Eccezionale
ritrovamento della Missione francese sulla costa di Suez: una caverna
restituisce papiri che raccontano il colossale cantiere attraverso
date, organizzazione del lavoro e trasporto dei materiali.
Paolo Matthiae
La Piramide di Cheope:
ecco le carte
È stato il più gigantesco cantiere architettonico di tutti i tempi per l’intera durata dell’Antichità e del Medioevo, fino agli albori dell’Età moderna. Considerata in età ellenistica una delle sette meraviglie del mondo, la Piramide di Cheope, eretta negli anni attorno al 2600 a.C., impegnò migliaia di operai e artigiani di altissima specializzazione.
È probabile che il suo
architetto sia stato il principe Hemiunu, figlio del vizir Nefermaat
e della sua sposa Itet e nipote di Snofru, fondatore della IV
Dinastia, vizir anch’egli e «sovrintendente dei lavori del re»,
che fu sepolto in una delle tombe a mastaba localizzata su uno dei
lati del gigantesco sepolcro di Cheope. La sua immagine ci è
conservata in un’impressionante scultura del Pelizaeus Museum di
Hildesheim.
Inattese testimonianze sulla complessa organizzazione dei lavori che permisero la realizzazione della straordinaria ultima dimora del faraone che una tradizione assai antica, ancora viva all’inizio del III secolo a.C (quando il sacerdote Manetone scrisse per i nuovi signori dell’Egitto di stirpe macedone dopo la conquista di Alessandro) dipingeva come un inflessibile tiranno, vengono dalle scoperte recenti di una Missione archeologica francese dell’Università di Paris-Sorbonne e dell’Institut Français d’Archéologie Orientale, guidata da Pierre Tallet, allo Wadi el-Jarf sulla costa occidentale del Golfo di Suez.
In questa località sono venute alla luce installazioni marittime, che sono state definite a ragione le più antiche del mondo, databili tra la fine della III e gli inizi della IV Dinastia del regno faraonico: un molo composto di due segmenti ortogonali lunghi 160 e 120 metri, proteggeva un bacino d’ancoraggio di più di due ettari di superficie dove sono ancora più di una ventina di ancore disperse sul fondo del mare.
A circa 200 metri di
distanza sono state identificate cellette disposte a pettine in due
campi, dove sono state trovate un centinaio di ancore in calcare,
alcune iscritte in caratteri geroglifici corsivi con i nomi di
battelli o di equipaggi. A una distanza di circa 6 chilometri sono
stati identificati i resti di accampamenti faraonici con serie di
gallerie scavate nella roccia che dovevano servire per custodire
materiali appartenuti a equipaggi di piccole imbarcazioni dei primi
decenni dell’antico Regno.
All’ingresso di una di queste gallerie, bloccate da grossi massi squadrati che dovevano sigillare questi apprestamenti quando furono abbandonati, sono stati trovati un’ampia serie di resti di papiri nei quali compare ripetutamente il nome di Cheope.
Papiro di Wadi el-Jarf
In una cinquantina di
frammenti di papiro, che costituiscono la più antica documentazione
papirologica finora scoperta in Egitto, si trovano inattese
informazioni sui lavori preparatori della costruzione della Grande
Piramide, risultanti da due serie distinte di documenti, che possono
essere definiti, da un lato, contabilità e, dall’altro, veri e
propri giornali di bordo.
Uno dei documenti contiene una data che corrisponde al 26° o 27° anno di regno di Cheope, mentre i testi fanno riferimento alle equipe impegnate nella costruzione dell’immenso sepolcro, che raccoglievano un migliaio di lavoratori e che erano suddivise in manipoli, detti “tribù”, di 200 operai, di cui sono riportati i nomi: la «Grande», l’«Asiatica», la «Prospera», la «Piccola».
Una perfetta macchina
organizzativa era prevista: nei documenti sono registrati, per
ciascun manipolo, l’ammontare della dotazione prevista, quello di
quanto realmente consegnato e, infine, il residuo presente
nell’accampamento, mentre tra le registrazioni appaiono i nomi dei
nòmoi, le provincie dell’antico Egitto, con quanto avevano versato
in granaglie per il mantenimento dei lavoratori.
Wadi el-Jarf. Resti del porto
Per quanto concerne, invece, i giornali di bordo, questi, in maniera del tutto inaspettata, fanno riferimento proprio al trasporto per via fluviale verso Giza delle gigantesche lastre della pregiata pietra di Turah che venne utilizzata per il rivestimento della Grande Piramide, il cui nome antico era «Orizzonte di Cheope»: i papiri citano il transito delle pietre verso la «Porta dello Stagno di Cheope», che doveva essere la sede del distretto amministrativo creato per il coordinamento dei lavori di realizzazione del gigantesco progetto.
Erodoto, più di 2000 anni dopo la costruzione, afferma che per la costruzione della Grande Piramide lavorarono 100mila uomini per 20 anni. Nelle ricostruzioni moderne si ritiene verosimile che furono in realtà impiegati tra 20mila e 30mila uomini divisi in gruppi di 2mila lavoratori per l’estrazione, il trasporto e la messa in opera di blocchi di pietra del peso, solo in media, di circa 2 tonnellate e mezza.
Le recenti straordinarie scoperte della Missione francese permettono oggi di controllare queste teorie, per verificare le quali nella stessa Giza negli anni passati fu costruita una piccola piramide moderna chiamata la piramide «Nova» secondo le tipiche e suggestive procedure dell’archeologia sperimentale.
Ma nessuno poteva immaginare che stupefacenti documentazioni epigrafiche contemporanee del grande faraone potessero confermare gli audaci calcoli degli egittologi di oggi.
Il Sole 24 ore - 29
marzo 2015
Franco Virga , se non è riduttivo , “potrebbe” essere il mio addetto stampa. La metà dei suoi argomenti sono i miei. Non sono ne mi sento Forrest Camp, ma se il Virga tratta argomenti che “conosco” non è colpa mia. Ultimamente mi sono inserito poco sui suoi post perché la cosa dava fastidio e il Virga quando fa il Salomone non mi piace. Proprio lui che ha combattuto tutta la vita mi censura …
RispondiEliminaPaolo Matthiae è stato più che Paladino una specie di Schliman moderno. Dobbiamo a lui la scoperta della biblioteca di Ebla e al nostro compaesano Pettinato la parziale traduzione . Io lo incontrai a Milano durante i mercoledi letterari quando lo lasciarono parlare per due ore in piedi poggiando una mano su un tavolo per non cadere. Mi ricorda quando il premio nobel per la medicina venuto a ritirare il premio poesia nessuno gli chiese se quel giorno avesse mangiato.” Sanicola non lo faccio da due giorni… ho una fame… “ . Quando suggerii al Matthiae di sedersi sul tavolo da bianco riprese colore…
Era tempo che non avevo sue notizie . Forse è tornato in Siria o ad altri cantieri giovanili ed invece eccolo nel luogo dove meno pensavo e con una notizia che già in parte conoscevamo. I contratti di lavoro, le casematte degli operai, ecc. in parte ciò era già noto. Ora non so se si tratta di nuove scoperte, ma certamente sapere che il Paolo Matthiae è ancora in servizio è una bella notizia e quindi corro a recuperare tutti i suoi testi su Ebla…
Mentre ringrazio il Virga vorrei ricordagli che anche lui andrebbe qualche volta censurato, ma certo non da me. In ogni caso lo ringrazio per avermi fornito l’ultima fatica del Lombino…
Caro Onofrio, credevo d'avere chiarito il malinteso; ma, evidentemente, non sono stato sufficientemente chiaro. Questo blog è aperto a tutti, anche a chi la pensa diversamente dal curatore. Non c'è spazio solo per gli insulti e le offese personali. Buona Pasqua!
RispondiEliminaDimenticavo di ringraziarti per la grande considerazione ( "addetto stampa") che mostri di avere per me...
RispondiEliminaNon ricominciamo ... avere a disposizione una ventagliata di "aggiornamenti" sul mondo culturale è una fortuna che ti risparmia di "sfogliare" proprio la rassegna stampa. Questo intendevo .
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