Marina Montesano
Tra I e IV secolo
una nuova realtà si impose nella società circummediterranea,
contribuendo forse più di qualunque altra
componente a mutarne, a rinnovarne,
sotto certi aspetti a sconvolgerne la natura: al punto
tale che, fra XVIII e XX secolo, molte furono le voci di uomini
di cultura e anche di storici che accusarono
il cristianesimo di aver causato la «decadenza»
e la «caduta» dell’impero romano. Accuse del genere
appaiono oggi desuete e datate. Quella cristiana
rappresentò comunque, senza dubbio, una grande
rivoluzione la cui storia è stata raccontata
e ripensata molte volte, di recente da Robert Louis Wilken
nel suo I primi mille anni. Storia globale del
cristianesimo .
Nonostante il
titolo dell’opera parli dei «primi mille anni», buona parte del
testo è dedicata alla primissima
affermazione, quella che cronologicamente
coincide con l’età che oggi si tende a definire
come «tardoantica». La seconda metà del millennio,
infatti, prende grossomodo un terzo del libro, ma Wilken
(e questo è un elemento se non di assoluta
novità, quantomeno insolito) guarda oltre Roma
e Costantinopoli, pe descrivere in brevi ed
efficaci capitoli le forme che il cristianesimo
assumeva man mano che arrivava all’Armenia, all’Etiopia,
all’India.
Scrive l’autore:
«L’Etiopia è un esempio particolarmente
vivido del modo in cui il cristianesimo assunse forme
differenti presso differenti popolazioni.
Sebbene avesse subito l’influenza del cristinesimo
egiziano, e fosse vicina alla Nubia, l’Etiopia creò una
cultura cristiana propria. Lo storico Peter
Brown ha coniato la dicitura «microcristianità»
per descrivere questo fenomeno. Ciascuna Chiesa
nazionale possedeva tutti i segni della fede
cristiana, vescovi, credo, liturgia, Scritture,
sacrameni, monachesimo, e in tal senso creava un
intero mondo cristiano, tuttavia la forma che la vita
e le istituzioni cristiane assumevano
variava in modo sostanziale».
Wilken dedica anche
diversi capitoli alla diffusione dell’Islam lungo
le sponde del Mediterraneo fino alla penisola
iberica, e alla condizione dei cristiani
sotto i nuovi dominatori.
Traspare, dalle
parole dell’autore statunitense, come il successo
di questa diffusione fosse in larga parte dovuto ai
cattivi rapporti fra le Chiese locali e Bisanzio,
a causa delle divergenze teologiche e delle
conseguenti persecuzioni. Per esempio,
a proposito dell’Egitto, leggiamo: «Il capo
della comunità cristiana copta, la più grande
confessione cristiana d’Egitto, era Beniamino.
Al momento dell’invasione islamica si era nascosto, non
per paura dei musulmani, ma per sfuggire alla
persecuzione di Ciro, inviato in Egitto proprio
per sottomettere i cristiani copti
e riportarli all’interno della Chiesa imperiale».
Tuttavia
l’argomento resta appena accennato e il tema non viene
esplicitato. Il che ci porta al problema principale
di questo libro. Wilken sembra interpretare
l’affermazione del cristianesimo come un processo
senza particolari scossoni.
Questo si traduce
nello scarso peso che viene dato alla decisione di Teodosio
(379–395), ribadita dai suoi successori, di
proclamare il cristianesimo religione
di stato e di bandire conseguentemente
ogni culto «pagano». A quel tempo, i cristiani
erano una minoranza, per quanto importante, in seno
all’impero; e il trionfo del cristianesimo
sulle altre fedi avvenne non solo grazie alle buone opere (che
certo non mancarono) e alla predicazione,
ma anche a imposizioni e persecuzioni
violente.
Nel 397 l’imperatore
d’Oriente Arcadio decretò che i materiali
prelevati dai templi pagani sarebbero stati
reimpiegati per l’edificazione di opere pubbliche,
dando così ulteriore impulso alla demolizione dei
santuari. Agli inizi del secolo successivo bande di
«circumcellioni», cristiani al servizio
dei vescovi egiziani, al grido di «Dio sia lodato!»
pestavano e spesso ammazzavano a bastonate
coloro che rifiutavano la conversione
e tenevano in vita la cultura precristiana.
È il caso di Ipazia,
nata in Alessandra verso il 370 d.C. e vissuta
fra Atene e la sua città natale; era figlia del matematico
Teone e matematica lei stessa. Dopo un soggiorno
ad Atene, rientrò ad Alessandria dove aprì una
scuola nella quale commentava Platone ed
Aristotele. Per mano dei circumcellioni
Ipazia subì un orribile martirio, ma il suo
nome non compare nel libro di Wilken. Certo anche per
mancanza di spazio, in un testo che deve condensare
tanti argomenti in un numero relativamente
scarno di pagine.
Il consiglio
che si può dare, però, è quello di leggerlo sì, ma
accompagnandolo almeno al testo, pure abbastanza
recente, di Franco Cardini, Cristiani perseguitati
e persecutori (Salerno Editrice, pp. 188,
12,50 euro). Perché il carattere rivoluzionario
del cristianesimo emerga nella sua complessità
e non si tramuti in una sorta di progresso
«naturale» della storia dell’umanità.
Il Manifesto - 13
febbraio 2014
Robert Louis Wilken
I primi mille anni.
Storia globale del cristianesimo
Einaudi, 2014
euro 30
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