Giulia con Delio e Giuliano Gramsci
"Penso che la nostra piú grande disgrazia è stata quella di essere stati insieme troppo poco" (Antonio Gramsci)
9 febbraio 1931
Carissima Giulia,
ho ricevuto la tua lettera
del 9 gennaio che incomincia cosí: «Quando penso di scrivere – ogni giorno –
penso a ciò che mi fa tacere, penso che la mia debolezza è nuova per te…». – E
anche io penso che ci sia stato un certo equivoco finora tra noi, proprio su
questa tua presente debolezza e sulla presunta tua forza anteriore e di questo
equivoco voglio prendermi almeno la maggior parte di responsabilità, che
realmente mi spetta. Una volta ti ho scritto (forse ricordi) che io ero
persuaso che tu sia sempre stata molto piú forte di quanto tu stessa non
pensassi, ma che mi repugnava quasi di insistere troppo su questo motivo perché
mi sembrava di essere come un negriero, dato che a te sono toccati i pesi piú
gravi della nostra unione. Penso ancora cosí, ma ciò non significava allora, né
significa oggi tanto meno, che mi fossi fatto di te un figurino di «donna
forte» convenzionale e astratto: sapevo che eri anche debole, che anzi eri
talvolta molto debole, che eri insomma una donna viva, che eri Iulca. Ma ho
molto pensato a tutte queste cose, da che sono in carcere e piú da qualche
tempo a questa parte. (Quando non si possono fare prospettive per l’avvenire,
si rimugina continuamente il passato, lo si analizza, si finisce col vederlo
meglio in tutti i suoi rapporti e si pensa specialmente a tutte le sciocchezze
commesse, ai propri atti di debolezza, a ciò che sarebbe stato meglio fare o
non fare e sarebbe stato doveroso fare o non fare). Cosí mi sono persuaso che,
a proposito della tua debolezza e forza, io ho commesso molte sciocchezze (cosí
mi sembrano ora) e le ho commesse per troppa tenerezza per te, che era sventataggine
da parte mia e che, in realtà, io che mi credevo abbastanza forte, ero
tutt’altro che forte, ero, anzi, indubbiamente, più debole di te. Cosí si è
creato questo equivoco, che ha avuto conseguenze molto gravi, se tu non mi hai
scritto, mentre avresti voluto scrivere, per non turbare il figurino che
credevi mi fossi formato della tua forza. Le esemplificazioni che dovrei dare
di queste mie affermazioni, hanno un contenuto che mi appare adesso cosí
ingenuo che a stento riesco io stesso a rappresentarmi le condizioni in cui mi
trovavo quando sentivo e operavo cosí ingenuamente; perciò non mi sento in
grado di scriverne di proposito. Del resto servirebbe a poco. Mi pare sia piú
importante stabilire ora tra noi rapporti normali, ottenere che tu non abbia a
sentire dei freni inibitori nello scrivermi, che non abbia a sentire quasi
repugnanza ad apparire diversa da quella che immagini io creda tu sia. Ti ho
detto che io sono persuaso tu sia molto piú forte di quanto tu stessa creda:
anche la tua ultima lettera mi conferma in questa persuasione. Pur nello stato
di depressione in cui ti trovi, di grave squilibrio psicofisico, hai conservato
una grande forza di volontà, un grande controllo di te stessa, e allora ciò
significa che lo squilibrio psicofisico è molto meno grande di quanto potrebbe
apparire e si limita, in realtà, a un aggravamento relativo di condizioni che
nella tua personalità credo siano permanenti o almeno io le ho notate come
permanenti in quanto collegate con un ambiente sociale che permanentemente
domanda una tensione di volontà estremamente forte. Mi pare insomma che
presentemente tu sia ossessionata dal sentimento delle tue responsabilità, che
ti fa apparire le tue forze inadeguate ai doveri che vuoi compiere, ti disvia
la volontà e ti esaurisce fisicamente, ponendo tutta la tua vita attiva in un
circolo vizioso in cui realmente (se pure parzialmente) le forze bruciano senza
risultato, perché disordinatamente applicate. Ma mi pare che, nonostante tutto,
tu abbia conservato le forze sufficienti e la volontà sufficiente per superare
da te stessa questa difficoltà in cui ti trovi. Un intervento esterno (esterno
solo in un certo senso) ti faciliterebbe il compito: per esempio, se Tatiana
andasse a convivere con te e tu ti persuadessi concretamente che le tue
responsabilità sono diminuite di fatto e perciò io insisto presso Tatiana
perché si decida a partire, come insisto presso di lei perché si metta in
condizioni di poter giungere presso di te in condizioni di salute tali che le
permettano subito di essere attiva: mi pare che altrimenti tutta la situazione
sarebbe peggiorata invece che migliorata. Ma insisto nell’affermare la mia
persuasione che tu sottovaluti la tua stessa forza reale, e che sei in grado di
superare l’attuale crisi da te stessa. Hai sopravalutato la tua forza nel
passato ed io scioccamente ti ho lasciato fare (dico adesso scioccamente,
perché allora non credevo di essere sciocco); ora la deprezzi, perché non sai
adeguare concretamente la tua volontà al fine da raggiungere e non sai graduare
i tuoi fini e perché sei un po’ ossessionata. Cara, sento benissimo quanto
tutto ciò che ti scrivo sia inadeguato e freddo. Sento la mia impotenza a fare
qualsiasi cosa di reale ed efficace per darti un aiuto; mi dibatto tra il
sentimento di una immensa tenerezza per te che mi appari come una debolezza da
consolare immediatamente con una carezza fisica e il sentimento che è
necessario da parte mia un grande sforzo di volontà per persuaderti da lontano,
con parole fredde e slavate, che tuttavia tu sei anche forte e puoi e devi
superare la crisi. E poi mi ossessiona il pensiero del passato. Tu ricordi la
nascita di Delio e la carrozzella (ma come hai dimenticato che nell’aprile del
1925 lo abbiamo insieme condotto a spasso in quella carrozzella in un giardino
vicino alla Tverskaia-Yamskaia?) e Bianco e i dodici rubli che hai preso in
prestito. E perché hai cosí tenacemente rifiutato l’aiuto che ti avevo mandato
attraverso Bianco? E perché io non sono riuscito a impormi a te e a far
riconoscere il mio diritto di aiutarti? Penso che allora avevo riscosso 8200
lire d’indennità giornalistica e che le versai interamente per il nuovo
giornale. Perché ho potuto permettere che tu facessi dei debiti di 12 rubli
mentre io versavo 8200 lire al giornale, mentre avrei, senza nessuna difficoltà
e pur facendo tutto il mio dovere, potuto versare solo il 50%? Tutto questo mi
esaspera ora contro me stesso d’allora e mi fa vedere quanto i nostri rapporti
fossero d’una incongruità e di un romanticismo scelleratissimo. È vero che tu
allora non mi accennasti a questi dodici rubli, anzi mi prendesti in giro per
le mie «pretese» di aiutarti, ma sento ora che avrei dovuto trovare il modo di
importi anche ciò che non volevi. – Del resto hai ragione che nel nostro mondo,
mio e tuo, ogni debolezza è dolorosa e ogni forza un aiuto. Penso che la nostra
piú grande disgrazia è stata quella di essere stati insieme troppo poco, e
sempre in condizioni generali anormali, staccate dalla vita reale e concreta di
tutti i giorni. Dobbiamo ora, nelle condizioni di forza maggiore in cui ci
troviamo, rimediare a queste manchevolezze del passato, in modo da mantenere
alla nostra unione tutta la sua saldezza morale e salvare dalla crisi ciò che
di bello c’è pure stato nel nostro passato e che vive nei bambini nostri. Ti
pare? Io voglio aiutarti, nelle mie condizioni, a superare la tua attuale
depressione, ma bisogna anche che tu un po’ mi aiuti e mi insegni il modo
migliore di aiutarti efficacemente, indirizzando la tua volontà, strappando
tutte le ragnatele di false rappresentazioni del passato che possono
incepparla, aiutandomi a conoscere sempre meglio i due bambini e a partecipare
alla loro vita, alla loro formazione, alla affermazione della loro personalità,
in modo che la mia «paternità» diventi piú concreta e sia sempre attuale e cosí
diventi una paternità vivente e non solo un fatto del passato sempre piú
lontano. Aiutandomi cosí anche a conoscere meglio la Iulca di oggi che è Iulca
+ Delio + Giuliano, somma in cui il piú non indica solo un fatto quantitativo,
ma soprattutto una nuova persona qualitativa. Cara, ti abbraccio stretta
stretta e aspetto che mi scriva a lungo.
Antonio
Nessun commento:
Posta un commento