Alle Scuderie del
Quirinale i dipinti con soggetto religioso e i ritratti della società
di Bruges che resero celebre il maestro del Quattrocento
Cesare De Seta
Memling Il pittore che
inventò il Rinascimento fiammingo
Le scuderie del Quirinale propongono da decenni ritratti di grandi artisti di ogni tempo e le mostre hanno una coerente tenuta che sarebbe piaciuta a Joachim Winckelmann e a Edward Gibbon. In questa sontuosa galleria l’ultimo busto è quello di Hans Memling pittore d’origine tedesca, nato a Seligenstadt, presso Francoforte (1435-40 circa), e morto cinquecento anni fa. Nel 1465 è documentato che Memling fosse a Bruges e per trent’anni qui ebbe il suo atelier divenendo pittore amatissimo dalla comunità. Nelle Fiandre operarono sommi artisti quali i fratelli van Eyck a Gand e Rogier van der Weyden a Bruxelles: nel XV secolo queste luci dell’arte di ogni tempo splenderono nei Paesi Bassi.
Le società di Bruges e
Gand erano ricche e colte, amanti delle arti come poche altre
oligarchie commerciali in Europa. Coordinate sufficienti per
intendere quale fosse il milieu in cui Hans intinse il suo pennello.
Non è affatto provato che il suo maestro fosse stato van der Weyden
come sostenne Vasari nelle due edizioni delle Vite (1550,1568), ma è
certo che le ombre di Rogier, quella dei van Eych e di Peter Christus
sono una presenza ben visibile.
I documenti sono utili, ma è più necessario l’occhio per stabilire relazioni tra contemporanei così vicini per ragioni stilistiche e iconografiche. Si aggiunga che spesso i soggetti religiosi sono strettamene analoghi.
La mostra Memling. Rinascimento fiammingo , fino al 18 gennaio 2015 alle Scuderie del Quirinale (organizzata da Azienda Speciale Palaexpo, in coproduzione con Arthemisia Group con la collaborazione di Flemish Art Collection Museums of Fine Arts), a cura di Till-Holger Borchert, rinomato specialista del maestro (catalogo Skira), è articolata in sette sezioni che rivoltano come un guanto la sua opera e sottolineano lo stretto legame che questa congrega d’artisti intessé per tutto il Quattrocento con l’Italia e la Spagna. Nulla si sa dei canonici quattro anni di apprendistato, né se Memling avesse fatto il classico Wanderjahre che portava i pittori tedeschi da una città all’altra.
È probabile che il
giovane prima di trasferirsi nelle Fiandre fosse stato a Colonia,
visto che la cattedrale compare in numerosi dipinti con le gru del
cantiere. L’influenza dei ricordati pittori è sia nei ritratti che
nei paesaggi che assai spesso sono fondo alle composizioni. Ricorrono
in molte tavole i verdi e quieti canali di Bruges, stipata di
magazzini da cui partivano raffinate merci che andavano per il mondo:
sete, velluti, merletti, broccati li ritroviamo in dosso alla serie
nutrita delle Madonne col Bambino , agli angeli e ai santi che con
tanta limpida grazia dipinge Memling.
Il trittico (circa 1480)
commissionato dai Pagagnotti di Firenze è ricomposto per
l’occasione: al centro la Madonna col bambino e due angeli inseriti
in un’architettura che ha un sapore tardogotico e protomanierista,
negli scomparti San Giovanni Battista e San Lorenzo. In questo e in
altri trittici (il Trittico Moreel, 1484) è netta la sensazione che
Memling connetta tra loro scorci di un unico paesaggio. Perché il
pittore di solenni scene sacre fu parimenti un grande paesaggista.
Anche il Trittico per Jan
Crabbe compare in mostra integralmente; al centro la Crocifissione,
dove solo Maria esprime contenuto dolore: la sua veste è l’unica
macchia nera, in una cromia dominata dal rosso e dal bianco; sulla
sinistra lo splendido scomparto con Sant’Anna e la donatrice,
dietro il capo di lei un castello turrito. Nel retro dello scomparto
destro c’è Willem de Winter con San Guglielmo di Maraval e alle
spalle un paesaggio di colline. Negli scomparti monocromi con
l’Annunciazione e un Angelo si sente forte la voce di Jan e Hubert
van Eyck.
Nel trittico con la
Resurrezione ( 1480-85) la temperatura cromatica è diversa, ma il
disegno delle figure ha la medesima finezza stilistica. Nella
Passione di Cristo ( 1470) dinanzi ai nostri occhi si dispiega una
città composta come un puzzle, in cui Cristo è in un angolo a
destra, schiacciato dalla croce, ma la passione è quasi un pretesto
per raccontare la tumultuosa vita urbana. Qui gli architetti si sono
sbizzarriti nel costruire porte e mura, case, chiese, botteghe,
osterie, cappelle, torri poligonali, palazzi fantasiosamente diversi.
In questo subbuglio ingombro di armigeri, eleganti cavalieri e
popolani, costoro sembrano del tutto distratti nel seguire le
stazioni della passione. Memling pone a suggello una dama che
inginocchiata accoglie Cristo ed è elegantemente abbigliata. Persino
soggetti tanto drammatici sono vissuti con sublime serenità.
Il compianto del Cristo
morto con un donatore ( 1470-75) ha uno straordinario fondo
paesistico d’una città, da cui emerge il castello e la cattedrale:
messo a diretto confronto con l’analogo soggetto di van der Weyden,
precedente di circa dieci anni, ben si vede quanto siano strette le
relazioni.
A giudicare dal catalogo delle opere Hans lavora intensamente e i suoi committenti sono fiam- minghi, italiani (Portinari, Tani, Pagagnotti), spagnoli e costoro vogliono figurare nelle stesse scene religiose e qui la vanitas non è turbata dal memento mori. Ma ad esso il pittore dedica il Trittico della vanità terrena e della salvezza divina ( 1485 circa), dove nel pannello centrale campeggia un inequivocabile teschio.
Fin qui non si è detto
del grande ritrattista, il Memling più celebre e celebrato: non è
la mia trascuratezza, perché in ogni volto che scorre nelle tavole
il pittore è sempre ritrattista. I Cristi, le Vergini, i santi non
sono anonime icone, ma persone reali assunte a modello. Lì dove il
ritrattista supera se stesso è quando elimina il fondo paesistico,
così presente nell’ Uomo con una moneta romana (1473-74) o il
coevo ritratto di un uomo ricciuto.
Dal fondo nero emergono i
volti di signori e dame nei loro tratti fisiognomici, nella loro
pensosa personalità o nello sguardo intenso e indecifrabile della
Donna (1480-85) che esibisce solo l’elegante acconciatura che
esalta la pelle eburnea. C’è nei ritratti di Memling una pietas
affabile, una melanconia e una grazia che non cede mai alla piaggeria
cortigiana.
Tre anni prima di morire
nel 1491 nella Passione del trittico di Lubecca, la creatività del
pittore sembra esser scossa da una vertigine tragica. Una sorta di
baratro che il pittore intravede, ma dal quale s’era tenuto
saggiamente lontano nel corso di un’operosissima vita che Memling
dedicò a illustrare la socievolezza raffinata della società di
Bruges.
La Repubblica – 12
ottobre 2014
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