07 febbraio 2014

GIU' LE MANI DALLA COSTITUZIONE




Venerdì 14 febbraio 2014 ore 17.00
Bologna Convento di San Domenico 
 Piazza San Domenico 

UN COLPO DI RENI PER IL FUTURO DELLA REPUBBLICA


I Comitati Dossetti per la Costituzione agiscono sotto la propria responsabilità e mai hanno preteso che le proprie posizioni fossero quelle che se fosse stato in vita avrebbe preso Giuseppe Dossetti. Ma oggi sono certi che il proprio Fondatore avrebbe lanciato un grido di allarme sulla violenza che si sta innescando nel corpo politico italiano, e di cui sono stati preannuncio gli avvenimenti di questi giorni. Il fatto che la violenza si sia finora manifestata solo in parole di pesantissima volgarità e sessismo, in momenti di rissa parlamentare, nonché in atti istituzionali e in proposte legislative, non significa che essa sia meno grave e pericolosa di quella cruenta: “voi credete di ritardare il giorno fatale e affrettate il sopravvento della violenza” (Amos, 6,3).
È un innesco della violenza anche quello comportato dal progetto della nuova legge elettorale che se realizzato muterebbe la figura stessa della Repubblica: per suo mezzo infatti la Repubblica democratica istituita dalla Costituzione rischia di trasformarsi in una democrazia “octroyée”, concessa cioè dalle forze dominanti nei limiti in cui venga considerata compatibile con la sovranità dei poteri economici e l’impunità del denaro.
In questa situazione ciò che soprattutto oggi Dossetti chiederebbe a tutti è la lucidità dell’analisi.
Il rischio della trasformazione della democrazia della Costituzione in democrazia per concessione è ravvisabile nella facoltà attribuitasi dagli autori della riforma elettorale di decidere quanti e quali debbano essere i partiti ammessi a essere rappresentati nelle Assemblee legislative e a giocare il gioco della governabilità. Secondo la legge proposta da Renzi e Berlusconi, a parte la Lega e le minoranze linguistiche fatte salve come fenomeni di ambito locale, per effetto degli sbarramenti eretti contro singole liste e coalizioni (dal 4,5 all’8 al 12 per cento, pari a diversi milioni di voti), i partiti che resterebbero in gioco sarebbero tre: Forza Italia, Partito Democratico e Movimento 5 stelle. Tuttavia per il suo settarismo, la sua immaturità e il suo autolesionismo il Movimento di Grillo si pone fuori dal sistema proponendosi come sua alternativa catartica; e poiché l’occasione è subito colta dai suoi avversari per neutralizzare la sua critica e convenire di escluderlo da ogni ingerenza nel potere, i partiti atti a governare resterebbero due, Forza Italia e Partito Democratico.
Saremmo dunque ben oltre il bipolarismo, al bipartitismo; ma si tratterebbe di un bipartitismo imperfetto perché a causa dell’alto premio di maggioranza i due partiti, al primo turno o al ballottaggio, entrambi in condizione di minoranza e prevedibilmente non lontani l’uno dall’altro, diventerebbero per legge l’uno un nano, l’altro un gigante. Ma il nano, pur nella sua diversità di stile e di opzioni etiche, non potrebbe che svolgere un’opposizione apparente, di fatto funzionale alle scelte politiche della forza di governo a cominciare da quelle che, rese obbligatorie dall’ideologia economica o dai poteri di Bruxelles e di Berlino, sarebbero, come già oggi, comuni.
Quale dei due partiti assumerebbe le funzioni di governo nella condizione, così costruita, di un sostanziale monopartitismo, cioè di un partito unico al comando?
In seguito all’accordo elettorale stipulato al Nazareno si è già creato uno squilibrio. Le forze affini alla destra, a cominciare dalla scelta di campo di Casini e di altri “centristi”, si uniranno in un solo fascio, con o senza sbarramento, a differenza delle forze di sinistra che rimarranno divise. Venuto meno il rigetto provocato dalla persona di Berlusconi, altre forze e personalità rispettabili confluiranno in una destra sentita come conforme alla cultura d’ordinanza, alle leggi economiche, al palcoscenico mediatico e alla volontà dei mercati. Ciò a cui la nuova legge elettorale è funzionale – salvo un colpo di reni oggi non ancora prevedibile – è perciò la formazione e il successo di una Grande Destra che si collegherebbe a una lunga tradizione italiana – liberismo più trasformismo – interrotta solo dalla fase dell’intransigentismo sturziano, della proporzionale e dei partiti popolari di massa, e poi superata nella Repubblica democratica dopo la tragica esperienza del fascismo. Ma questa destra, raggiunta dalle nuove forme di intolleranze, di xenofobia e di razzismi, sarebbe molto diversa e ben più pesante di quella conosciuta sotto l’antico rivestimento liberale.
Conclusa la parentesi berlusconiana, si avrebbe così, con il sopravvento in tal modo predisposto per legge di questa Grande Destra, la ristrutturazione di tutto il sistema politico italiano, e verrebbe così a concludersi il ciclo apertosi con la rimozione del muro di Berlino, la Bolognina, il messaggio di congedo di Cossiga dalla Costituzione del 1991 e la discesa in campo del concessionario televisivo di Arcore nel ’94. La pretesa “transizione” italiana, postmoderna postcastale e postpolitica, verrebbe a finire in una democrazia filtrata e controllata, la democrazia governante si trasformerebbe in democrazia non responsabile verso le istanze interne e succube di poteri esterni, e il campo della competizione democratica si trasformerebbe in un campo chiuso ai competitori. Infine la democrazia si trasformerebbe in una democrazia triste, perché le elezioni nei sistemi in cui tutti possono partecipare e tutto sembra poter cominciare di nuovo, sono anche una celebrazione e una festa, mentre se si mutano in un rito misantropo di esclusione di ogni possibile novità e del diritto di rappresentanza di milioni di cittadini, diventano il luogo in cui anche il volto di un comico si tramuta in una maschera tragica, il luogo di una lugubre notificazione del sequestro del futuro e dell’esproprio delle garanzie democratiche.
Questo processo di manomissione politica e costituzionale tuttavia non si è ancora perfezionato. Perché non si realizzi sono necessario almeno quattro cose.
1) È necessario che il Partito Democratico, proprio nel momento in cui Alfano insiste, col pretesto della stabilità di governo, per stringerlo a sé in un abbraccio mortale, si liberi da questa stretta, riacquisti la sua autonomia politica e ideale e ricordi le speranze che era stato in grado di suscitare. È necessario che resista all’omologazione nel pensiero unico del regime economico-finanziario imperante e alla sua “ideologia dell’indifferenza” rispetto ai bisogni e ai diritti umani di tutti e soprattutto dei poveri. È necessario che respinga la democrazia concessa ai pochi e negata ai molti, e prenda la testa di un movimento per la riforma costituente dell’Unione europea in funzione dell’attuazione dei diritti e delle garanzie costituzionali per il pieno sviluppo delle persone e dei popoli.
2) È necessario che il Movimento 5 stelle, anche per rispetto dei suoi 8 milioni di elettori, converta le sue posizioni e la sua immagine pubblica evitando di cadere e anche di essere spinto nel buco nero della pubblica riprovazione e della irrilevanza politica.
3) È necessario che, comunque venga modificata la legge elettorale in discussione, siano abolite le soglie di sbarramento, inutili e anzi dannose ai fini della “governabilità”, tagliola al pluralismo politico, impedimento a ogni invenzione possibile e insidia per gli stessi grandi partiti costretti a presentarsi in listoni male assortiti e sinistramente allusivi al listone della legge Acerbo.
4) È necessario che l’elettorato e in particolar modo l’opinione pubblica democratica e costituzionale venga a sapere e comprenda che l’ora delle scelte da cui dipende il futuro della Repubblica non è quella delle prossime elezioni politiche, ma è proprio quest’ora in cui è in corso l’iter parlamentare della legge elettorale in cui è messo in gioco lo stesso assetto istituzionale dello Stato e il carattere della sua democrazia. È questo il momento in cui l’elettorato si deve mobilitare per far sentire la sua voce a quanti oggi sono chiamati a decidere. È questo del resto l’appello originario dei Comitati Dossetti per la Costituzione, che sono nati per promuovere in ogni città paese o quartiere l’iniziativa e l’incontro dei cittadini per la difesa, l’attuazione e lo sviluppo della Costituzione.
In questo senso i Comitati Dossetti invitano aderenti e cittadini ad assumere dovunque sia possibile le opportune iniziative per affermare, in concomitanza col dibattito parlamentare e in dialogo con i parlamentari delle rispettive sedi, le ragioni della Costituzione, della democrazia e della libera rappresentanza popolare.
Per discutere e deliberare sul presente documento è convocata, con invito rivolto a tutti i cittadini, un’Assemblea pubblica a Bologna, venerdì 14 febbraio alle ore 17.00, nel Convento di San Domenico, in piazza San Domenico.


  Raniero La Valle e Luigi Ferrajoli, Presidenti dei Comitati Dossetti per la Costituzione

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