18 aprile 2015

ILLUSIONISTI AL POTERE



Una lettura dell'agire politico di Renzi secondo le categorie del Principe di Machiavelli. Tutti vedono, ma pochi comprendono – annotava il grande fiorentino – Infatti tutti vedono ciò che il principe vuole apparire, ma solo pochi capiscono cosa è veramente. Una lezione da meditare.

Michele Prospero

L'illusione al potere

La  ripresa appena comin­ciata, e pro­pa­gan­data dal pre­mier a colpi di tweet, è già finita e le cifre par­lano di disoc­cu­pa­zione in cre­scita, di cali degli ordi­na­tivi delle indu­strie, di per­si­stenti segnali di reces­sione. È uno stile di governo sub spe­cie comu­ni­ca­zione che frana dinanzi alla realtà che non cede agli impe­ra­tivi ste­rili del mar­ke­ting spac­ciati per deci­sio­ni­smo.

I teo­rici libe­rali dipin­ge­vano la demo­cra­zia come il governo della pub­bli­cità. E Renzi sem­bra pren­dere alla let­tera i clas­sici del pen­siero poli­tico. Si pre­senta alla Luiss con il mar­chio della Coca Cola ben in vista men­tre, per dare spol­vero al suo piglio auto­ri­ta­tivo, ordina la proi­bi­zione dei Pro­messi sposi dalle scuole.

Spesso, in con­fe­renze stampa con­vo­cate in sedi isti­tu­zio­nali, mette in bella mostra la cele­bre mela di una nota casa di per­so­nal com­pu­ter. Il capo di governo che, fischiet­tando o can­tic­chiando, si esi­bi­sce in com­pa­gnia di un pro­dotto com­mer­ciale, è il com­pi­mento, in forma ruspante, della pri­va­tiz­za­zione della poli­tica. Non è la poli­tica ad avva­lersi delle tec­no­lo­gie del mar­ke­ting. È il mar­ke­ting a inva­dere anche il ter­ri­to­rio della poli­tica. Ma senza tan­gi­bili risul­tati nella cre­scita economica.

Pre­sen­tando la pro­po­sta più avve­le­nata del suo governo, l’Italicum, Renzi indossa i panni del sim­pa­tico pre­sen­ta­tore capace, con dei sem­plici acco­sta­menti a tra­smis­sioni pop del momento, di nascon­dere la matrice auto­ri­ta­ria dei suoi dise­gni di riforma. «Chi guarda Master­chef sa che quando arriva la mistery box non sai cosa c’è den­tro. La mistery box è quello che accade col Por­cel­lum. Non sai chi c’è. Con l’Italicum 1.0 affer­miamo il prin­ci­pio che va ridotto il potere dei par­titi e puoi indi­care una lista di sei nomi accanto al sim­bolo». Il pre­mier non sco­moda il pen­siero, inu­tile com­pli­ca­zione per la sua demo­cra­zia deci­dente, che sogna omo­lo­ga­zione e con­for­mi­smo, ma ricorre a inno­centi meta­fore tele­vi­sive per ven­dere, con le abi­lità imma­gi­ni­fi­che di un piaz­zi­sta, un pro­dotto isti­tu­zio­nale ava­riato.

La lotta con­ti­nua di Renzi con­tro i detriti di realtà, pro­cede attra­verso numeri fan­ta­siosi. Con l’avallo dei media, che tra­sfor­mano in solido acca­di­mento ogni suo tweet, egli con­duce in una dimen­sione alte­rata, dove il mondo è capo­volto e l’illusione domina sulle ten­denze di un pre­sente dif­fi­cile. Con la fuga dalle cose spia­ce­voli, il sociale è tra­sfi­gu­rato in favola e chi ram­menta spi­nosi pro­blemi quo­ti­diani è un ingua­ri­bile gufo che nega l’evidenza di una cre­scita a dop­pia cifra, con ripar­tenze mitiche.

I media uni­fi­cati gon­fiano gli annunci del poco can­dido governo dell’ottimismo e festeg­giano una nuova età dell’oro con la vit­to­ria defi­ni­tiva sulla crisi, con il trionfo sulla pre­ca­rietà e la rea­liz­za­zione del sogno della piena occu­pa­zione. Con l’arte della misti­fi­ca­zione pro­pria del governo simu­la­tore del fare, Renzi pog­gia nella sua comu­ni­ca­zione su un dato sensibile-antropologico già segna­lato da Machia­velli: la discre­panza tra occhio e mano.

In poli­tica e nell’agire sociale si incon­tra la rile­vanza del sem­brare quale movente di azioni col­let­tive. Machia­velli avverte che gli uomini «iudi­cano più alli occhi che alle mani; per­ché tocca a vedere ad ognuno, a sen­tire a pochi; ognuno vede quello che tu pari, pochi sen­tono quello che tu se» (Prin­cipe, capi­tolo XVIII). Il sem­brare e l’occhio spin­gono a cre­dere a delle fin­zioni, e sono in tanti a lasciarsi sedurre da nar­ra­zioni, annunci, appa­renze.
Il potere ha la potenza per imporre par­venze, imma­gini e ha anche gli stru­menti per con­dan­nare chi dis­sente, denun­ciando disagi sociali effet­tivi, come uno spre­ge­vole sopram­mo­bile del talk show. Le parole di chi sente con mano le sof­fe­renze sono rele­gate nel regno delle chiac­chiere men­tre i ritro­vati com­mer­ciali dei costrut­tori di appa­renze diven­tano il solo atte­stato di veri­di­cità agli occhi del pub­blico pigro. Senza un’azione di lotta, il reale è alte­rato da con­fe­zioni fia­be­sche che rac­con­tano rea­liz­za­zioni fan­ta­sti­che. La fin­zione ven­duta a reti uni­fi­cate, costringe gli occhi distratti a cre­dere alla veri­di­cità delle appa­renze.

Il solo nemico di Renzi è il reale che per­ciò va edul­co­rato, sopito, tra­sfi­gu­rato. Per que­sto la sua con­dotta di governo diventa una lotta con­tro il tempo. Mal­grado la sedu­zione affi­data a degli sce­nari fan­ta­stici, il reale con­ti­nua ad esi­stere e opera sotto trac­cia come un pos­si­bile momento esterno di deco­di­fica. Così, al cospetto della nar­ra­zione trion­fa­li­stica, cia­scuno tocca con mano che la disoc­cu­pa­zione cre­sce, che le città sono distrutte, che il ser­vi­zio sani­ta­rio salta, che la scuola è un deserto, che il sud muore, che la pre­ca­rietà domina, che nulla cam­bia nei pro­getti di vita.

La rivin­cita delle «mani» ci sarà, ma il tempo del ripri­stino del prin­ci­pio dell’esperienza in masse disin­can­tate, che ten­dono ad «amare più l’ombra che il sole», è lungo. Il governo della pub­bli­cità fab­brica con­ti­nue devia­zioni seman­ti­che nella spe­ranza di resi­stere al potere per­ché le mol­ti­tu­dini «molte volte si muo­vono più per le cose che paiono che per quelle che sono» (Discorsi, libro I, capi­tolo XXV).

Nel tempo lungo, il reale si ride­sterà, ma è illu­so­rio strin­gere patti con il vin­ci­tore per la distri­bu­zione delle spo­glie, da godere in attesa dello schianto. Occorre che, oltre al sen­tire ciò che da vicino tocca ogni sog­getto, ci sia una lotta per il rischia­ra­mento delle con­di­zioni sociali effet­tive.

Il prin­ci­pio di realtà (che per­mette di giu­di­care in base «alle mani») è una costru­zione poli­tica, non si pre­senta nella sua spon­ta­nea presa. Il sen­tire, cioè cogliere il senso di ciò che accade, tocca a pochi e com­plesso si rivela il gioco delle opi­nioni, delle cre­denze, delle per­sua­sioni, delle espe­rienze, degli acci­denti esterni, delle per­ce­zioni alte­rate del reale. A que­sto serve una coa­li­zione sociale.


Il Manifesto – 4 aprile 2015

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