01 marzo 2014

i corpi di Scheele


CORPI SOLI
Le ginocchia serrate e i seni aperti. La linea è spigolosa e il colore è acceso, più rosso sulle gambe come se fosse stata a lungo inginocchiata sul pavimento freddo. Verdastra la pelle del ventre, tesa inverosimilmente, quasi incavata. Soltanto i capelli esplodono. Arancio, in accordo al resto.

Il rosso invade la superficie non occupata dall’ingombro del corpo, dalla massa voluminosa dei capelli neri, dall’intreccio delle dita con unghie rosa. Non c’è rilievo per l’assenza del corpo amato. Solo per mani e membra sovrapposte. Si può ancora caricare il rosso con altro rosso.
Non è solo la posa intima e confidenziale assunta dai due corpi che parlano sorridendosi, né il fatto che sono nudi a dirci della loro perfetta aderenza a cui corrispondono persino lenzuola in tonalità accordate. E’ quella strisciata di blu fra le pennellate brune dei capelli ad amalgamare gli amanti.
Si offre con un’inclinazione delle anche, scoprendo fra le gambe non chiuse, attraverso cui uno spiraglio di vuoto s’incunea, un sesso rosso. Ci guarda invitante. Sembra prendibile proprio mentre oppone strenua chiusura attraverso il nero.
La carne ha riflessi lividi, terrosi, carne diaccia sul pavimento lavagna. Il bagliore d’un reggicalze rosso carminio e la bocca che si offre non accendono alcunché. Fra le cosce, siamo vicini a vedere il sesso, basterebbe sollevare la gonna.
Un corpo è sempre in compagnia o in colloquio con un abito, una stoffa che dichiara il colore che la composizione deve avere. Il vermiglio pulsante o il blu profondo si riflettono sulla pelle con riverberi non prevedibili. Colore aggettiva le membra.
Egon Schiele, Abbraccio, 1917
Amanti si torcono, semiaperti e sbilenchi, indossando abiti improbabili, coperti in realtà soltanto dalla capigliatura. Corpo, a cui è sfuggito il corpo amato, appare disarcionato.
Colore si stampiglia sulle carni altrimenti eburnee, non distinguibili dal foglio. Graffia il corpo, ne evidenzia con un segno nero le costole e le fosse alla base del collo, i lividi della mancanza e i capelli ancora vivi.
Lo spazio, al contatto con gli arti, acquista una fluorescenza bianca, da calco, come se vi si ripercuotesse una curvatura per la presenza d’una sostanza sacra.
Lei, inginocchiata, si volge nell’atto di togliersi il vestito e mostra un fondoschiena simile alla parte bassa d’un violoncello. Capelli attorcigliati stanno per le chiavi che serrano le corde d’uno ostinato sentire.
Il corpo svanisce, appena sagomato da una linea nera, tuttavia la matassa dei capelli rossi non accetta di appiattirsi sul foglio.
Emergono, dal fondo indifferenziato – color carta da pacco o fondale d’oro fugato – labbra semiaperte da un dito che tocca la lingua. Baluginano due occhi chiari a costellare di moine l’invito indeclinabile.
Più sfrontata appare l’offerta dei seni e del sesso, se marcati da un rosso carminio che accende la carne e si scurisce come un fiotto di sangue raggelato, ma solo sul reggicalze e sui capelli. Il bianco, che separa la figura dal fondo, avverte che la visione non è restituita a uno spazio comune.
Uno stralcio della sua figura emerge dalla curva bianca del lenzuolo che le braccia involano nell’aria per liberare la testa e il busto, sì che il sesso nero è ora il baricentro del foglio, il centro del mondo dell’osservatore.
Il corpo studiato da angolature scomode. L’osservatore cerca di restituire la lingua nera delle calze che s’insinuano sotto la gonna, ma sa che guardare non è possedere.
Un corpo resta aggrappato alla carta senza sapere come muoversi se lasciato solo, e resta immobile in attesa dello sguardo amato.   
Si potrebbe credere che ogni corpo giaccia in una stanza dove l’arancione è il colore più forte, e che inutilmente reclami che lo sguardo si distolga dall’unica zona d’interesse.
Sembrano marionette, corpi riempiti di stracci con gote volgarmente rosse e sessi tinti. Sono spettri, lividi o artefatti, sono corpi soli.
Altri esseri umani mimano l’abbraccio. Stringono l’aria, hanno lo sguardo chiuso, sentono il cuore palpitare. Sono persone che si offrono allo sguardo, prima dell’incontro. Prima dell’indissolubile. Eternamente rinviato.
Egon Schiele, 1917
[Tratto da Trasversale     e da http://rebstein.wordpress.com ]
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Rosa Pierno è nata a Napoli nel 1959. Laureata in Architettura, vive a Roma. Dal 1993 collabora come redattrice alla rivista di ricerca letteraria “Anterem” diretta da Flavio Ermini. Ha pubblicato i libri: “Corpi”1991; “Buio e Blu”; “Didascalie su Baruchello” 1994; “Interni d’autore” 1995; “Musicale” 1999; “Arte da camera” 2004; “Trasversale” 2006 (vincitore Premio Feronia – sezione poesia); “Coppie improbabili” 2007; “Artificio” 2012. Svolge intensa attività critica. E’ presente in numerose riviste, antologie e cataloghi d’arte.

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