Una
lettura dell'agire politico di Renzi secondo le categorie del
Principe di Machiavelli. Tutti vedono, ma pochi comprendono –
annotava il grande fiorentino – Infatti tutti vedono ciò che il
principe vuole apparire, ma solo pochi capiscono cosa è veramente.
Una lezione da meditare.
Michele Prospero
L'illusione al potere
La ripresa appena
cominciata, e propagandata dal premier
a colpi di tweet, è già finita e le cifre parlano
di disoccupazione in crescita, di cali degli
ordinativi delle industrie, di persistenti
segnali di recessione. È uno stile di governo sub specie
comunicazione che frana dinanzi alla realtà che non
cede agli imperativi sterili del marketing
spacciati per decisionismo.
I teorici liberali dipingevano la democrazia come il governo della pubblicità. E Renzi sembra prendere alla lettera i classici del pensiero politico. Si presenta alla Luiss con il marchio della Coca Cola ben in vista mentre, per dare spolvero al suo piglio autoritativo, ordina la proibizione dei Promessi sposi dalle scuole.
Spesso, in conferenze stampa convocate in sedi istituzionali, mette in bella mostra la celebre mela di una nota casa di personal computer. Il capo di governo che, fischiettando o canticchiando, si esibisce in compagnia di un prodotto commerciale, è il compimento, in forma ruspante, della privatizzazione della politica. Non è la politica ad avvalersi delle tecnologie del marketing. È il marketing a invadere anche il territorio della politica. Ma senza tangibili risultati nella crescita economica.
Presentando la
proposta più avvelenata del suo governo,
l’Italicum, Renzi indossa i panni del simpatico
presentatore capace, con dei semplici
accostamenti a trasmissioni pop del momento,
di nascondere la matrice autoritaria dei suoi
disegni di riforma. «Chi guarda Masterchef sa che quando
arriva la mistery box non sai cosa c’è dentro. La mistery box
è quello che accade col Porcellum. Non sai chi c’è.
Con l’Italicum 1.0 affermiamo il principio che va
ridotto il potere dei partiti e puoi indicare una
lista di sei nomi accanto al simbolo». Il premier non
scomoda il pensiero, inutile complicazione
per la sua democrazia decidente, che sogna
omologazione e conformismo, ma
ricorre a innocenti metafore televisive per
vendere, con le abilità immaginifiche
di un piazzista, un prodotto istituzionale
avariato.
La lotta continua di Renzi contro i detriti di realtà, procede attraverso numeri fantasiosi. Con l’avallo dei media, che trasformano in solido accadimento ogni suo tweet, egli conduce in una dimensione alterata, dove il mondo è capovolto e l’illusione domina sulle tendenze di un presente difficile. Con la fuga dalle cose spiacevoli, il sociale è trasfigurato in favola e chi rammenta spinosi problemi quotidiani è un inguaribile gufo che nega l’evidenza di una crescita a doppia cifra, con ripartenze mitiche.
I media unificati
gonfiano gli annunci del poco candido governo
dell’ottimismo e festeggiano una nuova età dell’oro
con la vittoria definitiva sulla crisi, con il
trionfo sulla precarietà e la realizzazione
del sogno della piena occupazione. Con l’arte della
mistificazione propria del governo simulatore
del fare, Renzi poggia nella sua comunicazione su
un dato sensibile-antropologico già segnalato da Machiavelli:
la discrepanza tra occhio e mano.
In politica
e nell’agire sociale si incontra la rilevanza del
sembrare quale movente di azioni collettive.
Machiavelli avverte che gli uomini «iudicano più alli
occhi che alle mani; perché tocca a vedere ad ognuno,
a sentire a pochi; ognuno vede quello che tu pari,
pochi sentono quello che tu se» (Principe, capitolo
XVIII). Il sembrare e l’occhio spingono a credere
a delle finzioni, e sono in tanti a lasciarsi
sedurre da narrazioni, annunci, apparenze.
Il potere ha la
potenza per imporre parvenze, immagini e ha anche gli
strumenti per condannare chi dissente,
denunciando disagi sociali effettivi, come uno spregevole
soprammobile del talk show. Le parole di chi sente con mano
le sofferenze sono relegate nel regno delle
chiacchiere mentre i ritrovati commerciali
dei costruttori di apparenze diventano il solo
attestato di veridicità agli occhi del pubblico
pigro. Senza un’azione di lotta, il reale è alterato da
confezioni fiabesche che raccontano
realizzazioni fantastiche. La finzione
venduta a reti unificate, costringe gli occhi
distratti a credere alla veridicità delle
apparenze.
Il solo nemico di Renzi è il reale che perciò va edulcorato, sopito, trasfigurato. Per questo la sua condotta di governo diventa una lotta contro il tempo. Malgrado la seduzione affidata a degli scenari fantastici, il reale continua ad esistere e opera sotto traccia come un possibile momento esterno di decodifica. Così, al cospetto della narrazione trionfalistica, ciascuno tocca con mano che la disoccupazione cresce, che le città sono distrutte, che il servizio sanitario salta, che la scuola è un deserto, che il sud muore, che la precarietà domina, che nulla cambia nei progetti di vita.
La rivincita delle
«mani» ci sarà, ma il tempo del ripristino del principio
dell’esperienza in masse disincantate, che tendono
ad «amare più l’ombra che il sole», è lungo. Il governo
della pubblicità fabbrica continue
deviazioni semantiche nella speranza di
resistere al potere perché le moltitudini
«molte volte si muovono più per le cose che paiono che per
quelle che sono» (Discorsi, libro I, capitolo XXV).
Nel tempo lungo, il reale si ridesterà, ma è illusorio stringere patti con il vincitore per la distribuzione delle spoglie, da godere in attesa dello schianto. Occorre che, oltre al sentire ciò che da vicino tocca ogni soggetto, ci sia una lotta per il rischiaramento delle condizioni sociali effettive.
Il principio di realtà (che permette di giudicare in base «alle mani») è una costruzione politica, non si presenta nella sua spontanea presa. Il sentire, cioè cogliere il senso di ciò che accade, tocca a pochi e complesso si rivela il gioco delle opinioni, delle credenze, delle persuasioni, delle esperienze, degli accidenti esterni, delle percezioni alterate del reale. A questo serve una coalizione sociale.
Il Manifesto – 4 aprile
2015
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