21 febbraio 2014

MAFIA IERI E OGGI


Immagini relative al celebre funerale di Don Calò


Ripropongo di seguito le acute osservazioni di un carissimo amico pubblicate questa mattina sul suo blog http://rosso-malpelo0.blog.kataweb.it/

 A  CHE  PUNTO  E'  LA  MAFIA? 

Confesso che non sono un esperto di questioni mafiologiche ma, come tutti quelli che vivono in Sicilia, respiro la stessa aria dei mafiosi; certamente solco le stesse strade e contrade, forse mi inginocchio negli stessi banchi in chiesa, forse timbro nello stesso orologio marca tempo in ufficio e chissà può darsi anche che beva il caffè, fianco a fianco, con loro negli stessi bar.
Allora, mi chiedo quali strategie di mimetizzazione, quali alleanze, quali investimenti economici sta compiendo, ha compiuto o sta per compiere l’organizzazione nota come “Cosa nostra” dentro il corpo sociale affetto dalla crisi ?
Una crisi economico - sociale di gravità straordinaria, ed è pure superfluo dirlo, che è stata preceduta, ed accompagnata, da un depotenziamento dei valori diffusi di riscatto sociale e di solidarietà che permeavano una parte della società politica e di quella civile.
Mi pare di osservare, ma è solo un’intuizione (e vorrei essere smentito), che l’humus, il territorio, l’ambiente, nel quale gli affari e le trame criminali di “Cosa nostra” possono attecchire, si sia inselvatichito, sia, come dire, più sgombro ed abbia riacquistato una sorta di verginità primordiale.
Le manovre economiche, l’austerity, il patto di stabilità hanno diminuito in maniera sensibile il flusso di denaro pubblico destinato agli appalti ed alle forniture nella pubblica amministrazione, con la ovvia conseguenza di ridurre gli interessi della mafia in un settore che mi pare rappresentasse una delle principali voci in attivo dell’azienda criminale.
Ne consegue che si sia ridotto anche il livello di potenziale inquinamento mafioso della classe politica ? E’ una risposta difficile da dare con assoluta certezza, tuttavia, sulla stessa scia, altri interrogativi possono essere posti: quali sono gli anticorpi politico - culturali che questa classe politica ha maturato in profondità per potere opporsi all’abbraccio mafioso ? O, ancora, è il caso di chiedersi : con quali filtri, in questi anni, è stato selezionato il personale politico ? Potrebbe nascere un altro Pio La Torre dalle fila scombinate di un qualche consiglio comunale o dell’Assemblea Regionale Siciliana ?
Ragionando con i soli strumenti dell’osservazione empirica, direi proprio di no. Il caso, le combinazioni imperscrutabili che condizionano le vicende umane potrebbero dare una risposta, magari, di segno opposto.
Quel che mi è parso di capire è che la forza del sistema mafioso, sia tutto nella sua capacità di mimetizzarsi con l’ambiente, nel tardare a farsi scoprire, nella dissimulazione della propria identità all’interno di spazi di sopravvivenza ignari, deboli, oppure, inesorabilmente complici. Una strategia di lotta per la sopravvivenza elaborata nel corso di lunghissimi anni e che sembra abbia retto alla prova. Sinora.
Un esempio clamoroso, se vogliamo riferirci ad un’analisi storica, può farsi risalire alla straordinaria capacità della mafia di allinearsi nel campo politico dello scontro della “guerra fredda”, prima e dopo la “dottrina Truman” (1), in funzione anticomunista, a fianco degli Usa. Oppure, come avvenne tra gli anni 50′ e 60′, nella capacità altrettanto sorprendente di trovare alleati, nel corpo sociale di una città come Palermo, come fu il potentissimo Cardinale Ruffini (oltre, naturalmente, a pezzi di ceto politico, più che maggioritari, all’interno della D.C.) il quale sosteneva che la mafia fosse un’invenzione della propaganda socialcomunista e che i mali della Sicilia fossero Danilo Dolci e “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. (2)
E’ chiaro che l’analisi serve a porre dei distinguo, a discriminare, a capire in modo critico. Molti fenomeni sono emersi in questi anni di segno decisamente positivo. Una di queste è la ribellione al pizzo e il ‘movimento culturale’ che, attorno a questo fenomeno, è stato prodotto. Ma è opportuno chiedersi quanto di questo fenomeno sia penetrato davvero nella società siciliana. Dal mio personalissimo punto di vista direi che dei segnali ci sono. Insufficienti, ma ci sono. ‘Insufficienti’ perché sembra che l’attività estorsiva sia ancora una delle costanti del crimine organizzato di stampo mafioso ma tuttavia ‘presenti’ perché non tutte le vittime sono disposte a subire in silenzio.
E’ chiaro che la mafia non arretra, come è stato detto, si mimetizza e dissimula, conformemente al vecchio detto tirato in ballo, a tal proposito, da Sciascia : Càlati juncu ca passa la china   (L. Sciascia, Nero su nero, Torino, Einaudi, 1979 - pag. 34). Sembra infatti che davanti all’indecisione o alle difficoltà frapposte da certi commercianti venga, oggi, risposto “non c’è problema” e subito dopo venga proposta/imposta l’installazione di macchinette di videopoker in luogo del pagamento del pizzo. Del resto, è noto, i dati sull’ammontare degli introiti derivanti dal gioco non diminuiscono, ma addirittura aumentano, in periodi di crisi economica. “Briciole” si dirà, ma è di tessere di questo tipo che si compone il più vasto mosaico di affari e relazioni di cui si nutre il contesto sociale della mafia.
Mi soccorre, a questo punto, una più articolata risposta alla domanda posta a titolo di questo post (”A che punto è la mafia ?”) e la fornisce Umberto Santino con un articolo pubblicato sulla edizione palermitana de ‘la repubblica’ del 19/02/2014 (3) in cui ricostruisce, con dovizia, il circolo vizioso, è il caso di dire,  proibizionismo - mafie, fornendo poi le cifre tonde di questo connubio : “Le stime dei proventi delle organizzazioni criminali, che ormai si designano genericamente con il nome di “mafie”, sono incerte e di affidabilità relativa, ma comunque danno un’idea di com’è formato il “paniere” del capitale illegale a livello mondiale. Tutte le stime danno al primo posto il traffico di droghe, con valutazioni che vanno dai 300 ai 1000 miliardi di dollari l’anno, al secondo posto il traffico d’armi con 290 miliardi, al terzo il traffico di esseri umani con 31 miliardi, al quarto quello di rifiuti tossici, da 10 a 12 miliardi. Sia il traffico di droghe che quello di esseri umani sono il frutto di proibizionismi, il primo delle “sostanze psicoattive” considerate illegali, il secondo configurato dalle varie forme di impedimento alla libera circolazione delle persone.”. Il dato che emerge è che la relazione proibizionismo-mafie produce ricchezze straordinarie e che tali proventi vengano poi reinvestiti in attività legali o para legali va da sé; dunque colpire il proibizionismo significa colpire le mafie, anche questo va da sé.  Anche se, continua dopo Santino: “Questo non significa che le mafie scomparirebbero, poiché le loro attività sono molteplici, ma certamente si diroccherebbero i muri portanti della ricchezza mafiosa.” .
Mi pare, a questo punto, anche se con estrema approssimazione, si possa affermare che le mafie possano, in epoche di crisi in cui il sistema pubblico limita il proprio potere di spesa, ripiegare sì su attività criminali in senso classico - e che, magari temporaneamente, diminuisca l’esigenza di reclutamento di soggetti politici sul territorio che agevolino l’accaparramento di appalti da parte delle organizzazioni mafiose - ma che, nel contempo, si possa preparare un nuovo terreno di investimento di quegli straordinari proventi da attività illegali, magari incrociando una nuova e rutilante avventura politica in via di espansione, non è cosa da escludere a priori.
Parafrasando e sintetizzando ancora U.Santino, a proposito di una presentazione ad un suo recente libro La mafia come soggetto politico : “Non c’è Stato senza mafia e non c’è mafia senza Stato”.

Rosso Malpelo 

(1) Harry S. Truman, fu eletto presidente USA mentre la II^Guerra mondiale era sul finire. Annunciò al Congresso americano la c.d. ‘dottrina Truman’ (marzo 1947) in base alla quale gli USA dovevano condurre una lotta su scala mondiale per arginare l’avanzata del comunismo, impegnandosi attivamente in ogni Paese che fosse minacciato da essa. L’approvazione del Piano Marshall, proposto dal suo Segretario di Stato George Marshall che consisteva in ingenti aiuti economici per la ricostruzione dell’Europa, doveva servire, in  concreto, da strumento nelle mani di quei governi amici degli USA (come indubitabilmente lo era quello di De Gasperi) per offrire alle popolazioni messe in ginocchio dalla guerra possibilità di lavoro (attraverso, appunto, le opere di ricostruzione) e sollievo dalla miseria, sviandole in tal modo dal minaccioso mito egualitario del comunismo.

(2) Il contenuto della lettera pastorale del Card. Ernesto Ruffini, dal titolo “Il vero volto della Sicilia”, fu pubblicato in occasione della Domenica delle Palme del 1964 e diffuso in tutte le chiese della regione. Per un approfondimento storico del contesto in cui si colloca la nomina cardinalizia di Ruffini in Sicilia cfr. G. Casarrubea, Cardinale Ruffini:  la mafia, il Gattopardo e Danilo Dolci, 28/01/2013, in: http://casarrubea.wordpress.com/2013/01/28/cardinale-ruffini-la-mafia-il-gattopardo-e-danilo-dolci/ e F. Virga, Danilo  Dolci  e il  Cardinale  Ruffini/, 28/01/2013, già pubblicato sul periodico CNTN (s.d.), ora in: http://cesim-marineo.blogspot.it/2013/01/il-cardinale-ruffini-la-mafia-e-danilo.html

(3) U. Santino, I proibizionismi favoriscono gli affari delle mafie, “Repubblica Palermo”, 19 febbraio 2014


 

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