E' in libreria Homo
dieteticus dell'antropologo Marino Niola. Un viaggio (non privo di
ironia) fra crudisti, sushisti, vegetariani, vegani e le altre "tribù"
che della dietetica hanno fatto una nuova religione. Il libro
riprende e sviluppa una serie di articoli già apparsi su Repubblica.
Ne riproponiamo uno che tratta del rapporto tra alimentazione e
religione.
Marino Niola
Quello che passa il
convento
Più che sulla bilancia
il cibo pesa sulla coscienza. Lo dimostrano le privazioni cui ci
sottoponiamo da millenni. In principio per la salvezza dell'anima,
oggi per la salute del corpo. Una volta in nome di dio, adesso in
nome dell'io. Ma al di là delle motivazioni, spesso gli argomenti
e i comportamenti si somigliano in maniera sorprendente.
Certo è che da che
mondo è mondo religione fa rima con restrizione. Penitenza con
astinenza. Magrezza con purezza. Ne erano arciconvinti i Padri
della Chiesa, come Tertulliano che considerava il digiuno un
passaporto per la vita eterna. Di fatto il moralista di Cartagine
trasforma peso e taglia in misure spirituali. Sostenendo che i
corpi superslim passano più agevolmente per la porta del Paradiso,
che è notoriamente stretta come la cruna di un ago. Oltretutto, se
si è molto leggeri, il giorno del giudizio la resurrezione della
carne sarà rapida.
E non era da meno
sant'Atanasio, per il quale «il digiuno guarisce le malattie,
libera il corpo dalle sostanze superflue, scaccia i demoni, espelle
i cattivi pensieri, purifica il cuore». Insomma depura l' anima e
redime la carne. Come dire che l' Onnipotente è il supremo
dietologo dell' umanità e allontanarsi dalle sue prescrizioni non
solo nuoce gravemente alla salute ma è anche di ostacolo alla
salvezza.
Non a caso san Tommaso
d' Aquino nella Summa Teologica teorizza la necessità di eliminare
dal regime del buon cristiano tutti quei bocconi prelibati che
danno piacere e predispongono al peccato. Perché appetito e
desiderio sono due facce della stessa medaglia.
Lo diceva anche
Platone, cinquecento anni prima del Cristianesimo, quando
considerava copule e crapule, "etère e manicaretti", due
bombe a tempo per la Repubblica. E in fondo dall' antica cena di
Trimalcione ai più recenti Bunga Bunga corre un lungo filo rosso
che unisce letti e tavole.
E questo resta vero
perfino in una società apparentemente secolarizzata come la
nostra. A dirlo è l' antropologa femminista Elspeth Probyn dell'
Università di Sidney nel suo Carnal Appetites: Foodsexidentities
che individua negli chef televisivi - come Gordon Ramsey, Jamie
Olivere Carlo Cracco-i sex symbol del nostro tempo proprio in
quanto dispensatori di piaceri, ancorché alimentari.
Su questa linea
rigorista sono sempre state d' accordo tutte le religioni,
monoteiste e non solo. Se gli antichi Greci erano tenuti ad
astenersi dal cibo per prendere parte ai Misteri Eleusini e a
quelli Orfici, i Farisei non mangiavano per ben due giorni alla
settimana, il lunedì e giovedì.
Gli Ebrei invece
praticano l' astinenza in occasione dello Yom Kippur, il giorno
dell' Espiazione. Mentre i Musulmani lo fanno durante il periodo
del ramadan, quando la doppia rinuncia, alimentare e sessuale,
purifica l' uomo eliminando i principali fattori di corruzione
spirituale e di contaminazione fisica.
E nell'I n d u i s m o
, c o m e d i c e v a Gandhi, non c' è preghiera senza digiuno.
Stare a stomaco vuoto diventa una sorta di misura immunitaria e al
tempo stesso iniziatica. Una sacra quarantena. Come quella di
Pitagora che per quaranta giorni non tocca neanche una foglia d'
insalata alla vigilia del suo viaggio in Egitto per compiere il suo
percorso sapienziale di pensatore-guaritore.
Idem per Mosè che
resta a bocca asciutta "quaranta dì e quaranta nott" -
per dirla con il grande Enzo Iannacci - prima di ricevere le Tavole
della legge. E ripete la dieta quando si prepara a distruggere il
vitello d' oro.
Stessa durata ha il
digiuno di Gesù nel deserto e quello di san Francesco prima di
dettare la frugalissima regola del suo Ordine. Mendicante e
rinunciante. Al punto da vietare ai confratelli di possedere terra
da coltivare, scorte in dispensa e cantine piene. Un tantino più
concessivi i laboriosi Benedettini, i pazienti Certosini e i
sapienti Domenicani che in ogni caso devono accontentarsi di quel
che passa il convento. E comunque nei monasteri tirare la cinghia è
un atto di devozione quotidiana, a metà tra terapia e liturgia.
Insomma il minimo
comune denominatore di tutti questi stenti e patimenti è che
diminuire il peso del cibo compensa quello eccedente dei peccati.
Una bilancia metà fisica che mette su un piatto la carne e sull'
altro lo spirito. La sacralizzazione di un principio dietologico.
Come dire che il drenaggio del corpo elimina le tossine dell'anima.
E rende buoni, puliti e giusti. Più adatti all' incontro con Dio.
È per questo che i
cristiani osservano il cosiddetto digiuno eucaristico prima della
comunione. E per la stessa ragione le grandi sante, Caterina da
Siena, Chiara d' Assisi, Teresa d' Avila, sono passate alla storia
per il loro ascetismo estremo. Che trasforma le privazioni in un
superamento dei limiti del corpo.
Il celebre storico
americano Rudolph Bell, professore all' Università del New Jersey,
ha parlato di "santa anoressia". Una volta la chiamavano
anorexia mirabilis, cioè miracolosa, quasi fosse opera divina. È
questo il modello cui si ispirano le cosiddette fasting girls, le
ragazze inappetenti che nell' Inghilterra vittoriana trasformano il
digiuno in un gesto di contestazione dell' ordine patriarcale. Una
sorta di femminismo alimentare che svuota letteralmente il loro
corpo per renderlo inadatto alle funzioni e alle mansioni cui
sarebbe destinato. Come dire che se la società maschilista vuole
chiudere la bocca alle donne, loro non la aprono neanche per
mangiare. Facendo di questo singolare sciopero della fame la
fragorosa rottura di un format etico ed estetico.
Così la privazione si
smarca dalla religione. E lascia il campo alla medicina, alla
politica, all' estetica. E alla dietetica. Che fa dell' astinenza
un cammino di salvezza terrena, una forma di ascetismo
secolarizzato. Un decalogo della wellness. Fatto di comandamenti
igienisti e di fioretti laici. Che trasformano ancora una volta il
cibo in un campo di battaglia tra bene e male, mascherati da salute
e malattia. Esasperando il culto del benessere fino a farne una
forma di penitenza, con il Bio al posto di Dio. È quel che
facciamo un po' tutti noi quando ricorriamo al tè verde come
esorcismo e alla prugna umeboshi come vade retro. Rischiando
qualche volta di vivere da malati per morire sani.
La Repubblica - 29
luglio 2013
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