Maria Elena Boschi, Ministro per i Rapporti con il Parlamento
Si
narra che Craxi avesse riempito di nani e ballerine il suo entourage
politico. Bei tempi! Oggi i nani e le ballerine non fanno più
contorno, ma sono al centro della scena.
Francesco Merlo
Se i bimbi
cantano il culto di Matteo
La canzone era così servile che avrebbe messo in imbarazzo i nordcoreani. Perciò Renzi, che ha fama di disobbediente («sono un po’ bullo»), avrebbe dovuto liberare, fare discoli e mandar fuori a giocare quei poveri figli di Siracusa che gli cantavano «facciamo un salto / battiam le mani / muoviam la testa/ facciam la festa».
Diciamolo più chiaro: se fosse stato ancora lo stesso che, appena eletto segretario, scelse come inno “Resta ribelle” dei Negrita, Renzi avrebbe certamente intonato «prendi una chitarra e qualche dose di follia / come una mitraglia sputa fuoco e poesia». E, con l’incitamento a contestare e a irridere i maestri, avrebbe coperto quei miagolii che dai maestri erano stati imposti: «Presidente Renzi, da oggi in poi / ovunque vai, non scordarti di noi».
Non l’ha fatto e l’Italia intera lo ha visto ubriaco di lusinghe. Ha cominciato ad abbracciare tutti e «Facebook non vale un abbraccio» ha detto, e pensate quanto sarebbe stato renzianamente bello sentirgli invece dire: «Disobbedite, se volete il mio abbraccio». Anche quel vezzo stucchevole di farsi chiamare Matteo più che da sindaco d’Italia sta diventando un tic da televisivo, non statista in versione Vasco Rossi ma imbonitore in formato Antonella Clerici, quella di “Ti lascio una canzone” che è appunto la fiera del bambino da salotto, tutto moine e mossette, che nessuno, soprattutto a sinistra, vorrebbe avere per figlio.
C’era in più, in quella filastrocca cortigiana, anche il tentativo del glamour, con il clap and jump, e persino con il blues, la disposizione in semicerchio, il gioco perverso di regolare gli evviva e gli applausi, la fatica ruffiana di tradurre e adattare un testo inglese. Tutto questo per aggiungere charme al solito immaginario canoro degli italiani: una spruzzatina del Sanremo di Fabio Fazio sui bimbi- scimmiette del Mago Zurlì. Ecco il punto: Renzi ha tutto il diritto di girare le scuole d’Italia, se è questa la sua cifra di politica popolare, ma per cambiarle, come aveva promesso, e non per degradarle a serbatoi delle sue majorettes.
Capisco che qui è facile il paragone con l’uso dei bambini nei totalitarismi, sul quale infatti si è banalmente esibito Beppe Grillo: i figli della lupa, gli avanguardisti della ventisettesima legione che salutavano il duce intonando “Giovinezza”, oppure “i battaglioni della speranza”, ragazzini dai dodici a quattordici anni che cantavano nelle parate dell’Est europeo. La verità è che anche in democrazia troppo si abusa dei giovanissimi, perché fa un sacco bello lasciare che i bambini vengano a noi e, come ha scritto Milan Kundera, “nessuno lo sa meglio degli uomini politici: quando c’è in giro una macchina fotografica si precipitano verso il bambino più vicino per sollevarlo in aria e baciarlo sulla guancia”.
A Siracusa dunque non c’è stata la manipolazione sordida tipica dei regimi ma lapaideia, il tentativo di ridurre i bambini a protesi ornamentale, di formarli alla piaggeria e all’adulazione: “non insegnate ai bambini la vostra morale /è così stanca e malata potrebbe far male” cantava il Gaber citato da Renzi persino nei libri. Gaber li vedeva cantare e battere le mani e pensava che facessero “finta di esser sani”, Renzi invece li ha passati in rassegna dando a tutti il cinque.
Ma ieri a Siracusa ho visto di peggio. Un retroscena rivela infatti che nell’esibizione di quella scuola di borgata, vicina alla chiesa di Lucia, santa e sempre più cieca, non c’è stato solo l’accanimento politico - e ridicolo - del sindaco Giancarlo Garozzo.
Ecco il colpo di
scena: la preside Cucinotta, che è la vera regista
responsabile dello spettacolino, e la sua vice Katya De Marco
sono accanite militanti di Forza Italia. E dunque io, che da
quelle parti sono nato, ci ho visto soprattutto la tristezza
infinita di un Meridione che è ancora e sempre lo scenario
naturale dello zio d’America, e mi sono ricordato che Silvio
Berlusconi a Lampedusa fu accolto come un messia, come un
conquistador.
Perché sempre così è salutato l’uomo potente che viene da fuori, l’uomo del cargo che può essere un capopartito, un cantante, un calciatore, un presidente del consiglio o non importa chi, purché venga appunto da fuori.
Renzi si rilegga, per risarcire l’Italia, Carlo Levi che racconta di quel tal Vincent Impellitteri che - cito a memoria - tornato dall’America, entra in paese (era la provincia di Palermo e non di Siracusa) su una lussuosa macchina scoperta, ed è accolto dalla gente in festa che lo tratta come uno sciamano: «‘Tuccamu a machina, così ce ne andiamo in America’ gridavano i ragazzi del luogo». Ebbene, Impellitteri non solo non li abbraccia e non dà loro il cinque, ma si addolora e si rattrista al punto che si mette a piangere.
La Repubblica – 6
febbraio 2014
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Peter Gomez
Giovani Gattopardi
A dimostrazione di
come il potere non sia solo “il più grande afrodisiaco” (parola
di Henry Kissinger), ma di come dia pure alla testa, il ministro per
i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, ci mette meno di
quattro minuti per demolire, agli occhi dell’Europa e dei
cittadini, un altro pezzo di credibilità del governo Renzi.
Quando il M5S le chiede
come mai sia stata nominata sottosegretario Maria Teresa Barracciu,
fatta ritirare proprio da Renzi dalla corsa per la presidenza della
Sardegna perché sotto inchiesta per peculato, lei non spiega. Ma dice
che Barracciu è un’amministratrice esperta, che è stata pure
europarlamentare, e che in ogni caso l’esecutivo “non chiede le
dimissioni di ministri e parlamentari sulla base di un avviso di
garanzia”. Per tutti loro “vale il principio di innocenza” e le
loro eventuali dimissioni saranno valutate solo al termine
dell’inchiesta penale.
Diventa insomma chiaro
che per l’esecutivo promuovere sottosegretari, ministri e
viceministri degli indagati o degli imputati – ce ne sono altri 4 –
non è stato uno sbaglio, ma una scelta. Nonostante i tanto
pubblicizzati buoni propositi di Renzi (“dobbiamo ridare
credibilità alla politica”, “dobbiamo essere degni di onore”)
non passa nemmeno tra i sedicenti rottamatori l’idea che chi
ricopre cariche pubbliche abbia degli oneri diversi rispetto a quelli
dei normali cittadini.
E che il principio di non
colpevolezza debba sempre valere in tribunale, ma che nelle
istituzioni del secondo paese più corrotto d’Europa sia invece
necessario ricorrere a criteri di elementare buon senso. Cose del
tipo: non fa carriera chi non ha ancora chiarito la propria
posizione.
Intendiamoci, questo non
è grave tanto per gli elettori. Loro, intanto, ai gattopardi e ai
bugiardi ci hanno fatto il callo. È pericoloso invece per il Paese.
Renzi, nel giorno in cui la Ue retrocede l’Italia tra le nazioni il
cui debito rischia di finire fuori controllo, invia un segnale
devastante: non siamo cambiati. Anzi siamo peggiorati. E questo per
chi vive in Capitali dove ci si dimette per aver pagato in nero la
colf, è peggio di un downgrade. Perché nessuno darà mai credito e
fiducia agli impegni di un governo che, a torto o ragione, sospetta
essere come sempre popolato da ladri e da corrotti. Povera Italia. E
poveri italiani.
il Fatto – 6 marzo 2014
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