilanza della Stasi cresce
eccezionalmente nel periodo tra il 1975 e il 1978, segnato
dall’avanzata elettorale di Berlinguer ».
Non sembra che gli agenti della Ddr ne siano troppo contenti.
«Erich Honecker, leader
del Partito socialista, e Berlinguer erano molto diversi. Il primo
condannava ogni forma di comunismo lontana da quella so- vietica,
mentre Berlinguer era “un sardo ascetico di origini aristocratiche”
— così si legge in un appunto della Stasi — che suscita molta
diffidenza a Mosca per la sua “volontà autonomistica”. In tal
senso sono molto interessanti le carte conservate nell’archivio del
Sed, il partito-Stato di Honecker, presso il Bundesarchiv di
Coblenza. Lì ho trovato una serie di colloqui inediti in Italia tra
Hermann Axen, responsabile delle relazioni internazionali del Sed, e
il suo omologo sovietico Boris Ponomarev, insieme al vice Zagladin.
Questi dialoghi, intercorsi tra il 1973 e il 1978, aprono uno
squarcio su ciò che si muoveva a Mosca e a Berlino nei confronti del
compromesso storico e dell’evoluzione eretica del Pci».
Erich Honecker |
Che cosa emerge?
«Il blocco comunista si
trovò spiazzato di fronte all’ascesa del Pci. La ferma volontà di
Enrico Berlinguer di non forzare l’ordine democratico rendeva il
Pci un pericolo per l’egemonia sovietica. Il malumore è evidente
sin dal febbraio del 1973 quando Ponomarev si lamenta con Axen perché
i compagni italiani non sono disposti alla lotta armata. “L’Italia
è una polveriera pronta ad esplodere da un momento all’altro”,
si legge nell’appunto, “e il partito deve preparare il popolo a
una tale evenienza. Il compagno Pajetta ha chiesto al Pcus se il Pci
deve acquistare le armi. La risposta del Pcus è stata che la classe
operaia deve avere sempre chiare tutte le forme di lotta possibili”.
I sovietici premono sul Pci agitando il fantasma golpista e
neofascista. Ma lamentano che i compagni italiani non vedano alcun
serio politico nell’immediato».
Nel settembre di quello stesso anno Berlinguer propone la strategia del compromesso storico.
«Una formula guardata da
Mosca con grandissimo sospetto. In una conversazione del 20 ottobre
del 1976 Ponomarev ribadisce la sua avversione: “I compagni
italiani non vogliono capire che non si può restare sempre sulla
difensiva. Anche se v’è l’opportunità di una via pacifica, ogni
partito comunista deve essere sempre pronto alla lotta armata”.
Concetto riaffermato con forza in un colloquio con Zagladin: “Un
partito comunista deve essere sempre pronto a violare i limiti della
democrazia borghese”. E nel giugno del 1977, in un nuovo incontro
con Axen a Praga, Ponomarev ha modo di tornare sugli “errori” del
Pci».
Una tensione destinata a crescere nell’autunno di quello stesso anno.
«Sì, proprio da una
tribuna moscovita, per il sessantesimo anniversario della rivoluzione
bolscevica, Berlinguer tesse l’elogio della democrazia. Ponomarev
non si limita ad abbandonare la sala, ma medita qualcosa di più
serio. In un appunto inedito del gennaio del 1978 confida ad Axen che
il Pcus ha esaurito la pazienza e che era venuto il momento di
richiamare agli ordini il Pci. La posta in gio- co era troppo alta
per permettere a un partito tanto influente di assumere una politica
ormai apertamente antisovietica. “Il compagno Ponomarev”, si
legge nella nota, “ci ha informato che il comitato centrale del
Pcus ha confermato la definizione di un piano speciale di misure
contro l’eurocomunismo”. Non sappiamo quale fu il seguito.
Eravamo alla vigilia del sequestro Moro, che avrebbe definitivamente
seppellito il compromesso storico».
Sulle Brigate Rosse emergono novità?
«Esiste un’abbondante
documentazione, soprattutto all’indomani del rapimento del leader
democristiano. Ma in queste carte manca una prova o anche un solo
indizio che dimostri una frequentazione tra i servizi e le Br. È
molto interessante un appunto che risale al 1980. L’antiterrorismo
della Stasi, una struttura ambigua che infiltrava le organizzazioni
di lotta armata, mette all’ordine del giorno il proposito di
entrare in contatto con le Br. Pochi mesi dopo avrebbe individuato
nella moglie del brigatista milanese Piero Morlacchi, la tedesca
Heidi Peusch, il potenziale informatore nell’organizzazione armata.
Ma il partito vieta di reclutarla all’interno della Germania Est.
Le carte si fermano qui».
Un altro capitolo controverso è quello relativo al terrorismo altoatesino.
«La Stasi era
interessata a tenere vivo il focolaio di violenza che pesava sulle
relazioni tra Roma e Bonn. Un fascicolo interessante è quello
dedicato al neonazista Peter Weinmann, dal 1982 a libro paga della
Stasi ma già agente dei servizi tedeschi dell’Ovest e dal 1976
confidente della Digos italiana in Alto Adige. I documenti sono
gravemente menomati dagli omissis. Fatto sta che tra il 1986 e il
1988 il terrorismo altoatesino conobbe una sanguinosissima ripresa
con attentati dinamitardi più simili a quelli che accadevano a
Berlino Ovest — dietro i quali c’era la Stasi — che a quelli
tradizionali dei gruppi altoatesini. Con la caduta del Muro il
fenomeno si esaurì all’improvviso».
Chi erano le spie italiane al servizio della Stasi?
«Questo è più
difficile da ricostruire. Il potente servizio segreto aveva
confidenti ovunque, a Botteghe Oscure ma anche nel Psi e nella Dc,
nelle amministrazioni delle banche e delle grandi imprese pubbliche.
Confidenti non sempre consapevoli. La spia italiana più importante è
“Optik”, che da Bologna offre un’enorme quantità di
informative sulla sicurezza militare. Un ingegnere o comunque un
esperto del settore ».
E gli 007 tedeschi attivi in Italia?
«Il caso più
spettacolare è quello dell’agente Mungo, alias Ingolf Hähnel, un
pluridecorato tenente colonnello dell’intelligence che nel 1977
riesce a infilarsi dappertutto, presso la segreteria di Stato
vaticana dove incontra Angelo Sodano e dentro Botteghe Oscure, dove
può contare su un dirigente che avrebbe accompagnato Berlinguer nel
viaggio in Ungheria e in Jugoslavia. Ovviamente il grosso delle spie
agiva presso l’ambasciata italiana a Berlino Est. La missione
diplomatica italiana era tenuta sott’occhio da un esercito di
segretarie, donne delle pulizie, dame di compagnia, autisti,
giardinieri e interpreti. Specialmente negli anni Ottanta il regime
di Honecker temeva che gli italiani aiutassero i tedeschi orientali a
fuggire oppure che intrattenessero rapporti con i dissidenti».
Tra i “sorvegliati speciali” figura anche Lucio Lombardo Radice.
«Sì, la vigilanza sul
matematico risale agli anni Sessanta, dopo la sua protesta pubblicata
sull’ Unità per la cacciata dall’Università di Humboldt del
fisico dissidente Robert Havemann. Fu bollato dalla Stasi come “un
elemento borghese”, rimasto legato alla sua classe di appartenenza
nonostante la militanza comunista. E quando nel 1982 morì Havemann,
il regime vietò a Lombardo Radice l’ingresso nella Ddr».
La Repubblica - 6 ottobre 2014
Gianluca Falanga
Spie dall’Est
Carocci, 2014
euro 19
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