Franco Venturi
(1914-1994) fu un grande studioso del Settecento. Nelle sue ricerche
egli portò lo stesso rigore che lo aveva contrassegnato nella
cospirazione antifascista e nella Resistenza. Un libro ne
ricostruisce vita e opera.
Massimo Firpo
Nel nome della
democrazia
Militante antifascista e studioso del Settecento e del socialismo premarxista russo: la parabola umana e scientifica dello storico ricostruita da Adriano Viarengo attraverso carte d’archivio
Settecento riformatore è il titolo della più celebre opera di Franco Venturi, pubblicata tra il 1969 e il 1990, in 5 volumi e 7 tomi, per un totale di oltre 4mila pagine: opera peraltro rimasta incompiuta a causa della morte del grande storico romano di nascita e torinese d’elezione, scomparso ottantenne nel 1994.
In essa era confluito il
lungo, intenso, appassionato studio dell’età dei Lumi che lo aveva
portato a diventare «uno dei più grandi storici del suo secolo»,
come ebbe a scrivere Bronislaw Baczko. Uno studio che era cominciato
sin dagli anni universitari a Parigi con gli importanti libri su La
jeunesse de Diderot (de 1713 à 1753) (1939) e Dalmazzo Francesco
Vasco (1732-1794) (1940), quest’ultimo nato come tesi di laurea,
che poté tuttavia essere discussa alla Sorbona solo nel ’46, a
guerra finita.
Figlio e nipote di due
grandi storici dell’arte quali Lionello e Adolfo Venturi, infatti,
all’inizio del ’32 – dopo aver sperimentato per qualche giorno
le carceri fasciste – il giovane Franco aveva dovuto seguire
nell’esilio francese suo padre, privato della cattedra torinese per
il rifiuto di giurare fedeltà al regime mussoliniano. Qui si era
subito legato a Giustizia e Libertà, ai fratelli Rosselli, a Gaetano
Salvemini, e aveva rinsaldato una duratura amicizia con Aldo Garosci,
che si sarebbe via via allargata ad altri esponenti della lotta
antifascista, fino all’occupazione nazista della Francia nel 1940.
Il fallimento del
tentativo di passare in Spagna per poi raggiungere la famiglia negli
Stati Uniti portò l’ancor giovanissimo studioso in una terribile
galera franchista (ricordo di averlo sentito evocare la straordinaria
astuzia dei pidocchi spagnoli, capaci di superare ogni difesa degli
sventurati prigionieri). Consegnato alla polizia italiana, riuscì a
evitare il tribunale speciale, ma fu mandato al confino in Lucania
per oltre due anni, fino al crollo del Fascismo, quando non tardò ad
assumere un ruolo politico di primissimo piano dapprima a Roma e poi
in Piemonte nella lotta di liberazione, a fianco di personaggi che
sarebbero stati i suoi amici più cari, come Giorgio Agosti, Sandro
Galante Garrone, Vittorio Foa.
Franco Venturi
Subito diventato con Leo
Valiani la testa pensante dell’azione giellista e poi del Partito
d’azione, fu un protagonista della Resistenza in Piemonte con il
nome partigiano di Nada (in ricordo della desolazione carceraria
spagnola), un instancabile organizzatore della stampa clandestina, un
inesauribile animatore e ideologo del movimento e del suo impegno per
una rivoluzione democratica.
Fu dunque nel cuore di una stagione drammatica, quella del dilagare del nazifascismo e poi degli orrori della guerra, che Franco Venturi sviluppò le sue prime ricerche, nutrite di fameliche letture anche nelle condizioni di vita più difficili, al punto di essere criticato come uno che talvolta «pensava solo a studiare e dimenticava che allora c’era da fare una rivoluzione».
In realtà furono anni di
cortocircuito permanente tra azione antifascista e riflessione
storica, tra studio del passato e progettualità politica, sempre
all’insegna di una cultura militante, che lo portò sin dal primo
momento a concentrare le sue ricerche sul Settecento, sulle origini
delle moderne idee di democrazia, libertà e socialismo per le quali
combatteva e che proprio in quei decenni sembravano conoscere
un’irrimediabile frattura.
Un Settecento europeo,
cosmopolita, esteso dalle Americhe alla Russia, animato da
contraddittorie ma feconde tensioni utopistiche e riformatrici
(Utopia e riforma nell’Illuminismo sarà il titolo di un suo
densissimo libro, frutto dalle Trevelyan lectures di Cambridge nel
1969), sfociato infine nella crisi rivoluzionaria dell’Antico
Regime.
Alquanto controvoglia nel 1950 Venturi sarebbe infine salito su una cattedra universitaria (a Cagliari, a Genova e infine dal ’57 a Torino), dopo essere stato per oltre due anni, tra il ’47 e il ’49 a Mosca, voluto da Manlio Brosio come addetto culturale dell’ambasciata, dove non tardò a sperimentare la difficoltà di allacciare autentici rapporti culturali con l’intelligencji a sovietica nel cupo tramonto dello stalinismo. Ma qui poté dedicarsi allo studio del socialismo premarxista in Russia, dai decabristi ai populisti, che la vittoria del bolscevismo aveva di fatto cancellato dalla memoria storica della rivoluzione.
Ne sarebbe scaturito il
grande libro sul Populismo russo, edito nel ’52, che avrebbe
assicurato all’autore una fama internazionale e lo avrebbe portato
a tenere corsi e lezioni nelle maggiori sedi universitarie del mondo
e a inaugurare un nuovo cantiere di lavoro in cui l’indagine
storica si intrecciava con la difesa della libertà anche attraverso
una fitta rete di relazioni personali. Alcuni dei suoi numerosi saggi
sulla storia presovietica sarebbero stati raccolti nel 1982 in un
volume dal significativo titolo di Studies in free Russia.
Il delicato passaggio dalla lotta antifascista all’Italia democristiana, l’Italia dei «preti», come usava dire, e il rapido esaurimento politico del Partito d’azione consentirono dunque a Venturi di tornare alla storia, di dedicare tutto il suo tempo agli studi, affiancati peraltro dall’intensa collaborazione con la casa editrice Einaudi (interrotta a causa della sua risentita presa di distanze dalla “contestazione” sessantottina) e dalla direzione della «Rivista storica italiana», trasmessagli da Federico Chabod nel 1959.
Studi ancora di ambito
francese in un primo tempo – Le origini dell’Encyclopédie
(1946), L’antichità svelata e l’idea di progresso in
Nicolas-Antoine Boulanger (1947), Jean Jaurés e altri storici della
Rivoluzione francese (1948) – ma poi concentratisi sul Settecento
italiano, a cominciare dalla monografia su Alberto Radicati di
Passerano (1954) e dalla ricchissima edizione di Dei delitti e delle
pene di Cesare Beccaria (1965), fino al tenace lavoro di scavo
confluito nei volumi dedicati agli illuministi della Letteratura
italiana edita da Ricciardi. Ne sarebbe infine scaturita la grande
sintesi ricordata in apertura, tutta fondata sul ruolo degli
intellettuali e del loro impegno politico, della loro continua
mediazione tra progetto e realtà, tra idee e azione.
Una vita coraggiosa, intensa, feconda, quella di Franco Venturi, e un lascito storiografico di cui permane viva la vitalità, la passione politica, la vigorosa energia – usando una parola a lui cara – con cui fu progettato e realizzato un programma di ricerche di straordinario spessore. Le solide e nitide pagine di Adriano Viarengo, per la prima volta basate sulle carte conservate nel ricchissimo archivio privato, ricostruiscono con chiarezza origini, contesti e sviluppi del percorso biografico e intellettuale di un protagonista della cultura italiana del secolo scorso.
Per parte mia, molto
sommessamente, considero un privilegio esserne stato allievo e aver
potuto fruire da vicino di quell’affascinante intreccio di
intelligenza, sapere, esperienza politica, robustezza di carattere,
rigore morale che contrassegnavano il lucido e partecipe sguardo sul
presente e sul passato di un uomo che anche nel settembre del 1940,
intrappolato nella Francia invasa dai nazisti, non esitava a dirsi
«plein d’espoir et de certitude».
il Sole 24 ore – 1 febbraio 2015
Adriano Viarengo
Franco Venturi,
politica e storia nel Novecento
Carocci, 2014
€ 25,50
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