A Verona un viaggio in
170 opere racconta il rapporto tra l’ispirazione artistica e il
mondo di Dioniso, il dio dell'ebbrezza. Una figura ambigua già dalle modalità della nascita.
Maurizio Bettini
Nascita di Dioniso il più ambiguo di tutti gli dei
Semele, la figlia di Cadmo re di Tebe, chiese un giorno a Zeus di mostrarsi a lei nelle sue vere sembianze. Il padre degli dei l’aveva amata ed Hera, gelosa, per vendicarsi della rivale le aveva dato questo perfido consiglio: ben sapendo che una mortale non avrebbe mai sostenuto la vista di un dio. Fu così che la donna, non appena Zeus si disvelò alla sua vista, fu avvolta da una spirale di fiamme.
Il Padre degli dei ebbe
pietà del bambino che Semele aveva concepito da lui, Dioniso: e lo
strappò dal grembo della madre un attimo prima che il fuoco lo
divorasse. Ma come garantire al feto la possibilità di sopravvivere?
Zeus si aprì la coscia con un coltello, vi cacciò dentro il piccolo
e ricucì la ferita.Fu così che Dioniso,
compiutisi i mesi regolari della gestazione, venne al mondo.Se
volessimo guardare a questa vicenda con gli occhi di oggi, potremmo
dire che la nascita del futuro dio del vino aveva anticipato non una,
ma ben due pratiche ginecologiche moderne: il taglio cesareo e
l’impianto dell’embrione.
Solo che il mito non si
muove secondo le categorie della scienza, e neanche sta lì per
prefigurarle. L’essere stato strappato dal grembo della madre, e
soprattutto nutrito nella coscia del padre, aveva ben altra funzione:
quella di far diventare Dioniso ciò che altrimenti non sarebbe mai
stato, un dio.
Se infatti fosse stato
partorito da madre mortale e nutrito da lei, Dioniso sarebbe stato
solo un eroe, un semidio, come tutti gli altri figli di Zeus e di una
donna. In questo modo, invece, al corpo di Dioniso fu risparmiata la
componente materna, mortale – Zeus gli fece da padre e da madre. Ma
non c’è dubbio che, fin dal primo momento, il futuro dio del vino
venisse al mondo sotto il segno dell’ambiguità.
Così come ambiguo fu il dono che egli fece agli uomini, il vino: e contraddittorio, spesso violento, fu il modo in cui venne introdotto. Si raccontava infatti che Dioniso fosse giunto, in Attica, nella casa di Icario e Erigone, padre e figlia. Accolto generosamente, fece loro dono di un otre pieno di vino, esortandoli a far conoscere questa meravigliosa bevanda anche agli altri uomini. Icario ne donò dunque a un gruppo di contadini che, ubriachi, credettero di essere stati avvelenati, e lo uccisero.
La cagna di Icario, Mera,
ululando presso il corpo del padrone guidò fino a lui Erigone: che
disperata si impiccò. Fu così che molte altre ragazze ateniesi
seguirono il suo esempio, impiccandosi a loro volta, e fu solo dopo
un solenne sacrificio a Dioniso che quella folle epidemia ebbe fine.
Il fatto è che il vino entra con dolore fra gli uomini, suscitando
morti e violenze, e spesso la follia lo accompagna.
Così come follia, sangue
e disperazione segnarono la visita che Dioniso fece a Tebe, la città
di sua madre. Aveva assunto le sembianze di un giovane dai riccioli
biondi e profumati – i suoi occhi d’un cupo azzurro spiravano il
fascino di Afrodite. Gli abitanti furono afferrati dalla frenesia, le
donne si mutarono in baccanti, disperdendosi fra le selve, perfino i
vecchi presero i tirsi e indossarono pelli di cerbiatto.
Disgustato da questo
spettacolo il re Penteo tentò di far arrestare quel misterioso
straniero ma il dio delle allucinazioni (perché Dioniso era anche
questo) si prese gioco di lui nel modo più atroce. Il re, che si era
travestito da baccante per spiare che cosa facevano le donne, fu
scambiato per un cerbiatto da sua madre, Agave: venne ucciso, fatto a
pezzi, esibito a brani da una folla di donne impazzite. Quella
dionisiaca, diceva Platone, è una follia che gli dei offrono ai
mortali come un privilegio. Resisterle è spesso impossibile, cederle
può essere terribile.
La Repubblica – 12 aprile 2015
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