10 aprile 2015

L' EROS NELLA PITTURA DI TAMARA DE LEMPICKA








                                                                                                                        La bella Rafaela
 
Una grande mostra a Torino ripercorre l'opera di Tamara de Lempicka, collocandola nella storia sociale e culturale del Novecento.

Lea Mattarella

Eros e eleganza

Il primo quadro di Tamara de Lempicka riscoperto dopo quasi dieci anni di oblio, causato dagli insuccessi delle mostre parigine e americane del 1961, è La sottoveste rosa del 1927. Esposto a New York nel 1970 e poi nel 1972 riporta l'attenzione sulla pittrice polacca. Ed è come aprire un vaso di Pandora. Perché il dipinto incarna la sensualità, la libertà sessuale, l'idea del corpo femminile inteso non solo come elemento di seduzione, ma anche come fonte di piacere.

La modella è distesa in una posa indolente, guarda lo spettatore con aria provocante e nello stesso tempo soddisfatta, il braccio dietro la testa ricorda la posa della Venere dormiente di Giorgione: com'è noto, Tamara ammirava l'arte italiana del passato. «"Eccomi a Firenze!!"! Perché mai qui? Per lavorare, per studiare i cartoni del Pontormo, per purificarmi al contatto con la grande arte italiana, per respirare l'atmosfera di questa incantevole città», scriveva a Gabriele D'Annunzio nel 1926. 
 


Ma l'antichità è diventata un modo per raccontare una parte di sé intima e certamente non segreta. La fanciulla ritratta è la stessa inquadrata ne La bella Rafaëla dipinto pochi mesi dopo. Qui l'erotismo è ancora più dichiarato: in primo piano è il sesso della donna, seppure velato da un'ombra, e lo sguardo è immediatamente attratto dai suoi seni. Il quadro è quasi completamente monocromo, se si eccettuano due tocchi di rosso: un piccolo lembo di stoffa e le labbra semiaperte della donna.

Come sempre accade nei suoi dipinti la Lempicka ha destinato quasi tutto lo spazio della composizione al corpo. Le sue figure sembrano quasi stare strette nella tela, intorno a loro c'è poca aria, perché loro si impongono con la forza e la potenza di una scultura, racchiusa però all'interno di un'invisibile nicchia. La sensazione è sempre quella di trovarsi in un luogo privato.
    Le due amiche

Dipingere un corpo in maniera così esplicita era già tanto per una donna alla fine degli anni Venti. Ma se Rafaëla, oltre a essere la modella, è anche una delle amanti dell'artista immediatamente la fantasia si scatena sulla trasgressione e sul desiderio di libertà che, d'altra parte, Tamara interpreta così bene in ogni gesto della sua vita, in cui tutto appare calcolato per nutrire un mito, una leggenda: dagli (e dalle) amanti, dalle fughe, i viaggi, i cappelli, i guanti, gli abiti da sera… C'è una foto in cui è ritratta al cavalletto con un vestito nero, lungo, completamente trasparente, come se per lei la pittura nascesse dall'eleganza, dal glamour, come se i colori non rischiassero di sporcare. Chissà se ha mai indossato un camice da lavoro…
    Autoritratto sulla Bugatti

Le sue scene saffiche, come lo stupefacente Le due amiche, non sono meno disubbidienti e provocatorie di uno dei suoi autoritratti più famosi, quello in cui guida una Bugatti verde. Opera che qui a Torino si vede nella sua funzione di copertina della rivista Die Dame. Anche la guida di una macchina è un'arma da sfoderare. Tanto da far dire a Madame J. Bruno Ruby su Le Figaro: «L'automobile non segnerà soltanto un'epoca, ma sarà il simbolo di liberazione della donna: avrà fatto per spezzare le sue catene, molto più di tutte le campagne femministe e le bombe delle suffragette».

In realtà di strada ce ne sarebbe stata, e ce n'è ancora molta da fare. Ma di fronte alle opere della Lempicka è bello sognare che non sia andata così.


La Repubblica – 19 marzo 2015

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