06 aprile 2015

IN ITALIA SI CONTINUA A FARE CONFUSIONE SUL REDDITO MINIMO






Reddito minimo garantito

di Roberto Ciccarelli



Red­dito minimo garan­tito, que­sto sco­no­sciuto. Lo si con­fonde con il red­dito di cit­ta­di­nanza, oppure con il sala­rio minimo. In Ita­lia, in realtà, non si sa ancora cos’è. Anche que­sto è il segno dell’arretratezza sociale in cui affoga que­sto paese, men­tre que­sta misura ele­men­tare di lotta con­tro la povertà e la pre­ca­rietà esi­ste in tutta Europa, tranne che in Gre­cia. E da noi. Negli ultimi mesi l’infosfera si è fatta trarre in inganno dalla con­fu­sione con­cet­tuale creata dai Cin­que Stelle. Per il movi­mento, infatti, la sua pro­po­sta di 600 euro men­sili (e non i mille pro­messi da Grillo) sareb­bero un «red­dito di cit­ta­di­nanza». Si tratta invece di un red­dito minimo che cor­ri­sponde al 60% del red­dito mediano pre­vi­sto dalla riso­lu­zione del Par­la­mento euro­peo del 10 otto­bre 2010. Non è una misura incon­di­zio­nata e uni­ver­sale – come il red­dito di cit­ta­di­nanza che viene ero­gato a tutti i resi­denti – ma è con­di­zio­nata e selet­tiva, per di più poco garan­ti­sta della libertà dell’individuo e non del tutto con­gruente con i para­me­tri euro­pei sul rispetto della dignità personale.
Nella com­mis­sione lavoro al Senato sono in corso le audi­zioni sulle tre pro­po­ste di legge pre­sen­tate da M5S, dal Pd e da Sel. Quest’ultima ha rac­colto l’eredità della pro­po­sta di legge di ini­zia­tiva popo­lare che ha rac­colto più di 50 mila firme gra­zie allo sforzo di più di 170 asso­cia­zioni e movi­menti da tempo impe­gnati nella lotta per il red­dito minimo garan­tito. Nel frat­tempo Libera, il Basic Income Network-Italia e il Cilap hanno pro­mosso la cam­pa­gna «red­dito per la dignità». La peti­zione ha rac­colto fino ad oggi 75 mila firme e punta a rag­giun­gerne 100 mila. Chiede che il par­la­mento discuta e approvi una legge sul red­dito minimo (e non di cit­ta­di­nanza) entro 100 giorni. La peti­zione è stata fir­mata anche da espo­nenti dei Cin­que Stelle come Luigi Di Majo, oltre che dalla Fiom di Mau­ri­zio Lan­dini. Si tratta di una pro­po­sta di media­zione, con­si­de­rata anche la dici­tura “red­dito minimo o di cittadinanza”.


L’espressione è desti­nata a pro­durre altri equi­voci. In com­penso pro­pone quat­tro prin­cipi per un accordo tra le parti in causa: il red­dito dev’essere indi­vi­duale, suf­fi­ciente, con­gruo e riser­vato a tutti i resi­denti. Per que­ste ragioni non va con­si­de­rato come una misura alter­na­tiva al sus­si­dio di disoc­cu­pa­zione (la «Naspi» o il «Dis-Coll» nel Jobs Act). Non è un sus­si­dio con­tro la povertà asso­luta e non è un sala­rio minimo, cioè la paga ora­ria più bassa, gior­na­liera o men­sile, che i datori di lavoro cor­ri­spon­dono agli impie­gati o agli ope­rai. Il red­dito minimo non va ristretto ad un periodo entro il quale un lavoro «pur­ché sia» dev’essere accet­tato, ma al miglio­ra­mento com­ples­sivo della situa­zione indi­vi­duale. Come dimo­strano le espe­rienze euro­pee, si rischia sem­pre di adot­tare misure ves­sa­to­rie che dan­neg­giano i beneficiari.
 
il manifesto, 2 aprile 2015



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