Matteo Nucci
La Grecia nelle ballate di Katzantzakis
“Teach me to dance”. Negli ultimi mesi, alcuni osservatori della crisi che ha colpito la Grecia hanno citato questa frase per spingere la cosiddetta troika (FMI, BCE, UE) a una conoscenza più approfondita del popolo greco. Siamo alle battute finali del film diretto da Michalis Cacoyannis che nel 1965 conquistò tre Oscar: Zorba il greco. L’impresa che il protagonista, uomo dalla vitalità irrefrenabile, ha tentato di realizzare per il suo padrone e amico inglese, si è appena conclusa in una vera e propria catastrofe, e tuttavia Alan Bates, l’inglese, non tradisce la delusione, si passa una mano sul vestito bianco e domanda a Zorba, uno strepitoso Anthony Quinn, di insegnargli a ballare. Risuonano le note del famoso sirtaki composto da Mikis Theodorakis. La catastrofe della produttività viene seppellita in un attimo dallo spirito trasfigurante e quasi nietzscheano in cui s’incarna Zorba, l’uomo della danza, l’uomo greco per eccellenza. Probabilmente, agli esponenti della troika, potrebbe bastare anche la proiezione di quei tre minuti di film. Ma gli editori italiani hanno intuito che le semplificazioni non bastano e dunque è piuttosto l’intera opera di Nikos Katzantzakis a meritare un posto sugli scaffali delle nostre librerie. Così di questo eccezionale autore, forse il più rappresentativo fra i narratori greci del Novecento, sono ricomparsi i tre libri più importanti.
Innanzitutto Zorba il greco originalmente pubblicato nel 1946, di cui Nicola Crocetti (per Crocetti editore) ci ha regalato una magnifica traduzione dalla lingua originale (l’edizione precedente traduceva la versione inglese). Poi La seconda crocefissione di Cristo, (trad. M.Vitti, Castelvecchi) che uscì nel 1954 e fu portato sugli schermi tre anni dopo da Jules Dassin con il titolo Colui che deve morire. Infine, L’ultima tentazione di Cristo (trad. dal francese di M. Aboaf e B. Amato, Frassinelli) che fu pubblicato nel 1955 e trasposto in una versione cinematografica criticatissima da Martin Scorsese nel 1988. Tre libri decisivi per riscoprire un autore stranamente sottovalutato, che nel ‘57 mancò per un solo voto il Nobel assegnato ad Albert Camus.
Un autore dai mille interessi, eclettico, sempre in cerca di una risposta spirituale: mistico e politico, viaggiatore e studioso, traduttore, narratore e poeta (sui 33.333 versi della sua Odissea, è al lavoro Crocetti, e qualche stralcio è rintracciabile nel Meridiano Mondadori dedicato ai Poeti greci del Novecento). Un uomo, dunque, lacerato dal dilemma tra conoscenze libresche e azione, tra l’aspetto più teorico della riflessione filosofica e la ricerca pratica nel senso che i primi pensatori greci attribuivano al vivere filosofico. Quello stesso dilemma che ritroviamo nel ritratto autobiografico che Kazantzakis ci offre di sé attraverso il narratore del suo Zorba: lo studioso di origine cretese appassionato di Dante e di Buddha, nel film l’inglese, che nelle nebbie del Pireo trova in Zorba più che un aiutante un maestro.
Povero di ricchezze e di letture, ricchissimo di esperienze e istinto vitale, capace di massime da scolpire nella pietra, Zorba si rivela il paradigma dell’uomo greco, un paradigma metastorico, che ha a che fare con la sapienza presocratica e al tempo stesso con la sapienza assolutamente contemporanea esemplare in un altro famoso greco, quel poeta di nome Katsìmbalis, altrimenti ignoto se non per il romanzo di Henry Miller, Il Colosso di Maroussi. Ma di che genere di sapienza stiamo parlando? Una risposta unitaria è impossibile. La spinta sistematica della filosofia moderna non ha nulla a che fare con questo genere di ricerca. E tuttavia è proprio nella ricerca che dobbiamo andare a guardare. Nella perenne domanda, nello spirito critico. Zorba non accetta mai le risposte offerte dal senso comune. E cerca invece di liberarsi da ciò che impedisce il cammino di ogni uomo che vuole diventare se stesso.
È su questa strada che il narratore/Kazantzakis vuole essere iniziato. La strada che vede nel lavoro un passaggio verso l’ozio, nella sofferenza un passaggio verso la leggerezza, la via che spinge a cercare lo spirito nel corpo, rimuovendo gli ostacoli della riflessione per sollevarsi dalla terra al cielo. “È così che si libera l’uomo – gozzovigliando, non facendo il monaco. Come fai a liberarti del diavolo, se non diventi un diavolo e mezzo?” grida Zorba. Perché bisogna conoscere ciò che ci impedisce di danzare e bisogna essere legati alla terra per librarsi in cielo. “Il cervello è un droghiere che tiene i registri. È un bravo amministratore. Non taglia la fune. Ma se non tagli la fune mi dici che gusto ha la vita? Di camomilla, camomillina; non di rum!” La risposta a una civiltà in crisi, in questo romanzo capolavoro, è dunque un’indefessa lotta per la libertà. Qualcosa che la troika farebbe bene a tenere in mente. Quanto a Kazantzakis, la sua lotta durò fino alla fine. Sulla tomba fece incidere poche parole: “Non spero nulla. Non temo nulla. Sono libero”.
Questo pezzo è uscito su la Repubblica. (Foto: una scena di Zorba il greco di Michalis Cacoyannis)
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