08 aprile 2015

LA VOLONTA' DI SAPERE SECONDO M. FOUCAULT




«Lezioni sulla volontà di sapere», uscito per Feltrinelli, propone i testi del primo corso svolto al Collège de France nel 1970. Conflitto tra verità e potere e la confutazione delle teorie di Freud sono alcuni «cavalli di battaglia» dello studioso.

  Michel Foucault, l’invenzione della conoscenza

    di  Roberto Ciccarelli



In un angolo remoto dell’universo scin­til­lante e dif­fuso attra­verso infi­niti sistemi solari, c’era una volta un astro su cui ani­mali intel­li­genti inven­ta­rono la cono­scenza. Fu il minuto più tra­co­tante e men­zo­gnero della sto­ria uni­ver­sale». È uno dei pas­saggi fol­go­ranti, dall’ironia cru­dele e mae­stosa, di Nie­tzsche che riflette Su verità e men­zo­gna in senso extra-morale. Il filo­sofo tede­sco, a cavallo di un’iperbole, ci porta all’altezza del Big Bang. Nella fin­zione così con­ce­pita scrive un romanzo sar­ca­stico con­tro una delle verità tra­man­date della nostra cul­tura: l’Uomo esi­ste per cono­scere. Tutto que­sto è falso.

Un’amicizia stel­lare
Per ren­dere il tono usato da Michel Fou­cault nelle Lezioni sulla volontà di sapere, tra­dotte da Carla Troilo e Mas­si­mi­liano Nicoli (Fel­tri­nelli, a cura di Pier Aldo Rovatti, pp. 352, 35 euro) biso­gna andare a pagina 219 di que­sto libro e leg­gere la lezione su Nie­tzsche. È un testo con­te­nuto in una delle ampie appen­dici ripro­dotte nel volume insieme ai testi rico­struiti del primo corso svolto al Col­lège de France nel 1970.
Quella su Nie­tzsche è una lezione fon­da­men­tale, scritta ner­vo­sa­mente, quasi sca­let­tata, fru­sta. Gli argo­menti sono espo­sti per punti, pronti per essere pro­nun­ciati davanti ad un pub­blico. Sono i mesi in cui più intenso pro­cede il corpo a corpo con il filo­sofo tede­sco. Fou­cault ha fatto il suo ingresso al Col­lège de France, il pan­theon dell’accademia di Fran­cia, intro­dotto dal mate­ma­tico epi­ste­mo­logo e filo­sofo ana­li­tico Jules Vuil­le­min, tito­lare della cat­te­dra di «filo­so­fia della cono­scenza». Lui, invece, scelse per sé l’insegnamento di «sto­ria dei sistemi di pen­siero», come spiegò nella lezione inau­gu­rale L’ordine del discorso, pub­bli­cata in Ita­lia da Einaudi.
L’amicizia stel­lare con Nie­tzsche, per usare un’espressione amata da que­sto filo­sofo, viene rin­sal­data sin dalle prime pagine dei corsi che dure­ranno fino al 1984, l’anno della morte di Fou­cault. Con Gil­les Deleuze, Pierre Klos­so­w­ski, l’autore di Le parole e le coseSor­ve­gliare e Punire è stato tra i pro­mo­tori e inter­preti della Nietzsche-renaissance che, negli anni Ses­santa, pose al cen­tro dell’attenzione un Nie­tzsche riletto alla luce del pen­siero della dif­fe­renza. Un approc­cio che lo sot­trasse dalla morsa della filo­so­fia dell’Essere di Hei­deg­ger, come del pen­siero nega­tivo, per non par­lare delle let­ture alla György Lukács che aveva ridotto il filo­sofo tede­sco, e le sue con­trad­di­zioni, ad un anti­ci­pa­tore dell’irrazionalismo e del fasci­smo euro­peo. Libri come Nie­tzsche e il cir­colo vizioso (Klos­so­w­ski), Dif­fe­renza e Ripe­ti­zione (Deleuze) e un sag­gio come Nie­tzsche, la genea­lo­gia e la sto­ria cam­bia­rono radi­cal­mente il piano della discus­sione. Ancora oggi sono un gia­ci­mento unico per la rifles­sione filo­so­fica e per quella poli­tica sull’immanenza.
Le Lezioni sulla volontà di sapere nascono in que­sta tem­pe­rie che ha segnato a fondo il pen­siero cri­tico e radi­cale negli ultimi 40 anni. E segne­ranno anche quell’immensa opera, oggi emersa e pub­bli­cata, che è la ricerca con­te­nuta nei tre­dici corsi al Col­lège de France.

Riso, disprezzo, disgu­sto
Orien­tan­dosi nei fram­menti rac­colti nella con­te­stata anto­lo­gia postuma La volontà di potenza, così come tra le mag­giori opere di Nie­tzsche come la Genea­lo­gia della morale, Fou­cault chia­ri­sce il signi­fi­cato dell’espressione «volontà di sapere». Un con­cetto che non è assi­mi­la­bile né alla cono­scenza, né alla «volontà di verità» che Hei­deg­ger assi­mi­lava alla «volontà di potenza», in que­sto seguendo Nie­tzsche.
Per Fou­cault, il sapere implica un dop­pio rap­porto: agli oggetti della cono­scenza e al sé cono­scente. Sin dall’età clas­sica, que­sto rap­porto si è espresso attra­verso il discorso sulla razio­na­lità che ha sepa­rato il razio­nale dal non razio­nale, il nor­male dal pato­lo­gico. In que­sta cor­nice il sapere esprime la volontà di dare un ordine al mondo e di gover­nare gli indi­vi­dui. Il suo obiet­tivo è disci­pli­nare il mondo attra­verso la pro­du­zione di saperi che disci­pli­nano il potere stesso. Non si tratta di «cono­scere», ma di «sus­su­mere, sche­ma­tiz­zare, inten­dersi e cal­co­lare». Il cono­scere è dun­que il risul­tato del domi­nio delle cose e del disci­pli­na­mento delle per­sone.
Da que­sti brevi tratti si com­prende la cen­tra­lità del nesso tra sapere e potere. Fou­cault lo spiega stu­diando Nie­tzsche da cui trae anche una defi­ni­zione imma­nente, e non egoi­stica, del cono­scere. «Neces­sa­ria prima di tutto: la gioia di ciò che esi­ste», scrive Nie­tzsche. E ancora: «L’istinto cono­sci­tivo, toc­cati i pro­pri con­fini, si rivolge con­tro se stesso per pas­sare alla cri­tica del sapere, la cono­scenza al ser­vi­zio della migliore delle vite. L’uomo stesso deve volere l’illusione – in que­sto sta il tra­gico. L’enorme e indi­scri­mi­nato impulso verso una cono­scenza a sfondo sto­rico è un segno che la vita è invecchiata».

Istinto di appro­pria­zione
Prima di leg­gere il corso è fon­da­men­tale par­tire da un assunto: la cono­scenza non si trova in natura e non costi­tui­sce il più antico istinto dell’uomo. Non è la fame, non è la sete, non è il sesso. In quell’antro buio del tempo, prima che ogni cosa abbia ini­zio e men­tre ogni cosa diviene, non c’è la garan­zia esterna di un intel­letto divino. Per Nie­tzsche la cono­scenza non è il fuoco rubato da Pro­me­teo per illu­mi­nare il mondo. E non è nem­meno il frutto dell’imitazione dell’intelligenza umana che ricorda uno spet­ta­colo divino.
Le cose che l’uomo ha tro­vato nel mondo sono ter­ri­bili, cao­ti­che, cru­deli. Non esi­stono per noi, né mostrano un volto intel­le­gi­bile che attende di incro­ciare il nostro sguardo in attesa di nascere. Il mondo non parla la lin­gua umana, non segue il nostro ordine, non risplende nel con­ca­te­na­mento, nella forma, nella bel­lezza, nella sapienza che hanno ispi­rato l’arte, la filo­so­fia o la poli­tica. La cono­scenza è un’invenzione ed è il risul­tato della cat­ti­ve­ria, del ridere, del disprezzo, del disgu­sto che si pro­tegge con­tro la dismi­sura della vita. Die­tro quell’invenzione che ha por­tato a cre­dere che la cono­scenza sia un eser­ci­zio acca­de­mico, o il dono di una capa­cità pra­tica nell’affrontare gli eventi, si nasconde un gioco di istinti, impulsi, desi­deri, timore, volontà di appropriazione.
Que­sta è la scena descritta da Fou­cault nel 1970. Qui si affron­tano le spinte che pro­du­cono una «cono­scenza» sem­pre asser­vita o dipen­dente. La volontà di sapere è sem­pre inte­res­sata: non solo a se stessa, ma a ciò che è suscet­ti­bile di inte­res­sare l’istinto o gli istinti che la dominano.

Il nome di Edipo
Fou­cault com­menta i grandi testi della Gre­cia antica: Esiodo, Ari­sto­tele, Omero, Sofo­cle, i sofi­sti. E riflette su alcuni dei loro inter­preti: Kant, Spi­noza e Nie­tzsche. Un intero capi­tolo, ammi­re­vole, è dedi­cato all’Edipo Re di Sofo­cle che atte­sta in maniera emble­ma­tica il con­flitto che ha pro­dotto una certa idea di cono­scenza. L’oracolo di Delfi pre­disse a Laio che sarebbe stato ucciso da suo figlio, il quale avrebbe anche spo­sato sua madre Gio­ca­sta. Laio cerca di sot­trarsi a que­sto destino e, dopo avere effet­ti­va­mente con­ce­pito un bam­bino con Gio­ca­sta, lo affida ad un servo. Il bam­bino, sal­vato da un pastore, viene con­se­gnato alla moglie del re di Corinto. Arri­vato all’età adulta Edipo, cre­dendo a sua volta di fug­gire dall’oracolo, incon­tra sul suo cam­mino Laio. E lo uccide dopo una rissa. Finirà per spo­sare Gio­ca­sta dalla quale avrà quat­tro figli. Su Tebe si abbatte la peste. Edipo inter­roga Tire­sia, men­tre un servo gli rivela le sue vere ori­gini. Gio­ca­sta si uccide, Edipo si acceca.
Se per i greci Edipo è l’eroe tra­gico della dismi­sura, per Freud è l’eroe col­pe­vole di desi­de­rare incon­scia­mente sua madre al punto da ucci­dere il padre. Nel 1896 Edipo diventa l’eroe bor­ghese della psicoanalisi:colui che desti­tui­sce e uccide il padre, si impos­sessa della pro­prietà, gode al suo posto ed esprime la volontà di fon­dersi con sua madre, figura ori­gi­na­ria e pas­siva di tutti gli affetti.
Fou­cault cri­tica la rein­ven­zione freu­diana del mito di Edipo e sostiene che la tra­ge­dia mette in scena lo scon­tro tra saperi e poteri: la pro­ce­dura giu­di­zia­ria dell’inchiesta, la legge divi­na­to­ria, la sovra­nità e la sua tra­sgres­sione, i saperi degli uomini umili (i servi, i pastori) con­tro la cono­scenza enig­ma­tica dell’oracolo. L’elemento più impor­tante è quello poli­tico. Ciò che scom­pare con Edipo è l’antica forma del Re orien­tale, il Re-tiranno che governa la città con il suo sapere. La sua caduta rivela la natura di ogni sovra­nità. Edipo, infatti, si acceca per non vederne i delitti. La cono­scenza rivela quanto il potere sia fon­dato sull’ingiustizia e non sulla purezza, sul disin­te­res­sa­mento, sulla coscienza.
Invece di com­pren­dere a fondo que­sto atroce con­flitto, il sapere occi­den­tale rimuove que­sta verità. Edipo è diven­tato il segno di que­sta rimo­zione. Tra­sfor­mato dal mito, que­sto per­so­nag­gio cerca di allon­ta­narsi dalla tre­menda verità della vita. «Edipo non rac­conta la verità sui nostri istinti e sui nostri desi­deri — spiega Fou­cault — ma un sistema di costri­zione al quale obbe­di­sce il discorso della verità in tutte le società occidentali».

Cosa può un corpo
Le lezioni sulla volontà del sapere sono la prima incur­sione strut­tu­rata nel sapere antico da parte di Fou­cault. Negli ultimi anni di vita, il filo­sofo svi­luppò l’analisi del potere oltre l’epistomologia sto­rica che aveva ispi­rato Le parole e le cose o L’archeologia del sapere. Lo stu­dio del sapere greco-romano lo portò a for­mu­lare un’idea della poli­tica come espe­rienza dei corpi, cioè come eser­ci­zio etico di sé e della potenza di esi­stere. Della filo­so­fia greca Fou­cault valo­rizza le «tec­ni­che del sé» e i «pro­cessi di sog­get­ti­va­zione» ela­bo­rati per gover­nare la vita ses­suale. Al cen­tro del suo inte­resse non c’è più il sog­getto car­te­siano della razio­na­lità disin­car­nata, ma quello che cono­sce nono­stante se stesso. Il sapere, ora, serve a cono­scere le pos­si­bi­lità di un corpo.
Que­ste sono le basi del con­fronto cri­tico con la psi­coa­na­lisi con­dotto dal 1970 in poi. Non è un caso che il primo volume della tri­lo­gia sulla Sto­ria della ses­sua­lità abbia un titolo simile a quello del corso del 1970: la Volontà di sapere. Quat­tro anni dopo, nel 1980, Fou­cault avrebbe aperto con il corso sul governo dei viventi il labo­ra­to­rio per costruire una genea­lo­gia alter­na­tiva alla filo­so­fia della coscienza che domina il sapere occi­den­tale. Il campo di bat­ta­glia è la ses­sua­lità. Il suo avver­sa­rio è il potere sim­bo­lico di una sovra­nità per­duta: la legge del padre.


da il manifesto del 7 aprile 2015









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