Un libro riapre il
caso della morte di Pietro Tresso, compagno di Gramsci e Bordiga,
militante trotskista scomparso misteriosamente in Francia durante
l'occupazione nazista. Secondo Silone assassinato da partigiani
comunisti su ordine di Togliatti.
Massimo Novelli
L’ultimo segreto
del partigiano chiamato Blasco
Pietro Tresso (1893- 1943) fu tra i fondatori del Pcd’I ma fu espulso dal partito per le sue simpatie trotskiste dopo la svolta stalinista
Chi uccise Pietro Tresso? Fu un ordine di Stalin o furono i fascisti? Nato nel 1893 a Magrè di Schio (Vicenza), Tresso fu uno dei fondatori del Partito Comunista d’Italia con Antonio Gramsci e Amadeo Bordiga. Negli anni Trenta, in rotta di collisione con il Pcd’I e con l’Unione Sovietica di Stalin, divenne in Francia uno dei più autorevoli rappresentanti della sinistra comunista e del movimento trotskista della IV Internazionale. A lungo reticenze e silenzi hanno occultato la verità sulla morte, avvenuta, a quanto pare, nell’ottobre del 1943 tra le montagne dell’Alta Loira, che “Blasco”, il suo nome di battaglia, aveva raggiunto con un gruppo di partigiani dopo essere evaso da un carcere del regime di Vichy.
Nel dopoguerra si
cominciò a ipotizzare che a ucciderlo fossero stati dei maquisard
italiani o francesi, probabilmente su ordine di Mosca e forse per
volere di Palmiro Togliatti. Ignazio Silone, compagno della sorella
della donna di Tresso, fu tra i primi a denunciarlo. La
pubblicazione del volume Meurtres au maquis dello storico Pierre
Broué, biografo di Trotsky, e di Raymond Vacheron, uscito negli
anni Novanta, ha reso assai credibile la pista che portava agli
assassini stalinisti.
Ora però il libro La tragedia di “ Blasco” del ricercatore storico piemontese Roberto Gremmo, edito da Storia Ribelle (pagg. 192, euro 20), riapre il caso: Tresso potrebbe essere caduto nell’aprile del 1944, sotto il piombo dei collaborazionisti di Vichy e dei nazisti.
L’autore ricostruisce
la vicenda sulla base di alcune testimonianze poco note o inedite.
In particolare quella del pastore protestante Daniel Besson, che
all’epoca dei fatti si trovava nell’altipiano del Velay, la
zona in cui Blasco aveva trovato rifugio.
Il pasteur parlò di
Tresso durante un convegno sulla Resistenza nel 1992 un anno prima
della sua morte. Affermò che il trotskista italiano molto
verosimilmente era stato massacrato, insieme ad altri maquisard ,
dai fascisti e dai tedeschi. Sostenne inoltre che sul cippo eretto
lassù, in memoria dei partigiani uccisi nell’aprile del ‘44,
al posto di un certo Zowoik Fèlix, indicato come vittima
dall’identità incerta, avrebbe dovuto esserci il nome di Blasco.
Le cose sono andate veramente così?
La versione non
convince Roberto Massari, editore e scrittore, a lungo militante
dei gruppi della IV Internazionale e amico di Alfonso Leonetti,
un’altra grande figura di comunista eretico che non aveva dubbi
sulla matrice stalinista della morte di Tresso, come non li ebbe
Pia Carena, la sua compagna, già collaboratrice di Gramsci a
L’Ordine Nuovo.
Spiega Massari: «Mi
pare che la testimonianza del pastore Besson, che dovrebbe
sorreggere il tutto, non valga granché, soprattutto perché è
frutto di un sentito dire, ed è arrivata, peraltro, quasi
cinquant’anni le tragiche vicende.». Il ricercatore piemontese
replica: «Non ho tesi preconcette o verità assolute. Mi sono
soltanto imbattuto in alcune testimonianze, non solo quella del
pastore, che andavano fatte conoscere. Sulla tragedia di Blasco, in
ogni caso, metto sempre diversi punti interrogativi».
La Repubblica – 13
ottobre 2014
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