03 febbraio 2015

CHI SI RICORDA PIU' DI BORDIGA?



Un libro di quasi 800 pagine, fatto per l'80 per cento di citazioni, che tace sul silenzio di Bordiga negli anni del fascismo e tratta superficialmente l'attività del dopoguerra.

Dino Erba

Le perversioni degli apprendisti politologi
Bordiga, la politica, i bordighisti (per non parlar di Lenin)


Ardua impresa mettere a fuoco l’argomento che dà il titolo al libro! Sommerso com’è dalla marea delle citazioni. Una scelta metodologica tipica delle dissertazioni accademiche, in cui il candidato deve dimostrare ai relatori di conoscere la materia. In questo caso, a mio avviso, è stato un eccesso di zelo che rende farraginosa la lettura e, soprattutto, annebbia una questione assai scottante: l’intervento politico.

Intervento politico o propaganda?

Gli autori sostengono la tesi che il pensiero politico di Bordiga si inscriva in una corrente che definiscono «radicalismo passivo» [p. 33] o «intransigentismo» socialista, ecc. Sono espressioni ricorrenti nel libro, con le quali si indica una tendenza del movimento operaio che, in Italia, fu definita «massimalismo». Terminologia che, politicamente, designa «estremismo a parole impotenza nei fatti». Giudizio per me sbrigativo e che ho avuto occasione di criticare a proposito del massimalismo[1].

Ciò non toglie che la questione sollevata sia scottante e che, a mio avviso, non riguarda solo il milieu «bordighista» (cui è appartenuto uno degli autori) ma potrebbe riproporsi, in nuova veste e in un ambito ben più ampio, via via che l’inasprimento dell’attuale crisi porrà all’ordine del giorno un orientamento politico rivoluzionario. Il libro presenta quindi lo spunto per definire alcuni criteri preliminari per poter affrontare la questione dell’intervento politico.

Una notte i cui tutte le vacche sono nere

Basile-Leni affrontano il pensiero politico di Bordiga secondo criteri squisitamente politologici. Poco o nulla dicono sui profondi mutamenti avvenuti nella compagine economica e sociale, in Italia e nel mondo, nel corso del Novecento. Sono mutamenti che hanno profondamente influito sul pensiero politico e da cui non si può prescindere, senza incorrere in distorsioni interpretative. Come infatti è avvenuto. In una notte buia in cui tutte le vacche sono nere … è facile prendere cantonate.

L’esordio politico di Bordiga in seno alla Sinistra socialista italiana avvenne con l’aggressione alla Libia e soprattutto durante la guerra quando, alla riunione segreta di Firenze (18 novembre 1917)[2], egli assunse una posizione che lo distingueva nettamente dal generico orientamento riassunto nell’indicazione «Né aderire. Né sabotare». Distinzione che gli autori svalutano, facendo un confronto arbitrario con il «disfattismo rivoluzionario» di Lenin, nonché con la parola d’ordine «trasformare la guerra imperialista in guerra civile»[3]. La questione è grossa, non si tratta solo di compulsare testi, bensì di vedere in quali precise circostanze il disfattismo si manifestò nei fatti e con quali conseguenze. In sintesi.

1. La Grande Guerra segnò un salto di qualità nella «millenaria» storia delle guerre. Un salto che è potuto avvenire solo in seguito allo sviluppo del modo di produzione capitalistico. In precedenza, le guerre MAI avevano assunto una simile estensione nel tempo, nello spazio e nella compagine sociale. E quindi nella psicologia e nel pensiero politico degli umani.

2. Il disfattismo si manifestò soprattutto in Paesi con una forte presenza di contadini in divisa, estranei a ogni sentimento patriottico, come l’Italia, la Russia e l’Impero Austro Ungarico, in queste due aree la situazione fu aggravata anche da tensioni etniche e politiche (lotta contro l’autocrazia). Ammutinamenti si ebbero comunque anche in Francia, in Germania e, meno, in Inghilterra. In Italia ci fu Caporetto; in Russia la Rivoluzione, con la pace di Brest-Litovsk, favorì la fine del conflitto. In realtà fu una parentesi in quella che ormai si suole chiamare «Guerra dei Trent’anni».

3. Nel corso di questa partentesi ventennale, furono ristabilite le condizioni per riprendere il conflitto «interrotto». La condizione primaria fu l’affasciamento-integrazione del proletariato che, durante la Grande Guerra, aveva dato pericolosi segni di insubordinazione. Affasciamento significa unità delle classi non tanto in nome della Patria quanto dell’economia nazionale. L’affasciamento delle classi e quindi l’integrazione del proletariato avvennero col fascismo in Italia e in Germania, col New Deal negli Usa, con lo stalinismo in Unione Sovietica. Ovviamente, con modalità differenti in relazione alla struttura produttiva dei singoli Paesi, ma con un esito convergente, il Welfare State, i cui frutti coltivati da Mussolini-Roosevelt sarebbero pienamente sbocciati in Occidente (in forma miserabile anche in Urss) dopo la Seconda guerra mondiale. E dopo immani distruzioni e più di 50 milioni di morti.

Dei mutamenti avvenuti nella struttura economico-sociale dei Paesi capitalisti[4], nelle 780 pagine di Basile-Leni non v’è traccia. Né tanto meno c’è una riflessione in merito che echeggi la marxiana critica dell’economia politica.

Paragoni impossibili

Senza spiegare le cause intime della catastrofe bellica, Basile-Leni hanno facile gioco a definire «radicalismo passivo» il bordighismo che, in quei frangenti, non seppe costruire un’alternativa politica allo stalinismo e alla guerra mondiale. Loro riferimento è il Lenin delle Tesi di aprile che, nel 1917, si confrontava con una situazione simile a quella italiana ma con alcune significative differenze e che, nei decenni successivi, sarebbero cresciute a tal punto da non consentire più paragoni. Né con l’Italia né con altri Paesi, «sviluppati o sottosviluppati».

Da parte mia, ritengo che se i bordighisti fecero errori, la causa furono i legami con un passato che seppur criticato ha pesato a lungo nell’immaginario collettivo dei rivoluzionari. Ancor oggi sono ricorrenti estemporanei richiami all’Ottobre Rosso. Figuriamoci quando il ricordo della Rivoluzione era ancora caldo! Sola eccezione fu la Sinistra comunista tedesco-olandese, cui Basile-Leni significativamente non fanno cenno[5].

Seppur con quel vincolo «nostalgico», i bordighisti affrontarono e svilupparono studi che hanno aperto sprazzi di luce sul presente ma in particolare sul futuro «prossimo venturo», quello in cui stiamo vivendo e in cui ritengo sia possibile, anzi doveroso, spezzare ogni vincolo nostalgico con il passato. Un vincolo che quando si nuotava controcorrente costringeva a trascinare un macigno. Non c’è da stupirsi se qualcuno sia annegato. C’è da stupirsi, invece, che in quelle condizioni «impossibili» siano state messe a punto elaborazioni che toccano alla radice i lati più oscuri della recente evoluzione del modo di produzione capitalistico: dalla «costruzione del socialismo» alla devastazione ambientale.

A queste elaborazioni, Basile-Leni dedicano un distratto accenno[6]. Ancora più sbrigativi sono i loro riferimenti ai bordighisti di varia osservanza e spesso assai critici col «maestro», da Pappalardi a Perrone, da Damen a Camatte. Alcuni sono del tutto ignorati. Figuriamoci i «compagni di strada» … Metodo che consente di sterilizzare l’argomento affrontato, evitando imbarazzanti contaminazioni che potrebbero pregiudicare gli assetti logici della tesi proposta.

Il tempo si è fermato a Lenin

Nella visione politica di Basile-Leni è costante il richiamo a Lenin. Come se il tempo si fosse fermato. Una simile visione metafisica del leninismo è ricorrente da parte dei politologi, tra cui Toni Negri e Slavoj Žižek[7].

Ma costoro quale Lenin ci spacciano? Il pensiero politico e teorico di Lenin fu assai duttile. Di fronte all’evolversi delle situazioni Lenin elaborò scelte tattiche ad hoc, ma sempre coerenti con la strategia bolscevica per la rivoluzione in Russia. Strategia che egli avrebbe poi inculcata indirettamente (ma non tanto) all’Inter-nazionale comunista sia nella concezione del partito sia nella tattica quando, nell’estate 1921 al Terzo congresso, propose il fronte unico politico. Tattica che aprì la porta all’involuzione politica dell’Internazionale; sul carattere deleterio degli esiti che ne derivarono, Basile-Leni sollevano obiezioni, facendone sostanzialmente un problema di errori di applicazione.

Basile-Leni, privilegiando d’emblée le virtù tattiche di Lenin, operano poi la loro scelta «leninista», in rapporto a quanto sotto traccia (ma non tanto) ci vogliono proporre. E qui casca l’asino.

Se il tatticismo leninista dovrebbe servire per inserirsi nelle contraddizioni borghesi, la via da seguire è poi indicata dal ricorrente e prepotente richiamo alle questioni nazionali. Richiamo al quale Bordiga sarebbe stato sempre sordo[8]. Giustamente, dico io! Riesumare estemporanei nazionalismi europei ha solo conseguenze reazionare, come si vide nel 1923 con la mano tesa di Karl Radek ai nazionalisti tedeschi, contro il trattato di Versailles; iniziativa che, sintomaticamente, Basile apprezza[9].
Azione politica o politologia d’accatto?

Comunque sia, l’intervento politico proposto da Basile-Leni priva il proletariato di autonomia, riducendolo a massa di manovra. Per chi? Domanda retorica e accademica al tempo stesso. La risposta è evidente: per un ceto politico che, leninianamente, dovrebbe gestire la cosa pubblica in nome del proletariato.

Le possibilità di tale gestione  maturarono nel corso del Novecento, quando sorsero i partiti di massa nazional-comunisti e fascisti che ebbero il ruolo di contribuire all’affasciamento-integrazione del proletariato nella vita economica nazionale. Oggi, questa  possibilità è assolutamente fantasiosa, poiché la crisi economica ha avviato il processo contrario, la disgregazione sociale, in cui il proletariato si trova nelle condizioni di dover maturare una propria autonomia politica, al di fuori e contro ogni possibile compatibilità con il modo di produzione capitalistico, che non ha più nulla da offrire, se non piombo.

Le premesse teoriche per l’autonomia politica del proletariato sono state poste dal bordighismo nel corso del Novecento, grazie a una critica impietosa di ogni manifestazione politico-ideologica della società borghese. Mentre, con tutte le loro pretese di intervento politico, Basile-Leni non vedono ciò che avviene sotto i loro occhi e vanno a riesumare un passato remoto di «piccole patrie»[10]. Miseria della politologia.


[1] Vedi Dino Erba: Milano tra riformismo e massimalismo, Introduzione a Mirella Mingardo, 1919 – 1923 Comunisti a Milano. La Sinistra comunista milanese di Bruno Fortichiari e Luigi Repossi dalla formazione del PCd’I all’ascesa del fascismo, Appendice: Profili biografici a cura di Dino Erba, Quaderni di pagine marxiste, Milano, 2011. Nel mio saggio, applico al massimalismo italiano il concetto di «ceti emergenti» che Renzo De Felice elaborò per spiegare la genesi del fascismo.
[2] Vedi le indicazioni bibliografiche nel recente: Marco Rossi, Gli ammutinati delle trincee. Dalla guerra di Libia al Primo conflitto mondiale 1911-1918, Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2014, pp. 26 e n, 66n, 68n, 69.
[3] Vedi cap. 5, «Zimmerwald» e il silenzio di Bordiga. Analisi dell’imperialismo e «disfattismo rivoluzionario».
[4] I mutamenti economico-sociali si ripercossero nelle tattiche belliche, determinando il passaggio dalla guerra di posizione (trincea) alla guerra di movimento (blitzkrieg), mutando anche le condizioni per il  disfattismo rivoluzionario.
[5] C’è un capzioso riferimento a Karl Korsch [cap. 31, La lettera a Korsch] che, tuttavia, rappresentò l’ultima apprezzabile ma parziale voce della Sinistra comunista tedesco-olandese.
[6] Vedi, cap. 36: Il lavoro di Bordiga fino al 1970 e il suo «testamento politico».
[7] Vedi: Toni Negri, La fabbrica della strategia: 33 lezioni su Lenin, Collettivo editoriale Librirossi, Padova, 1977 [nuova edizione: Manifestolibri, Roma, 2003]. Slavoj Žižek, Tredici volte Lenin. Per sovvertire il fallimento del presente, Feltrinelli, Milano, 2003.
[8] I riferimenti polemici all’atteggiamento di Bordiga sulla questione nazionale sono ricorrenti, segnalo emblematicamente quelli relativi alla Grande Guerra [p. 93 e ss.] e alla pace di Versailles [cap. 18, La lotta contro il trattato di Versailles e l’impresa fiumana di D’Annunzio].
[9] Ho già avuto modo di replicare alla tesi pro Radek di Basile, vedi: Dino Erba, Ottobre 1917 – Wall Street 1929. La Sinistra comunista italiana tra bolscevismo e radicalismo: la tendenza di Michelangelo Pappalardi, Quaderni di Pagine Marxiste, Milano, 2010 (2a ed.), p. 7 e ss.
[10] Novello de Gaulle, alcuni anni orsono Basile aveva proposto la creazione di «un movimento popolare contro la politica atlantica», affermando: «Agire contro i legami della grande borghesia europea con gli Stati Uniti e con lo Stato di Israele  […] è un obiettivo alto». Corrado Basile, Appunti sulla sinistra comunista italiana, sull’«economicismo imperialistico» e sulla questione dell’Europa, Graphos, Genova, 2005, p. 11.


Corrado Basile–Alessandro Leni
Amadeo Bordiga politico
Edizioni Colibrì, 2014
euro 32


Articolo tratto da http://cedocsv.blogspot.it/2015/02/amadeo-bordiga-politico.html

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