27 aprile 2015

Antonio Gramsci e Giulia Schucht

Giulia con Delio e Giuliano Gramsci



"Penso che la nostra piú grande disgrazia è stata quella di essere stati insieme troppo poco" (Antonio Gramsci)




9 febbraio 1931
Carissima Giulia,
ho ricevuto la tua lettera del 9 gennaio che incomincia cosí: «Quando penso di scrivere – ogni giorno – penso a ciò che mi fa tacere, penso che la mia debolezza è nuova per te…». – E anche io penso che ci sia stato un certo equivoco finora tra noi, proprio su questa tua presente debolezza e sulla presunta tua forza anteriore e di questo equivoco voglio prendermi almeno la maggior parte di responsabilità, che realmente mi spetta. Una volta ti ho scritto (forse ricordi) che io ero persuaso che tu sia sempre stata molto piú forte di quanto tu stessa non pensassi, ma che mi repugnava quasi di insistere troppo su questo motivo perché mi sembrava di essere come un negriero, dato che a te sono toccati i pesi piú gravi della nostra unione. Penso ancora cosí, ma ciò non significava allora, né significa oggi tanto meno, che mi fossi fatto di te un figurino di «donna forte» convenzionale e astratto: sapevo che eri anche debole, che anzi eri talvolta molto debole, che eri insomma una donna viva, che eri Iulca. Ma ho molto pensato a tutte queste cose, da che sono in carcere e piú da qualche tempo a questa parte. (Quando non si possono fare prospettive per l’avvenire, si rimugina continuamente il passato, lo si analizza, si finisce col vederlo meglio in tutti i suoi rapporti e si pensa specialmente a tutte le sciocchezze commesse, ai propri atti di debolezza, a ciò che sarebbe stato meglio fare o non fare e sarebbe stato doveroso fare o non fare). Cosí mi sono persuaso che, a proposito della tua debolezza e forza, io ho commesso molte sciocchezze (cosí mi sembrano ora) e le ho commesse per troppa tenerezza per te, che era sventataggine da parte mia e che, in realtà, io che mi credevo abbastanza forte, ero tutt’altro che forte, ero, anzi, indubbiamente, più debole di te. Cosí si è creato questo equivoco, che ha avuto conseguenze molto gravi, se tu non mi hai scritto, mentre avresti voluto scrivere, per non turbare il figurino che credevi mi fossi formato della tua forza. Le esemplificazioni che dovrei dare di queste mie affermazioni, hanno un contenuto che mi appare adesso cosí ingenuo che a stento riesco io stesso a rappresentarmi le condizioni in cui mi trovavo quando sentivo e operavo cosí ingenuamente; perciò non mi sento in grado di scriverne di proposito. Del resto servirebbe a poco. Mi pare sia piú importante stabilire ora tra noi rapporti normali, ottenere che tu non abbia a sentire dei freni inibitori nello scrivermi, che non abbia a sentire quasi repugnanza ad apparire diversa da quella che immagini io creda tu sia. Ti ho detto che io sono persuaso tu sia molto piú forte di quanto tu stessa creda: anche la tua ultima lettera mi conferma in questa persuasione. Pur nello stato di depressione in cui ti trovi, di grave squilibrio psicofisico, hai conservato una grande forza di volontà, un grande controllo di te stessa, e allora ciò significa che lo squilibrio psicofisico è molto meno grande di quanto potrebbe apparire e si limita, in realtà, a un aggravamento relativo di condizioni che nella tua personalità credo siano permanenti o almeno io le ho notate come permanenti in quanto collegate con un ambiente sociale che permanentemente domanda una tensione di volontà estremamente forte. Mi pare insomma che presentemente tu sia ossessionata dal sentimento delle tue responsabilità, che ti fa apparire le tue forze inadeguate ai doveri che vuoi compiere, ti disvia la volontà e ti esaurisce fisicamente, ponendo tutta la tua vita attiva in un circolo vizioso in cui realmente (se pure parzialmente) le forze bruciano senza risultato, perché disordinatamente applicate. Ma mi pare che, nonostante tutto, tu abbia conservato le forze sufficienti e la volontà sufficiente per superare da te stessa questa difficoltà in cui ti trovi. Un intervento esterno (esterno solo in un certo senso) ti faciliterebbe il compito: per esempio, se Tatiana andasse a convivere con te e tu ti persuadessi concretamente che le tue responsabilità sono diminuite di fatto e perciò io insisto presso Tatiana perché si decida a partire, come insisto presso di lei perché si metta in condizioni di poter giungere presso di te in condizioni di salute tali che le permettano subito di essere attiva: mi pare che altrimenti tutta la situazione sarebbe peggiorata invece che migliorata. Ma insisto nell’affermare la mia persuasione che tu sottovaluti la tua stessa forza reale, e che sei in grado di superare l’attuale crisi da te stessa. Hai sopravalutato la tua forza nel passato ed io scioccamente ti ho lasciato fare (dico adesso scioccamente, perché allora non credevo di essere sciocco); ora la deprezzi, perché non sai adeguare concretamente la tua volontà al fine da raggiungere e non sai graduare i tuoi fini e perché sei un po’ ossessionata. Cara, sento benissimo quanto tutto ciò che ti scrivo sia inadeguato e freddo. Sento la mia impotenza a fare qualsiasi cosa di reale ed efficace per darti un aiuto; mi dibatto tra il sentimento di una immensa tenerezza per te che mi appari come una debolezza da consolare immediatamente con una carezza fisica e il sentimento che è necessario da parte mia un grande sforzo di volontà per persuaderti da lontano, con parole fredde e slavate, che tuttavia tu sei anche forte e puoi e devi superare la crisi. E poi mi ossessiona il pensiero del passato. Tu ricordi la nascita di Delio e la carrozzella (ma come hai dimenticato che nell’aprile del 1925 lo abbiamo insieme condotto a spasso in quella carrozzella in un giardino vicino alla Tverskaia-Yamskaia?) e Bianco e i dodici rubli che hai preso in prestito. E perché hai cosí tenacemente rifiutato l’aiuto che ti avevo mandato attraverso Bianco? E perché io non sono riuscito a impormi a te e a far riconoscere il mio diritto di aiutarti? Penso che allora avevo riscosso 8200 lire d’indennità giornalistica e che le versai interamente per il nuovo giornale. Perché ho potuto permettere che tu facessi dei debiti di 12 rubli mentre io versavo 8200 lire al giornale, mentre avrei, senza nessuna difficoltà e pur facendo tutto il mio dovere, potuto versare solo il 50%? Tutto questo mi esaspera ora contro me stesso d’allora e mi fa vedere quanto i nostri rapporti fossero d’una incongruità e di un romanticismo scelleratissimo. È vero che tu allora non mi accennasti a questi dodici rubli, anzi mi prendesti in giro per le mie «pretese» di aiutarti, ma sento ora che avrei dovuto trovare il modo di importi anche ciò che non volevi. – Del resto hai ragione che nel nostro mondo, mio e tuo, ogni debolezza è dolorosa e ogni forza un aiuto. Penso che la nostra piú grande disgrazia è stata quella di essere stati insieme troppo poco, e sempre in condizioni generali anormali, staccate dalla vita reale e concreta di tutti i giorni. Dobbiamo ora, nelle condizioni di forza maggiore in cui ci troviamo, rimediare a queste manchevolezze del passato, in modo da mantenere alla nostra unione tutta la sua saldezza morale e salvare dalla crisi ciò che di bello c’è pure stato nel nostro passato e che vive nei bambini nostri. Ti pare? Io voglio aiutarti, nelle mie condizioni, a superare la tua attuale depressione, ma bisogna anche che tu un po’ mi aiuti e mi insegni il modo migliore di aiutarti efficacemente, indirizzando la tua volontà, strappando tutte le ragnatele di false rappresentazioni del passato che possono incepparla, aiutandomi a conoscere sempre meglio i due bambini e a partecipare alla loro vita, alla loro formazione, alla affermazione della loro personalità, in modo che la mia «paternità» diventi piú concreta e sia sempre attuale e cosí diventi una paternità vivente e non solo un fatto del passato sempre piú lontano. Aiutandomi cosí anche a conoscere meglio la Iulca di oggi che è Iulca + Delio + Giuliano, somma in cui il piú non indica solo un fatto quantitativo, ma soprattutto una nuova persona qualitativa. Cara, ti abbraccio stretta stretta e aspetto che mi scriva a lungo.
Antonio






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