Sull’uso imperialistico della lingua inglese
3 marzo 2014 | 0 commenti
di Valerio Magrelli
[Questo articolo è uscito sull'ultimo numero de «il Reportage»].
A partire dal 2001, ogni 26 settembre
viene dedicato alla celebrazione delle lingue europee. L’Europa possiede
infatti un tesoro linguistico, tanto che si possono contare
ventiquattro lingue ufficiali e oltre sessanta comunità autoctone che
parlano una lingua regionale o minoritaria (senza dimenticare le lingue
parlate dai cittadini originari di altri Paesi). Per attirare
l’attenzione su questa immensa ricchezza, l’Unione europea e il
Consiglio d’Europa decisero che il 2001 fosse proclamato Anno europeo delle lingue. Dal successo dell’iniziativa è nata dunque la Giornata europea delle lingue,
un appuntamento con cadenza annuale e con il triplice obiettivo di
sensibilizzare il pubblico al plurilinguismo in Europa, coltivare la
diversità culturale e incoraggiare l’apprendimento delle lingue da parte
di tutti, dentro e fuori il contesto scolastico.
Non può, tuttavia, passare sotto
silenzio il fatto che, pochi giorni prima della felice data, ha avuto
luogo un altro evento, in questo caso assai più problematico. Venerdì 6
settembre 2013 si è infatti celebrato il Settantennale del cosiddetto
“discorso-manifesto di Harvard”, in cui Winston Churchill (in occasione
della laurea honoris causa) spiegò i piani volti
all’affermazione di un imperialismo “per via linguistica”, ossia basato
sulla capillare diffusione dell’inglese. Come segretario
dell’Associazione radicale “Esperanto”, Giorgio Pagano ha di recente
denunciato questa sorta di invasione culturale, parlando di un autentico
genocidio dell’italiano: a suo parere, sin dal 1943, americani e
inglesi puntarono alla dominazione linguistica, più che all’antica e
screditata pratica dell’occupazione coloniale. Ma ascoltiamo i passi
salienti della breve ma incisiva conferenza in questione.
Proprio mentre si avvia al termine,
Churchill si degna di menzionare il grande Bismarck (perché una volta,
precisa, “c’erano grandi uomini in Germania”). Secondo il primo
Cancelliere tedesco, il fattore più potente nella società umana, verso
la fine del XIX secolo, fu il fatto che i popoli britannici e americani
parlassero la stessa lingua. Da qui il commento del politico inglese,
secondo cui il dono di una lingua comune costituisce un’eredità
inestimabile, tanto da potersi tradurre nel fondamento di una
cittadinanza comune. L’intervento prosegue segnalando la proposta,
inoltrata al governo britannico, di costituire un comitato di ministri
per studiare e riferire sull’Inglese Basic (che sta per Britannico
americano scientifico internazionale commerciale): “Eccovi il piano,
composto da un totale di circa 650 nomi e 200 verbi o altri parti del
discorso – non più, comunque, di quello che può essere scritto su un
lato di un singolo foglio di carta”.
Una volta presentato il nuovo strumento
di colonializzazione, descritto come “un potente fertilizzante e il
fiume dell’eterna giovinezza”, Churchill conclude: “Questi piani offrono
guadagni ben migliori che portando via le terre o le provincie agli
altri popoli, o schiacciandoli con lo sfruttamento. Gli imperi del
futuro sono gli imperi della mente”. Appunto di questi “Imperi della
mente”, ha osservato Pagano, siamo oggi noi tutti gli schiavi
consenzienti. Prova ne sia che già diverse università italiane, sia pure
fra contrasti e riserve, propongono di erogare i loro corsi in inglese.
Resistere? Desistere? Il minimo che si possa fare è almeno
interrogarsi, documentarsi e mantenersi in allerta. Insomma: “We must be
extremely vigilant”.
E forse sarà bene concludere con un
sonetto del grande poeta spagnolo José Bergamín, che già nel 1962
culminava nell’invenzione del termine “cocacolìo” (da Coca-Cola…).
L’Europa non parla greco, che parla inglese
credendo che stia parlando l’europeo:
babelico belato e balbettio
che si americanizza da vichingo.
credendo che stia parlando l’europeo:
babelico belato e balbettio
che si americanizza da vichingo.
Mai un impero carolingio sognò
un così incontinente cocacolìo.
Né mai Bonaparte trovò al suo desiderio
una tale risposta, responso, né resistenza.
un così incontinente cocacolìo.
Né mai Bonaparte trovò al suo desiderio
una tale risposta, responso, né resistenza.
Risposta che è scommessa perduta.
Responso alla defunta Gran Bretagna.
Resistenza di chi più vuole essere più alto.
Responso alla defunta Gran Bretagna.
Resistenza di chi più vuole essere più alto.
E mentre si ignora e si sente la mancanza
di un’Europa che, quando lo fu, fu latina,
non si parla più cristiano neanche in Spagna.
di un’Europa che, quando lo fu, fu latina,
non si parla più cristiano neanche in Spagna.
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