Reddito minimo garantito
di Roberto CiccarelliReddito minimo garantito, questo sconosciuto. Lo si confonde con il reddito di cittadinanza, oppure con il salario minimo. In Italia, in realtà, non si sa ancora cos’è. Anche questo è il segno dell’arretratezza sociale in cui affoga questo paese, mentre questa misura elementare di lotta contro la povertà e la precarietà esiste in tutta Europa, tranne che in Grecia. E da noi. Negli ultimi mesi l’infosfera si è fatta trarre in inganno dalla confusione concettuale creata dai Cinque Stelle. Per il movimento, infatti, la sua proposta di 600 euro mensili (e non i mille promessi da Grillo) sarebbero un «reddito di cittadinanza». Si tratta invece di un reddito minimo che corrisponde al 60% del reddito mediano previsto dalla risoluzione del Parlamento europeo del 10 ottobre 2010. Non è una misura incondizionata e universale – come il reddito di cittadinanza che viene erogato a tutti i residenti – ma è condizionata e selettiva, per di più poco garantista della libertà dell’individuo e non del tutto congruente con i parametri europei sul rispetto della dignità personale.
Nella commissione lavoro al Senato sono in corso le audizioni sulle tre proposte di legge presentate da M5S, dal Pd e da Sel. Quest’ultima ha raccolto l’eredità della proposta di legge di iniziativa popolare che ha raccolto più di 50 mila firme grazie allo sforzo di più di 170 associazioni e movimenti da tempo impegnati nella lotta per il reddito minimo garantito. Nel frattempo Libera, il Basic Income Network-Italia e il Cilap hanno promosso la campagna «reddito per la dignità». La petizione ha raccolto fino ad oggi 75 mila firme e punta a raggiungerne 100 mila. Chiede che il parlamento discuta e approvi una legge sul reddito minimo (e non di cittadinanza) entro 100 giorni. La petizione è stata firmata anche da esponenti dei Cinque Stelle come Luigi Di Majo, oltre che dalla Fiom di Maurizio Landini. Si tratta di una proposta di mediazione, considerata anche la dicitura “reddito minimo o di cittadinanza”.
L’espressione è destinata a produrre altri equivoci. In compenso
propone quattro principi per un accordo tra le parti in causa: il
reddito dev’essere individuale, sufficiente, congruo e riservato a
tutti i residenti. Per queste ragioni non va considerato come una
misura alternativa al sussidio di disoccupazione (la «Naspi» o il
«Dis-Coll» nel Jobs Act). Non è un sussidio contro la povertà
assoluta e non è un salario minimo, cioè la paga oraria più bassa,
giornaliera o mensile, che i datori di lavoro corrispondono agli
impiegati o agli operai. Il reddito minimo non va ristretto ad un
periodo entro il quale un lavoro «purché sia» dev’essere accettato, ma
al miglioramento complessivo della situazione individuale. Come
dimostrano le esperienze europee, si rischia sempre di adottare
misure vessatorie che danneggiano i beneficiari.
il manifesto, 2 aprile 2015
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