17 aprile 2015

L'UTOPICA REPUBBLICA DELLE LETTERE




Benedetta Craveri

Un'Europa fondata sulla cultura

A partire dall'età dell'Umanesimo fino alla fine dell'Antico Regime, nell'Europa insanguinata dalle ambizioni dinastiche, dalle guerre di religione e dalle rivalità tra le grandi potenze, letterati - oggi diremmo intellettuali - di nazionalità e di fedi diverse non smisero mai di dialogare tra di loro in piena libertà di pensiero, uniti nella ricerca comune del bello, del buono e del vero. Una società nella società, per la quale il veneziano Francesco Barbaro coniò, nel 1417, il nome di Respublica litteraria. Essa si servì come lingua di comunicazione internazionale del latino, e per quanto invisibile, fu di grande importanza per la storia della cultura europea. A questa esperienza Marc Fumaroli dedica La République des Lettres (Gallimard), una raccolta di saggi che testimoniano di una lunga, dotta e appassionata frequentazione.
Quando è iniziato il suo interesse per la Repubblica delle lettere?

"Quando ho letto l'epistolario di Petrarca e ho capito che mi trovavo davanti all'invenzione di una forma di relazione del tutto nuova, che connoterà la corrispondenza di Erasmo come quella di Voltaire. Nelle sue lettere Petrarca forniva agli uomini di alta cultura l'esempio di una solidarietà amichevole, di una socievolezza all'insegna della delicatezza e della fiducia, capace di trascendere le tensioni polemiche e i conflitti passionali in nome di un livello di civiltà superiore. Una forma di saper vivere che darà luogo a quello che chiamiamo civiltà europea".

A quando risale questa lettura?

"Agli anni della mia formazione. È stato il Petrarca filologo, innamorato dei testi antichi, a farmi capire come l'educazione umanista abbia il vantaggio di introdurci in un universo del tutto diverso da quello in cui viviamo. È questa distanza fra il mondo dei libri e il mondo reale che permette di acquisire un atteggiamento critico e che consente di vivere su due diversi registri, di giudicare l'uno attraverso l'altro, di non limitarsi a quello dell'attualità".
    Francesco Petrarca

Lei stabilisce una linea di continuità che, da Erasmo a Voltaire, connota i cittadini della Repubblica delle lettere. Ma nella sua corrispondenza, Voltaire si appella anche all'opinione pubblica e denuncia l'impostura della rivelazione cristiana. Una disputa a cui lei ha consacrato un libro: Le api e i ragni.

"Sì, mi è sembrato necessario mostrarne tutta l'importanza. Nell'ultimo ventennio del Seicento, all'apice della gloria, Luigi XIV, i suoi collaboratori Colbert, Perrault, e gli scrittori cosi detti "moderni", come Fontenelle, hanno voluto convincere l'Europa che la cultura francese, al punto di eccellenza in cui era arrivata grazie all'"operazione Petrarca", non aveva più bisogno degli antichi. Ci si era serviti di loro per arrivare in cima alla vetta e raggiungere uno stadio di sapere superiore e ora si poteva vivere su delle basi esclusivamente moderne. Questa è l'epoca che ha ceduto il passo alla nuova scienza e alla filosofia dei Lumi. Luigi XIV si assicurò, attraverso una costellazione di accademie, la collaborazione della Repubblica delle lettere. Voltaire vi vedeva una rivoluzione pacifica che faceva dello Stato illuminato il rivale vittorioso della Chiesa. Si può ugualmente sostenere che allora prende inizio una separazione eccessiva tra educazione umanistica, odiata come cristiana, ed istruzione pubblica razionalista, scientifica e laica".

Non sempre, però, le relazioni tra membri della Repubblica delle lettere erano così ecumeniche e amichevoli. Basta pensare alla guerra fra Poggio Bracciolini e Lorenzo Valla a proposito del De rerum natura di Lucrezio.

"Ma anche le liti più aspre si svolgevano in un'atmosfera che era di considerazione reciproca. Quando Bayle affermava che "la Repubblica delle lettere era una guerra permanente, dove il padre non esitava a condannare il figlio", intendeva dire che l'onestà intellettuale imponeva tanto l'autocritica che la critica, a garanzia contro i ciarlatani e le idee false".
    Erasmo da Rotterdam

Nell'Età dell'eloquenza lei rinnova gli studi di retorica e ne riafferma l'importanza. Perché, come sosteneva anche Ezio Raimondi, è essenziale per lo studio delle lettere? 

"La retorica è una griglia interpretativa ma, in primo luogo, è un educazione delle forme. Essa insegna a non considerare la parola come l'espressione egoista del proprio io ma come il desiderio di rivolgersi all'altro. Non è un sistema di dogmi, è il risultato di un'esperienza profonda del linguaggio, è il ricorso a una tradizione, a dei modelli che ci permettono di adattare il nostro discorso alle circostanze. E con essa le relazioni sociali sono più feconde. La retorica è una vittoria sulla violenza".

Se la retorica è l'arte di adattarsi al pubblico cui ci si rivolge, essa non risponde anche agli obbiettivi della produzione culturale contemporanea?

"La retorica non si riduce a un adattamento servile della parola all'opinione pubblica e al politically correct anonimo. Se così fosse il suo ideale sarebbe la pubblicità di massa o, peggio, la propaganda populista. Essa ha imparato da Socrate che per persuadere bisogna screditare gli errori correnti. La letteratura e la poesia attuali, quando sfuggono alla tirannide della pubblicità commerciale e ideologica, si rivolgono a individui che cercano di sottrarsi al condizionamento sociale, e non già alla folla che chiede di essere condizionata ".
    Grembiule massonico di Voltaire

Lei dichiara di vivere in due temperie culturali diverse. Ma quando smette di colloquiare con gli autori del passato e si confronta con il mondo contemporaneo, il suo approccio - Lo Stato culturale insegna - è fortemente polemico.

"Quello che mi ha consentito di passare dalla dimensione di studioso del passato a quella dell'attualità è innanzitutto il problema dell'educazione dei giovani. Un problema fondamentale, che è al cuore della tradizione classica e umanistica, e di cui abbiamo sottovalutato troppo l'importanza. Oggi, in Francia come in Italia, l'educazione si pone come obbiettivo di acclimatare i giovani al mondo in cui sono nati, là dove sarebbe necessario insegnare loro il contrario di quanto si vede dalla mattina alla sera sui loro schermi. Il che non significa un rifiuto del mondo attuale, ma l'invito a guardarlo in una prospettiva critica".

Cosa pensa delle discussioni seguite alla tragedia di Charlie Hebdo su libertà d'espressione e diritto o meno alla blasfemia?

"La libertà d'espressione è una delle grandi conquiste moderne della civiltà europea, perseguita fin dall'inizio dalla Repubblica delle lettere. Ma la libertà d'espressione non può voler dire una libertà "espressionista", senza legge, senza regola, senza tatto. La libertà d'espressione, come la libertà toutcourt, implica padronanza di sé e considerazione per l'altro. Anche la satira ha i suoi limiti. E la blasfemia non è il metodo più sottile ed efficace per rendere odiosi il fanatismo e la barbarie".


La Repubblica – 21 marzo 2015

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