13 ottobre 2014

UN PENSIERO CRITICO ALL'ALTEZZA DEL TEMPO PRESENTE




Sessant'anni fa nasceva la rivista filosofica jugoslava Praxis.
Fu l'ultimo serio tentativo di rivitalizzare una teoria esausta, incapace di confrontarsi realmente con il mondo contemporaneo a partire proprio dal cosiddetto socialismo reale. 
Oggi, nell'assoluta mancanza di un pensiero critico capace di offrire una prospettiva di superamento del presente, riflettere su quell'esperienza non è tempo perso.

Luka Bogdanic

Per un marxismo umanista

Sono vari i motivi per cui si ricorda o com­me­mora qual­cuno o qual­cosa, non ultimo quello di divul­garne la memo­ria. Ancora più nobile e neces­sa­rio ne è il ricordo se la sua esi­stenza era ani­mata da un spi­rito pro­me­teico. Era que­sto il caso della rivi­sta filo­so­fica jugo­slava Pra­xis, della cui nascita in que­sti giorni ricor­rono i sessant’anni. Pra­xis, assieme alla Scuola estiva di Cur­zola (1964–1974), rap­pre­sentò un pal­co­sce­nico intel­let­tuale par­ti­co­lare, di bre­vis­sima durata, di appena dieci anni.

Si trattò della sta­gione in cui il paese non alli­neato, nel quale veniva spe­ri­men­tata l’autogestione, era visto come fiore all’occhiello da coloro che spe­ra­vano nelle pos­si­bi­lità di una terza via al socia­li­smo. I fon­da­tori della rivi­sta furono i filo­sofi zaga­bresi Gajo Petro­vic, Rudi Supek e Pre­drag Vra­nicki, ma la sua riu­scita fu anche frutto della col­la­bo­ra­zione con col­le­ghi bel­gra­desi come Miha­jlo Mar­ko­vic, Vel­jko Korac, Zagorka Golu­bo­vic, Ljubo Tadic e Sve­to­zar Sto­ja­no­vic.



Infatti, anche se la rivi­sta fu pub­bli­cata dalla Società filo­so­fica croata, la sua edi­zione inter­na­zio­nale (1966–1974), venne coe­di­tata dalla Società filo­so­fica jugo­slava. Oltre ai pen­sa­tori jugo­slavi, molti con alle spalle l’esperienza par­ti­giana, nella rivi­sta pub­bli­ca­rono anche le più pre­sti­giose firme della sini­stra mon­diale dell’epoca, come Kosta Axe­los, Ernest Bloch, Erich Fromm, pas­sando per Lucien Gold­mann, Henri Lefeb­vre e Her­bert Mar­cuse, assieme ad Agnes Hel­ler e Zyg­munt Bau­mann che, all’epoca, vive­vano ancora nella galas­sia sovie­tica.

Ovvia­mente, non man­ca­rono con­tatti con filo­sofi ita­liani, in par­ti­co­lare con Enzo Paci, Umberto Ceroni, Lel­lio Basso, ma par­ti­co­lare fu il soda­li­zio con la rivi­sta Ita­liana Uto­pia e il suo redat­tore Mario Spi­nella. Uto­pia ospi­tava inter­venti dei com­pa­gni Jugo­slavi e rego­lar­mente infor­mava i pro­pri let­tori sulle ses­sioni della Scuola estiva di Cur­zola. Così, in pochi anni, la rivi­sta Pra­xis diventò assieme alla Scuola, luogo di con­fronto e di rifles­sione tra filo­sofi dell’Est e dell’Ovest, cosa non da poco in un mondo diviso dalla Guerra fredda.

Il pre­gio della rivi­sta era ed è il fatto che in essa i filo­sofi jugo­slavi cer­ca­rono di ripen­sare cri­ti­ca­mente il socia­li­smo, vivendo in uno Stato che ne ten­tava la rea­liz­za­zione. Infatti, anche se nella rivi­sta non man­ca­rono con­tri­buti sulla società di con­sumo, i più inte­res­santi riman­gono quelli rela­tivi alla cri­tica dei metodi e delle vie adot­tate nella rea­liz­za­zione della società socia­li­sta.

La chiave di let­tura era quella del mar­xi­smo uma­ni­sta, anti­sta­li­ni­sta e anti­dog­ma­tico, che si apriva e cre­sceva attra­verso un fecondo dia­logo con la teo­ria cri­tica e l’esistenzialismo. Il nome Pra­xis venne scelto poi­ché era con­vin­zione dei filo­sofi jugo­slavi che la «prassi» fosse con­cetto cen­trale del pen­siero mar­xiano, che rin­chiu­deva in sé l’idea che la filo­so­fia «è il pen­siero della rivo­lu­zione», nel senso della cri­tica spie­tata di tutto l’esistente e di una «visione uma­ni­sta di un mondo vera­mente umano».



Il pre­sup­po­sto per l’apertura di un dibat­tito e la nascita di un mar­xi­smo anti­sta­li­niano in Jugo­sla­via, fu lo sto­rico «no» di Tito a Sta­lin nel 1948. Que­sto rese pos­si­bile la nascita in Jugo­sla­via di una par­ti­co­lare inter­pre­ta­zione del pen­siero di Marx, più aperto alle influenze del mar­xi­smo occi­den­tale. Pra­xis così, in breve diventò la voce più auto­re­vole di una cri­tica di sini­stra e da sini­stra, alla costru­zione del socia­li­smo in Jugo­sla­via.

Con un’impostazione così cri­ti­ci­sta e radi­cale, in poco tempo si aprì uno scon­tro tra la buro­cra­zia al potere e la rivi­sta. Scon­tro che portò alla fine di quest’ultima. Infatti, i dieci anni della sua esi­stenza furono segnati da innu­me­re­voli scon­tri e pole­mi­che tra regime e intel­let­tuali rac­colti attorno alla rivi­sta. Scon­tri che cul­mi­na­rono non solo nel divieto di ven­dita di alcuni numeri nel 1971 (nei quali veniva fatta una spie­tata cri­tica del nazio­na­li­smo che era pro­mosso in que­gli anni da alcuni mem­bri della Lega comu­ni­sta), ma anche con la revoca nel 1974 dei mezzi finan­ziari neces­sari per la vita tanto della Scuola di Cur­zola quanto della rivi­sta. Revoca che ne segnò la fine. A dimo­stra­zione di quanto fu sco­moda per il regime una voce cri­tica mar­xi­sta.

Una delle prin­ci­pali carat­te­ri­sti­che della rivi­sta, infatti, era l’internazionalismo e l’atteggiamento for­te­mente cri­tico verso ogni forma di nazio­na­li­smo. Per i filo­sofi Jugo­slavi, come ave­vano scritto, né il socia­li­smo né il mar­xi­smo erano qual­cosa che si potesse chiu­dere den­tro recinti nazio­nali, se non a costo di una loro totale defor­ma­zione.

Le rifles­sioni dei pra­xi­sti sono soprat­tutto una miniera di stru­menti per valu­tare le moda­lità di costru­zione di una società più libera e socia­li­sta, dal momento in cui gli oppressi hanno già preso il potere. Rimane aperta la domanda se que­sti pos­sono essere ancora utili o si tratta solo di un insieme di oggetti da sche­dare, archi­viare e riporre in depo­siti museali. Non sem­bra sba­gliato ricor­dare che la «cri­tica spie­tata di tutto l’esistente» ha comun­que un valore in ogni società, ed è uno stru­mento che aiuta a com­pren­dere meglio il nostro pre­sente e a pen­sare un futuro, chissà forse più umano.


Il Manifesto – 2 ottobre 2014

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