Un
libro di quasi 800 pagine, fatto per l'80 per cento di citazioni, che
tace sul silenzio di Bordiga negli anni del fascismo e tratta
superficialmente l'attività del dopoguerra.
Dino Erba
Le perversioni degli apprendisti
politologi
Bordiga, la politica, i bordighisti
(per non parlar di Lenin)
Ardua impresa mettere a
fuoco l’argomento che dà il titolo al libro! Sommerso com’è
dalla marea delle citazioni. Una scelta metodologica tipica delle
dissertazioni accademiche, in cui il candidato deve dimostrare ai
relatori di conoscere la materia. In questo caso, a mio avviso, è
stato un eccesso di zelo che rende farraginosa la lettura e,
soprattutto, annebbia una questione assai scottante: l’intervento
politico.
Intervento politico o
propaganda?
Gli autori sostengono la
tesi che il pensiero politico di Bordiga si inscriva in una corrente
che definiscono «radicalismo passivo» [p. 33] o «intransigentismo»
socialista, ecc. Sono espressioni ricorrenti nel libro, con le quali
si indica una tendenza del movimento operaio che, in Italia, fu
definita «massimalismo». Terminologia che, politicamente, designa
«estremismo a parole impotenza nei fatti». Giudizio per me
sbrigativo e che ho avuto occasione di criticare a proposito del
massimalismo[1].
Ciò non toglie che la
questione sollevata sia scottante e che, a mio avviso, non riguarda
solo il milieu «bordighista» (cui è appartenuto uno degli autori)
ma potrebbe riproporsi, in nuova veste e in un ambito ben più ampio,
via via che l’inasprimento dell’attuale crisi porrà all’ordine
del giorno un orientamento politico rivoluzionario. Il libro presenta
quindi lo spunto per definire alcuni criteri preliminari per poter
affrontare la questione dell’intervento politico.
Una notte i cui tutte le
vacche sono nere
Basile-Leni affrontano il
pensiero politico di Bordiga secondo criteri squisitamente
politologici. Poco o nulla dicono sui profondi mutamenti avvenuti
nella compagine economica e sociale, in Italia e nel mondo, nel corso
del Novecento. Sono mutamenti che hanno profondamente influito sul
pensiero politico e da cui non si può prescindere, senza incorrere
in distorsioni interpretative. Come infatti è avvenuto. In una notte
buia in cui tutte le vacche sono nere … è facile prendere
cantonate.
L’esordio politico di
Bordiga in seno alla Sinistra socialista italiana avvenne con
l’aggressione alla Libia e soprattutto durante la guerra quando,
alla riunione segreta di Firenze (18 novembre 1917)[2], egli assunse
una posizione che lo distingueva nettamente dal generico orientamento
riassunto nell’indicazione «Né aderire. Né sabotare».
Distinzione che gli autori svalutano, facendo un confronto arbitrario
con il «disfattismo rivoluzionario» di Lenin, nonché con la parola
d’ordine «trasformare la guerra imperialista in guerra civile»[3].
La questione è grossa, non si tratta solo di compulsare testi, bensì
di vedere in quali precise circostanze il disfattismo si manifestò
nei fatti e con quali conseguenze. In sintesi.
1. La Grande Guerra segnò
un salto di qualità nella «millenaria» storia delle guerre. Un
salto che è potuto avvenire solo in seguito allo sviluppo del modo
di produzione capitalistico. In precedenza, le guerre MAI avevano
assunto una simile estensione nel tempo, nello spazio e nella
compagine sociale. E quindi nella psicologia e nel pensiero politico
degli umani.
2. Il disfattismo si
manifestò soprattutto in Paesi con una forte presenza di contadini
in divisa, estranei a ogni sentimento patriottico, come l’Italia,
la Russia e l’Impero Austro Ungarico, in queste due aree la
situazione fu aggravata anche da tensioni etniche e politiche (lotta
contro l’autocrazia). Ammutinamenti si ebbero comunque anche in
Francia, in Germania e, meno, in Inghilterra. In Italia ci fu
Caporetto; in Russia la Rivoluzione, con la pace di Brest-Litovsk,
favorì la fine del conflitto. In realtà fu una parentesi in quella
che ormai si suole chiamare «Guerra dei Trent’anni».
3. Nel corso di questa
partentesi ventennale, furono ristabilite le condizioni per
riprendere il conflitto «interrotto». La condizione primaria fu
l’affasciamento-integrazione del proletariato che, durante la
Grande Guerra, aveva dato pericolosi segni di insubordinazione.
Affasciamento significa unità delle classi non tanto in nome della
Patria quanto dell’economia nazionale. L’affasciamento delle
classi e quindi l’integrazione del proletariato avvennero col
fascismo in Italia e in Germania, col New Deal negli Usa, con lo
stalinismo in Unione Sovietica. Ovviamente, con modalità differenti
in relazione alla struttura produttiva dei singoli Paesi, ma con un
esito convergente, il Welfare State, i cui frutti coltivati da
Mussolini-Roosevelt sarebbero pienamente sbocciati in Occidente (in
forma miserabile anche in Urss) dopo la Seconda guerra mondiale. E
dopo immani distruzioni e più di 50 milioni di morti.
Dei mutamenti avvenuti
nella struttura economico-sociale dei Paesi capitalisti[4], nelle 780
pagine di Basile-Leni non v’è traccia. Né tanto meno c’è una
riflessione in merito che echeggi la marxiana critica dell’economia
politica.
Paragoni impossibili
Senza spiegare le cause
intime della catastrofe bellica, Basile-Leni hanno facile gioco a
definire «radicalismo passivo» il bordighismo che, in quei
frangenti, non seppe costruire un’alternativa politica allo
stalinismo e alla guerra mondiale. Loro riferimento è il Lenin delle
Tesi di aprile che, nel 1917, si confrontava con una situazione
simile a quella italiana ma con alcune significative differenze e
che, nei decenni successivi, sarebbero cresciute a tal punto da non
consentire più paragoni. Né con l’Italia né con altri Paesi,
«sviluppati o sottosviluppati».
Da parte mia, ritengo che
se i bordighisti fecero errori, la causa furono i legami con un
passato che seppur criticato ha pesato a lungo nell’immaginario
collettivo dei rivoluzionari. Ancor oggi sono ricorrenti estemporanei
richiami all’Ottobre Rosso. Figuriamoci quando il ricordo della
Rivoluzione era ancora caldo! Sola eccezione fu la Sinistra comunista
tedesco-olandese, cui Basile-Leni significativamente non fanno
cenno[5].
Seppur con quel vincolo
«nostalgico», i bordighisti affrontarono e svilupparono studi che
hanno aperto sprazzi di luce sul presente ma in particolare sul
futuro «prossimo venturo», quello in cui stiamo vivendo e in cui
ritengo sia possibile, anzi doveroso, spezzare ogni vincolo
nostalgico con il passato. Un vincolo che quando si nuotava
controcorrente costringeva a trascinare un macigno. Non c’è da
stupirsi se qualcuno sia annegato. C’è da stupirsi, invece, che in
quelle condizioni «impossibili» siano state messe a punto
elaborazioni che toccano alla radice i lati più oscuri della recente
evoluzione del modo di produzione capitalistico: dalla «costruzione
del socialismo» alla devastazione ambientale.
A queste elaborazioni,
Basile-Leni dedicano un distratto accenno[6]. Ancora più sbrigativi
sono i loro riferimenti ai bordighisti di varia osservanza e spesso
assai critici col «maestro», da Pappalardi a Perrone, da Damen a
Camatte. Alcuni sono del tutto ignorati. Figuriamoci i «compagni di
strada» … Metodo che consente di sterilizzare l’argomento
affrontato, evitando imbarazzanti contaminazioni che potrebbero
pregiudicare gli assetti logici della tesi proposta.
Il tempo si è fermato a
Lenin
Nella visione politica di
Basile-Leni è costante il richiamo a Lenin. Come se il tempo si
fosse fermato. Una simile visione metafisica del leninismo è
ricorrente da parte dei politologi, tra cui Toni Negri e Slavoj
Žižek[7].
Ma costoro quale Lenin ci
spacciano? Il pensiero politico e teorico di Lenin fu assai duttile.
Di fronte all’evolversi delle situazioni Lenin elaborò scelte
tattiche ad hoc, ma sempre coerenti con la strategia bolscevica per
la rivoluzione in Russia. Strategia che egli avrebbe poi inculcata
indirettamente (ma non tanto) all’Inter-nazionale comunista sia
nella concezione del partito sia nella tattica quando, nell’estate
1921 al Terzo congresso, propose il fronte unico politico. Tattica
che aprì la porta all’involuzione politica dell’Internazionale;
sul carattere deleterio degli esiti che ne derivarono, Basile-Leni
sollevano obiezioni, facendone sostanzialmente un problema di errori
di applicazione.
Basile-Leni,
privilegiando d’emblée le virtù tattiche di Lenin, operano poi la
loro scelta «leninista», in rapporto a quanto sotto traccia (ma non
tanto) ci vogliono proporre. E qui casca l’asino.
Se il tatticismo
leninista dovrebbe servire per inserirsi nelle contraddizioni
borghesi, la via da seguire è poi indicata dal ricorrente e
prepotente richiamo alle questioni nazionali. Richiamo al quale
Bordiga sarebbe stato sempre sordo[8]. Giustamente, dico io!
Riesumare estemporanei nazionalismi europei ha solo conseguenze
reazionare, come si vide nel 1923 con la mano tesa di Karl Radek ai
nazionalisti tedeschi, contro il trattato di Versailles; iniziativa
che, sintomaticamente, Basile apprezza[9].
Azione politica o
politologia d’accatto?
Comunque sia,
l’intervento politico proposto da Basile-Leni priva il proletariato
di autonomia, riducendolo a massa di manovra. Per chi? Domanda
retorica e accademica al tempo stesso. La risposta è evidente: per
un ceto politico che, leninianamente, dovrebbe gestire la cosa
pubblica in nome del proletariato.
Le possibilità di tale
gestione maturarono nel corso del Novecento, quando sorsero i
partiti di massa nazional-comunisti e fascisti che ebbero il ruolo di
contribuire all’affasciamento-integrazione del proletariato nella
vita economica nazionale. Oggi, questa possibilità è
assolutamente fantasiosa, poiché la crisi economica ha avviato il
processo contrario, la disgregazione sociale, in cui il proletariato
si trova nelle condizioni di dover maturare una propria autonomia
politica, al di fuori e contro ogni possibile compatibilità con il
modo di produzione capitalistico, che non ha più nulla da offrire,
se non piombo.
Le premesse teoriche per
l’autonomia politica del proletariato sono state poste dal
bordighismo nel corso del Novecento, grazie a una critica impietosa
di ogni manifestazione politico-ideologica della società borghese.
Mentre, con tutte le loro pretese di intervento politico, Basile-Leni
non vedono ciò che avviene sotto i loro occhi e vanno a riesumare un
passato remoto di «piccole patrie»[10]. Miseria della politologia.
[1] Vedi Dino Erba:
Milano tra riformismo e massimalismo, Introduzione a Mirella
Mingardo, 1919 – 1923 Comunisti a Milano. La Sinistra comunista
milanese di Bruno Fortichiari e Luigi Repossi dalla formazione del
PCd’I all’ascesa del fascismo, Appendice: Profili biografici a
cura di Dino Erba, Quaderni di pagine marxiste, Milano, 2011. Nel mio
saggio, applico al massimalismo italiano il concetto di «ceti
emergenti» che Renzo De Felice elaborò per spiegare la genesi del
fascismo.
[2] Vedi le indicazioni
bibliografiche nel recente: Marco Rossi, Gli ammutinati delle
trincee. Dalla guerra di Libia al Primo conflitto mondiale 1911-1918,
Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2014, pp. 26 e n, 66n, 68n, 69.
[3] Vedi cap. 5,
«Zimmerwald» e il silenzio di Bordiga. Analisi dell’imperialismo
e «disfattismo rivoluzionario».
[4] I mutamenti
economico-sociali si ripercossero nelle tattiche belliche,
determinando il passaggio dalla guerra di posizione (trincea) alla
guerra di movimento (blitzkrieg), mutando anche le condizioni per il
disfattismo rivoluzionario.
[5] C’è un capzioso
riferimento a Karl Korsch [cap. 31, La lettera a Korsch] che,
tuttavia, rappresentò l’ultima apprezzabile ma parziale voce della
Sinistra comunista tedesco-olandese.
[6] Vedi, cap. 36: Il
lavoro di Bordiga fino al 1970 e il suo «testamento politico».
[7] Vedi: Toni Negri, La
fabbrica della strategia: 33 lezioni su Lenin, Collettivo editoriale
Librirossi, Padova, 1977 [nuova edizione: Manifestolibri, Roma,
2003]. Slavoj Žižek, Tredici volte Lenin. Per sovvertire il
fallimento del presente, Feltrinelli, Milano, 2003.
[8] I riferimenti
polemici all’atteggiamento di Bordiga sulla questione nazionale
sono ricorrenti, segnalo emblematicamente quelli relativi alla Grande
Guerra [p. 93 e ss.] e alla pace di Versailles [cap. 18, La lotta
contro il trattato di Versailles e l’impresa fiumana di
D’Annunzio].
[9] Ho già avuto modo di
replicare alla tesi pro Radek di Basile, vedi: Dino Erba, Ottobre
1917 – Wall Street 1929. La Sinistra comunista italiana tra
bolscevismo e radicalismo: la tendenza di Michelangelo Pappalardi,
Quaderni di Pagine Marxiste, Milano, 2010 (2a ed.), p. 7 e ss.
[10] Novello de Gaulle,
alcuni anni orsono Basile aveva proposto la creazione di «un
movimento popolare contro la politica atlantica», affermando: «Agire
contro i legami della grande borghesia europea con gli Stati Uniti e
con lo Stato di Israele […] è un obiettivo alto». Corrado
Basile, Appunti sulla sinistra comunista italiana, sull’«economicismo
imperialistico» e sulla questione dell’Europa, Graphos, Genova,
2005, p. 11.
Corrado
Basile–Alessandro Leni
Amadeo Bordiga
politico
Edizioni Colibrì,
2014
euro 32
Articolo tratto da http://cedocsv.blogspot.it/2015/02/amadeo-bordiga-politico.html
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