«Storia del
monachesimo medievale» di Anna Rapetti per Il Mulino. Dai primi
eremiti alla ricerca medievale di una «autentica» spiritualità
Marina Montesano
I monaci della vita in
comune
Nel mondo tardoantico,
la religione cristiana si era sviluppata nella
continua dialettica fra due aspirazioni:
da una parte quella alla fuga dal mondo per rifugiarsi nel
pensiero d’una parola divina che insegnava a disprezzare
i beni terreni e soprattutto il potere e la
ricchezza; dall’altra quella all’amore del prossimo,
alla carità, che invece induceva a impegnarsi nella
vita di quaggiù. Espressione di questo impegno,
nei primi secoli, erano stati i martiri, i quali
avevano offerto la loro vita per essere i testimoni
del Cristo e quindi salvare la vita eterna dei
fratelli.
Espressione
dell’istanza di negazione della vita terrena furono
invece i cosiddetti «monaci» i quali, in forme
differenti, accettarono di volger le spalle
alle lusinghe e ai piaceri del mondo – fu questo
il loro cosiddetto «martirio incruento» – per
darsi alla contemplazione. Monaco è parola
derivante dal grecomonos, «solo», cioè «solitario».
Il fenomeno della ricerca della solitudine non è nuovo
nella storia di parecchie comunità religiose
o sette filosofiche: induismo e buddhismo
hanno, ad esempio, entrambi una lunga e illustre
tradizione monastica.
Anna Rapetti, nel suo Storia del monachesimo medievale, ricostruisce l’affascinante e complessa storia di questo fenomeno in volume agile e allo stesso tempo articolato. All’origine, il monachesimo è venuto dall’Oriente. Esso si è sviluppato anzitutto nell’Egitto del III secolo, dal quale si diffuse in Siria e in Palestina: si trattava di monachesimo «anacoretico», cioè eremitico, fatto di individui isolati che vivevano nel deserto dandosi alla preghiera, al digiuno e a pratiche ascetiche talora in apparenza strane. Alcuni anacoreti non abbandonavano del tutto le città, ma trovavano il modo d’isolarsi comunque dal consorzio sociale: famoso il caso degli stiliti, che passavano l’esistenza appollaiati su alte colonne.
La Chiesa non vedeva
tuttavia di buon occhio queste esperienze, che
inasprivano i rapporti fra cristianesimo
e società e davano spesso luogo a incontrollabili
deviazioni dottrinali o a stravaganze
comportamentali. Essa favorì per contro il
monachesimo sotto la forma detta «cenobitica»,
cioè comunitaria, il primo grande nodello della quale
si può considerare quello di san Pacomio
(292–346), che raccolse nel deserto della Tebaide (Alto
Egitto) una comunità di discepoli dei quali organizzò
la vita in comune attraverso una regola che ne stabiliva
le norme di comportamento tanto per la vita
spirituale quanto per le attività materiali
e pratiche. Un altro importante centro
monastico fu quello organizzato da san Basilio il
Grande (330ca.-370) in Cappadocia, nel centro
della penisola anatolica.
Ma al centro della Storia del monachesimo medievale vi è soprattutto lo sviluppo occidentale del movimento. Il carattere pratico, pragmatico, dell’esperienza cenobitica fu accolto in Occidente con maggior favore che non la tensione mistica sottesa all’anacoretismo. La società europea, specie dopo la rovina dell’impero, era sconvolta dalle incursioni barbariche, minacciata dalla guerra, attanagliata dalle crisi economiche; le città non erano più sicure, e anche nelle campagne si tendeva a vivere sempre più arroccati nelle villae, in fortezze-fattorie. V’era bisogno di riorganizzare non solo i ritmi dell’esistenza, ma anche la produzione. A tutto questo avrebbe provveduto il monachesimo benedettino, divenuto centrale nell’Europa carolingia.
Anna Rapetti presta altrettanta attenzione, però, agli sviluppi dei secoli centrali e tardi del medioevo, quando l’esperienza monastica divenne protagonista (grazie a Cluny e agli altri movimenti riformati pure usciti dal ramo benedettino) del rinnovamento del papato. In quest’epoca il cattolicesimo s’incontrava e spesso si scontrava con le istanze di partecipazione alla vita religiosa che il mondo laico cominciava ad esprimere in una pluralità di forme. Dinanzi al dissenso, anche il monachesimo dovette mutare, e profondamente: un mutamento espresso dagli Ordini mendicanti, francescani e domenicani, che spostarono con successo la loro azione dalle campagne alle città in fibrillazione.
Il volume riserva il giusto spazio ai movimenti femminili, pure importanti, e ad alcuni individui di spicco: da Abelardo ed Eloisa alla grande badessa tedesca Ildegarda di Bingen. Concludendo con una riflessione sulle sorti del monachesimo nell’autunno del medioevo, quando nuove forme di religiosità si faranno strada nella società europea.
Il Manifesto – 20
agosto 2014
Anna Rapetti
Storia del monachesimo medievale
il Mulino, 2014
22 euro
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