13 novembre 2014

LETTERE D'AMORE DI FEDERICO DE ROBERTO


    
  Federico De Roberto nel suo capolavoro I vicere ci ha fornito un quadro spietato della Sicilia della seconda metà dell'800, un mondo dove i sentimenti non trovavano spazio, soffocati come erano dal cinismo che ha contrassegnato le scelte delle classi dirigenti d'ogni tempo. 
    Eppure anche Federico aveva un cuore e questo libro ne offre ampia documentazione.



TUTTO L'AMORE DI FEDERICO DE ROBERTO

di Massimo Maugeri

«O sensitiva Anima che la vita ha ferita, insanabilmente; Creatura d’amore fatta perché le rose fiorissero sulle orme dei tuoi passi; Forma Adorata, Eletta dell’anima mia, di che ti accusi? Anche volendo, tu non potresti essere cattiva verso di me. Tu sai che io adoro i tuoi pensieri, tu m’hai sentito tremare dinanzi a te come dinanzi alla Potenza che ha in mano le fila del nostro destino: perché saresti cattiva verso l’umile, il fervente, il supplice, il cieco adoratore?»

Chi è l’autore di queste frasi d’amore, così intense (persino eccessive, forse, nella loro enfasi)?
In molti si sorprenderanno nello scoprire che appartengono a un grandissimo scrittore e letterato (uno dei più grandi, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento) che è sempre apparso come un uomo riservato e poco incline a esternare il proprio affetto. Ma così è. Le frasi che avete letto, infatti, sono state estrapolate da una lettera che Federico De Roberto scrisse alla sua amata intorno alle metà del mese di luglio dell’anno 1897.
La suddetta lettera fa parte di volume (pubblicato di recente da Bompiani) che getta una nuova luce sulla figura del grande scrittore. Si tratta, infatti, di un epistolario amoroso tra De Roberto e Ernesta Valle (una nobildonna dell’epoca). Si intitola “Si dubita sempre delle cose più belle. Parole d’amore e di letteratura”: curato da Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla. Un testo ponderoso, monumentale (che consta di ben 2144 pagine, 764 lettere, un ricco corredo iconografico – 80 immagini -, anch’esso in gran parte inedito o raro), frutto di una scrupolosa ricostruzione e di una accurata analisi.

Attraverso questo corposo, spesso quotidiano, carteggio amoroso bilaterale intrattenuto con Ernesta Valle (che il nostro, nelle lettere, chiama con diversi nomignoli e diminutivi, tra cui Renata, perché “rinata” all’amore, o Nuccia, diminutivo di “femminuccia”), abbiamo la possibilità di conoscere meglio De Roberto scrittore e uomo. Un carteggio da cui si libra uno stato emotivo molto complesso e variegato: amore, certo; passione; desiderio; ma anche mancanza, frustrazione, sofferenza, dolore allo stato puro. Perché l’amore di Federico (di Rico, come lo chiama lei), la sua dolce Renata, la sua adorabile Nuccia, è rivolto a una donna sposata con un uomo molto in vista della Milano bene a cavallo dei due secoli, tra l’Ottocento e il Novecento: l’avvocato messinese Guido Ribera. Del resto anche De Roberto deve fare i conti con la soffocante e tirannica madre, donna Marianna, che esercita un controllo e un’influenza tutt’altro che trascurabili nei confronti del figlio. Dunque sono tante le condizioni di difficoltà che impongono a Federico e a Ernesta di ricorrere a strategie di depistaggio, di occultamento e di dissimulazione al fine di garantire lo stato di massima segretezza a questo grande e problematico amore. E tuttavia, come ci fanno notare i curatori, rimane più che legittimo il sospetto, quasi la certezza, che sia il marito sia la madre fingano di non sapere. In ogni caso, nonostante le difficoltà, si tratta di un sentimento che resiste molto a lungo e che oggi rimane tratteggiato, in maniera indelebile e imperitura, tra le righe di questo carteggio: testimonianza di una relazione che abbraccia un intervallo temporale compreso dal 31 maggio 1897 al 18 novembre 1903 (con sporadiche tracce successive che si protraggono fino al 1916).
È un documento di fondamentale importanza e dalla molteplice valenza, quello che ci viene offerto attraverso la pubblicazione di quest’opera. Un volume, intanto, che possiamo leggere come un grande e avvincente romanzo epistolare, innestandosi in un filone letterario che trae origini dalle Eroidi di Ovidio per estendersi fino a romanzi molto noti, pubblicati anche in epoca antecedente a quella derobertiana: come “Pamela” (e “Clarissa) di Richardson, “Giulia o la nuova Eloisa” di Jean-Jacques Rousseau, “I dolori del giovane Werther” di Goethe, “Le relazioni pericolose” di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos; o, per restare in Italia, le “Ultime lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo e “Storia di una capinera” di Giovanni Verga. Ma qui, in “Si dubita sempre delle cose più belle”, la narrazione epistolare diventa ancora più interessante, giacché i personaggi sono reali. E i protagonisti coincidono (come si è già evidenziato) con una donna di cultura – organizzatrice di uno dei salotti letterari più in vista nella Milano tra l’Otto e il Novecento – e uno dei più grandi scrittori italiani di tutti i tempi. Parole d’amore e di grande letteratura, dunque; da leggere come un romanzo epistolare.
Ma c’è dell’altro. Il volume offre un’importante testimonianza di natura storico-sociale e si innesta anche nel filone della “letteratura dei luoghi”. Milano diventa il palcoscenico primario di questa travagliata storia d’amore, da cui emergono: la Galleria, il Duomo, Piazza della Scala, Porta Vittoria, Porta Venezia, Corso Garibaldi, il Musocco, la Birreria Spatenbräu di via Ugo Foscolo, il caffè-ristorante Gambrinus, il ristorante Puntigam, i grandi magazzini dei Fratelli Bocconi (la futura “Rinascente”); ma Milano è anche la capitale dei poteri editoriali, culturali e finanziari; la città delle grandi case editrici (i Fratelli Treves, Galli), dei grandi giornali (“Il Corriere della Sera”, il supplemento letterario “La Lettura”), dei teatri importanti (la Scala, il Manzoni, il Filodrammatici, il Lirico, l’Eden), dei caffè culturali (il Biffi, il Cova, il Savini, il Caffè dell’Accademia), dei salotti letterari (di donna Vittoria Cima, di Virginia Borromeo, della stessa Ernesta Valle Ribera).
E non solo Milano. C’è anche Catania. La città altra, da cui De Roberto misura la distanza dal cuore della sua adorata, con i suoi luoghi: la Villa Bellini, il Teatro Massimo Bellini, l’Arena Pacini, i Quattro cantoni, via Etnea, via Manzoni, viale regina Margherita, piazza Stesicoro, il Borgo, la Stazione ferroviaria, gli stabilimenti balneari di piazza dei Martiri, il Caffè Savoia, i Circoli Nazionale, Unione, Artistico, la Biblioteca Universitaria, il Museo di Benedettini. Ma pure l’Etna, il mare, l’hinterland.
Non solo i luoghi, ma anche le persone (uomini e donne): poiché dal carteggio emergono le frequentazioni con i maggiori esponenti dell’intellighentia dell’epoca.
Inoltre quest’opera epistolare offre il rimando di una serie di interessantissimi rigurgiti e riferimenti letterari, giacché Renata diventa la destinataria privilegiata dell’intero lavoro di De Roberto. Attraverso queste lettere riusciamo a entrare nell’officina letteraria dello scrittore, a valutare i pesi e le aspettative di un’attività in corso, a condividerne entusiasmi e insicurezze, gioie e frustrazioni. Ma, al di là di tutto, c’è un De Roberto che non ti aspetti: il grande scrittore che intinge la sua penna nel calamaio di una passione travolgente, a volte sorprendendoci per l’intensità e l’eroticità delle sue frasi.
Oggi, dunque, queste parole d’amore e di letteratura giungono a noi oggi con tutta la loro potenza emotiva e letteraria. E qui giungiamo al titolo dell’ottima prefazione firmata da Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla: “Che cosa fare delle lettere d’amore prima di morire?”
I due curatori citano Roberto Berni, mentre legge e rilegge religiosamente le lettere dedicate al suo grande amore che non c’è più:


 «Che cosa fare delle lettere d’amore prima di morire? Ogni altra carta può legarsi agli eredi; essi custodiranno certamente le importanti, e le inutili saranno distrutte. Ma che cosa faranno delle lettere d’amore, quando la persona a cui furono dirette è spirata? Sguardi profani percorreranno indifferentemente, forse con un sarcastico sorriso, quelle linee che già fecero battere più forte un cuore ora spento.
Il secreto di quel cuore sarà profanato!… Da un’altra parte, come rassegnarsi a distruggere con le proprie mani quei documenti in cui è la prova che si è vissuto? Non sarebbe un morire presto?… Ricchezza inestimabile agli occhi di chi le possiede, quelle carte perdono ogni valore per tutti gli altri, simili in ciò ai tesori di certe leggende diaboliche, che si convertono a un tratto in un mucchio di sassi e di cenere… Che cosa fare delle lettere d’amore prima di morire?»
Affermano i nostri curatori: «non “un sarcastico sorriso” ci ha guidato nel seducente viaggio ben consapevoli della “ricchezza inestimabile” di testimonianze che, custodite come un feticcio, prova tangibile dei segreti di un’anima e insieme della sempre più graduale “certezza che tutto è invano”, illuminano aspetti reconditi della personalità e dell’opera di uno scrittore d’eccezione. Le lettere d’amore distinguendosi dalle altre giacché quando le leggiamo cogliamo delle intercettazioni sui nostri momenti più riservati. Ciò le rende uniche per la sensazione che stiamo gettando lo sguardo su qualcosa che non ci appartiene. Quasi spiando. E un complice, ambiguo rapporto s’instaura fra noi e i due amanti».

E in questo rapporto entreremo anche noi lettori, chiamati ad accostarci con altrettanta rispettosa complicità a queste parole d’amore e letteratura per scoprirne la bellezza e acquisire le conoscenze che esse sono capaci di offrire.

Recensione pubblicata oggi dal sito http://lapoesiaelospirito.wordpress.com

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