La bella Rafaela
Una grande mostra a
Torino ripercorre l'opera di Tamara de Lempicka, collocandola nella
storia sociale e culturale del Novecento.
Lea Mattarella
Eros e eleganza
Il primo quadro di Tamara
de Lempicka riscoperto dopo quasi dieci anni di oblio, causato dagli
insuccessi delle mostre parigine e americane del 1961, è La
sottoveste rosa del 1927. Esposto a New York nel 1970 e poi nel 1972
riporta l'attenzione sulla pittrice polacca. Ed è come aprire un
vaso di Pandora. Perché il dipinto incarna la sensualità, la
libertà sessuale, l'idea del corpo femminile inteso non solo come
elemento di seduzione, ma anche come fonte di piacere.
La modella è distesa in
una posa indolente, guarda lo spettatore con aria provocante e nello
stesso tempo soddisfatta, il braccio dietro la testa ricorda la posa
della Venere dormiente di Giorgione: com'è noto, Tamara ammirava
l'arte italiana del passato. «"Eccomi a Firenze!!"! Perché
mai qui? Per lavorare, per studiare i cartoni del Pontormo, per
purificarmi al contatto con la grande arte italiana, per respirare
l'atmosfera di questa incantevole città», scriveva a Gabriele
D'Annunzio nel 1926.
Ma l'antichità è
diventata un modo per raccontare una parte di sé intima e certamente
non segreta. La fanciulla ritratta è la stessa inquadrata ne La
bella Rafaëla dipinto pochi mesi dopo. Qui l'erotismo è ancora più
dichiarato: in primo piano è il sesso della donna, seppure velato da
un'ombra, e lo sguardo è immediatamente attratto dai suoi seni. Il
quadro è quasi completamente monocromo, se si eccettuano due tocchi
di rosso: un piccolo lembo di stoffa e le labbra semiaperte della
donna.
Come sempre accade nei
suoi dipinti la Lempicka ha destinato quasi tutto lo spazio della
composizione al corpo. Le sue figure sembrano quasi stare strette
nella tela, intorno a loro c'è poca aria, perché loro si impongono
con la forza e la potenza di una scultura, racchiusa però
all'interno di un'invisibile nicchia. La sensazione è sempre quella
di trovarsi in un luogo privato.
Le due amiche
Dipingere un corpo in
maniera così esplicita era già tanto per una donna alla fine degli
anni Venti. Ma se Rafaëla, oltre a essere la modella, è anche una
delle amanti dell'artista immediatamente la fantasia si scatena sulla
trasgressione e sul desiderio di libertà che, d'altra parte, Tamara
interpreta così bene in ogni gesto della sua vita, in cui tutto
appare calcolato per nutrire un mito, una leggenda: dagli (e dalle)
amanti, dalle fughe, i viaggi, i cappelli, i guanti, gli abiti da
sera… C'è una foto in cui è ritratta al cavalletto con un vestito
nero, lungo, completamente trasparente, come se per lei la pittura
nascesse dall'eleganza, dal glamour, come se i colori non
rischiassero di sporcare. Chissà se ha mai indossato un camice da
lavoro…
Autoritratto sulla Bugatti
Le sue scene saffiche,
come lo stupefacente Le due amiche, non sono meno disubbidienti e
provocatorie di uno dei suoi autoritratti più famosi, quello in cui
guida una Bugatti verde. Opera che qui a Torino si vede nella sua
funzione di copertina della rivista Die Dame. Anche la guida di una
macchina è un'arma da sfoderare. Tanto da far dire a Madame J. Bruno
Ruby su Le Figaro: «L'automobile non segnerà soltanto un'epoca, ma
sarà il simbolo di liberazione della donna: avrà fatto per spezzare
le sue catene, molto più di tutte le campagne femministe e le bombe
delle suffragette».
In realtà di strada ce
ne sarebbe stata, e ce n'è ancora molta da fare. Ma di fronte alle
opere della Lempicka è bello sognare che non sia andata così.
La Repubblica – 19
marzo 2015
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