Una cara amica mi ha fatto avere oggi il testo di un breve articolo, pubblicato ieri dalla redazione fiorentina di Repubblica, in cui Enrique Irazoqui racconta il modo in cui avvenne il suo primo incontro con Pier Paolo Pasolini
I ricordi di Enrique il comunista:
“Quel difficile Gesù
di Pasolini”
di MARCO
BERNARDINI
«SOLTANTO
per caso, una volta, uscito di galera riuscii a scappare dalla Spagna per
raggiungere Parigi». Per Enrique, che a fare l’attore manco aveva pensato, le
“guide” inconsapevoli furono due coetanei fiorentini arrivati a Barcellona con
il visto di turisti ma in realtà attivisti del Partito socialista italiano. «Un
giorno prima di Natale, era il 1963, venni convocato nella sede clandestina del
sindacato del quale ero segretario. Mi dissero che, da qualche tempo, due
italiani andavano in giro facendo strane domande sul movimento antifranchista.
C’era il sospetto che fossero due spie. Indagai, li frequentai e ogni dubbio
venne fugato. Si trattava di due compagni. Ebbi un’illuminazione. Chiesi loro
di accompagnarmi in Italia dove, ne ero certo, avrei potuto trovare nuovi
sostegni economici per la causa antifranchista insieme con la disponibilità di
intellettuali disposti a venire in Spagna per alcuni cicli di conferenze. Mia
mamma era veneta e io sapevo bene l’italiano. Arrivai a Firenze con i due
compagni, e la prima persona con la quale entrai in contatto fu l’allora
sindaco Giorgio La Pira. Fu con lui che scesi a Roma».
Si
infoltì il gruppo, nella capitale. Tutti quanti decisero di raggiungere in
autobus il numero 9 di via Eufrate, all’Eur. C’erano La Pira, Elsa Morante con
il suo ex marito Alberto Moravia, Vasco Pratolini, Giorgio Manacorda e
naturalmente il giovane Enrique. Suonarono il campanello di Pasolini che li
aspettava per cena. «Venne ad aprirci un ragazzo che aveva una selva di capelli
neri in testa. “Niné” falli entrare disse una voce dalla cucina. Era il regista
che si rivolgeva a Davoli. Il suo ragazzo. Ninetto aveva quindici anni.
Scandaloso? Affatto. In seguito scoprii che quello di Pasolini con lui era un
rapporto puro che nulla aveva a che fare con il plagio. Cenammo. Pier Paolo non
mi staccava gli occhi di dosso. Ad un tratto disse forte: “È lui il mio Gesù”.
Io mi misi a ridere. Per nulla al mondo avrei fatto l’attore. Alle cinque del
mattino eravamo ancora lì a discutere. La più infervorata per convincermi era
Elsa Morante, che poi sarebbe diventata mia grande amica. Crollai che stava
albeggiando sotto il peso della promessa fattami dal produttore Alfredo Bini.
Tutti i soldi che avrei dovuto incassare sarebbero andati al mio sindacato. Ne
valeva la pena».
I
risultati di quel lavoro si possono vedere stasera all’Istituto Stensen di
Firenze, che ne propone (ore 21) l’unica copia esistente in pellicola. Per
Enrique, irriducibile ateo, non fu facile rivestire i panni di Gesù. E ancora
oggi dice: «Il fatto di aver fatto rivivere Cristo non mi ha cambiato la vita.
Mi sono sempre attenuto a ciò che, fin dall’inizio, mi avevano promesso sia
Pasolini sia Elsa Morante: il loro sarebbe stato un Gesù gramsciano. Certo
provai un grande imbarazzo quando, dopo aver girato una scena nelle campagne di
Barletta, un gruppo di donne in nero si inginocchiarono intorno a me pregandomi
di fare un miracolo. La mia vita, invece, venne segnata da Pier Paolo e da
Elsa. Lei, per me, fu un autentico dono del cielo, un’amica straordinaria. Lui,
un ciclone in grado di far vacillare ogni certezza. “Senorito”, mi chiamava
alludendo alle mie origini borghesi. Cosa che mi faceva incazzare, perché io
non ero così. Poi, il giorno in cui si schierò con i poliziotti “figli del
popolo” che venivano picchiati dagli studenti figli dei ricchi, lo invitai in
Spagna per vedere cosa faceva la milizia franchista. Eppure, tra mille
contraddizioni, l’ho amato. Ho amato soprattutto il Pasolini poeta oltreché
l’autore di “Uccellacci e uccellini”. Il resto non mi ha mai interessato e le
“120 giornate di Sodoma” non l’ho visto».
Già,
la vita non è cinema. Specialmente non per Irazoqui, ex combattente per un
mondo migliore: «Abbiamo perso definitivamente e su tutti i fronti. L’unica
soddisfazione è poter dire che non ho mai ceduto alle lusinghe del nemico». E
si lascia andare nel suo mondo virtuale. Quello degli scacchi, è un campione.
Muove i pezzi nel suo appartamentino affacciato sul mare di Cadaques da dove,
talvolta, si possono vedere le ombre di Picasso e Dalì che decisero di
chiudere lì il loro viaggio terreno.
Da La Repubblica, cronaca di
Firenze 30/09/2014
Nessun commento:
Posta un commento