Chagall, Paris par la fenetre (1913)
Sappiamo molto del mondo ebraico dell'Est Europa in gran parte
scomparso a causa della Shoah. Quasi niente degli ebrei
dell'Occidente, comunità ancora vive, come racconta un libro
affascinante da poco in libreria.
Chouchani, il santo rabbino che un giorno sparì nel nulla
«Qualcuno in quei tempi lontani, di Chouchani trattenne l’eccezionalità, il suo essere il meglio, e in essa si consolò. Chouchani accecava ogni individuo che incontrava. Solo collettivamente, insieme, quei reduci facevano schermo e riuscivano al di là delle scintille, e per mezzo di queste scintille, a coglierne l’essenza: la claudicanza».
La valigia quasi vuota è un libro singolare e profondo, procura un senso di vertigine perché è anche il confronto fra due grandi personalità, è il coraggio teologico di affrontare non un rischio ma il Rischio.
Ma a Baharier non interessa alimentare la favola del santo bevitore; mette persino in dubbio l’autenticità della tomba del clochard sapiente a Montevideo, su cui Elie Wiesel avrebbe fatto scrivere questo epitaffio: «Il savio maestro Chouchani di benedetta memoria. La sua nascita e la sua vita sono chiuse in un enigma». Il centro della riflessione de La valigia quasi vuota è la claudicanza di Chouchani, non un difetto fisico ma l’essenziale della conoscenza: «La claudicanza la considero una condizione comune a tutto il genere umano; a imitazione non dell’imperfezione ma della perfettibilità, intesa come percorso. Ce lo suggerisce la Torà. È nella Genesi. Quando vennero creati luna e sole, essi furono all’inizio ugualmente grandi, ci dice il testo, i due grandi luminari del cielo. Ma la luna protestò: due sovrani non possono fregiarsi della medesima corona. Hai ragione, rispose il Creatore, vai e rimpicciolisci! Diventa claudicante. La claudicanza di cui parlo è una fiera menomazione, perché grandezza e precarietà non sono in alternativa, ma costituiscono il modus vivendi dell’uomo responsabile». Per questo Baharier chiama Chouchani «un clochard lunare» (il calendario ebraico segue le fasi della luna).
Aldo Grasso
Chouchani, il santo rabbino che un giorno sparì nel nulla
«Qualcuno in quei tempi lontani, di Chouchani trattenne l’eccezionalità, il suo essere il meglio, e in essa si consolò. Chouchani accecava ogni individuo che incontrava. Solo collettivamente, insieme, quei reduci facevano schermo e riuscivano al di là delle scintille, e per mezzo di queste scintille, a coglierne l’essenza: la claudicanza».
Chi è questo monsieur
Chouchani (si pronuncia Sciuscianì)? È una figura gigantesca, e
profondamente enigmatica, giusto per accrescerne il carisma.
L’aspetto trasandato, quasi repellente, da clochard, i pochi che
l’hanno conosciuto lo descrivono come un genio talmudico: sapeva
tutto, di ogni materia. Di lui Emmanuel Lévinas ha detto:
«Incontrarlo era come entrare in contatto con un genio nel senso
assoluto della parola; era un uomo che poteva tenere insieme un
numero molto vasto di idee senza essere soggetto alla costrizione di
condurle a un esito conclusivo. Era come se il Talmud fosse presente
dentro di lui, incorporato, vivente».
Dopo appena poche pagine
de La valigia quasi vuota di Haim Baharier (Garzanti), abbiamo la
certezza di trovarci di fronte a un essere indistruttibile, vocato a
eterne interpretazioni (come vuole il Talmud), a torsioni di
significato, uno di quei rari personaggi che camminano sul crinale
fra storia e leggenda. Nello sconvolgimento che suscita, Chouchani è
una grande occasione per sfuggire all’opprimente banalità della
ragione.
La sua figura di zoppo
senza età e senza patria, un apolide più etico che metafisico,
sempre avvolto in uno sdrucito paletot, il terrore che suscitava,
specie nei bambini, il disgusto che accompagnava il suo aspetto ci
ricordano la parabola trasparente e misteriosa de La leggenda del
santo bevitore di Joseph Roth, ma la figura di Chouchani, il
«clochard lunare», come lo definisce il suo autore, non si
idealizza nella letteratura: dura come un diamante, ci ricorda che il
limite di ogni conoscenza è una conoscenza più grande, il limite di
ogni dolore è un dolore più grande.
Chouchani |
La valigia quasi vuota è un libro singolare e profondo, procura un senso di vertigine perché è anche il confronto fra due grandi personalità, è il coraggio teologico di affrontare non un rischio ma il Rischio.
Nato a Parigi
(cresciuto nella «Parigi dei primi anni Cinquanta… Ebrei da ogni
dove, Polonia, Lituania, Germania. Tra questi i miei genitori,
entrambi scampati ad Auschwitz. E poi noi, io e mio fratello… La
nostra lingua madre era una lingua straniera»), Haim Baharier,
matematico, psicoanalista, ma anche commerciante di preziosi e
consulente aziendale, è tra i principali studiosi di ermeneutica
biblica e di pensiero ebraico. E Chouchani visse a Parigi, fra quei
reduci, poi scomparve, svaporò, lasciando in eredità la sua
leggenda. Baharier, da adolescente, è stato il primo a scriverne,
prima ancora dei libri inchiesta e della enorme fioritura aneddotica.
Adesso, a distanza di molti anni, quel fantasma «stropicciato»
ritorna, prepotentemente, come un conto mai chiuso.
Prima i ricordi:
quando arrivava a casa loro, il piccolo Haim non era contentissimo.
Abitavano in una «reggia» di 35 metri quadri e all’arrivo di
Chouchani doveva cedergli il letto. Anche sua madre mostrava segni di
nervosismo, ma per suo padre quel clochard era un uomo da rispettare
e con cui discutere per ore. Erano colloqui che non finivano mai,
impenetrabili: «Si elevano preghiere ai cieli, parole, per
incontrare l’incomprensibile. Chouchani fu dissacratore per
eccellenza perché con lui funzionava l’inverso: si usava
l’incomprensibile per incontrarlo». Parlava moltissime lingue, un
poliglotta alla Émile Benveniste. Avrebbe potuto sostituire docenti
all’università in qualsiasi materia. Lévinas diceva: «Tutto
quello che io so, lo sa anche Chouchani. Quel che sa lui io non lo
so». Poteva parlare di Bagdad o di Mosca come se in quelle città
fosse sempre vissuto. L’accattone, lo scroccone, lo «schnorrer»
mendicava accoglienza in cambio di sapienza.
Parigi ebraica, il Marais |
Ma a Baharier non interessa alimentare la favola del santo bevitore; mette persino in dubbio l’autenticità della tomba del clochard sapiente a Montevideo, su cui Elie Wiesel avrebbe fatto scrivere questo epitaffio: «Il savio maestro Chouchani di benedetta memoria. La sua nascita e la sua vita sono chiuse in un enigma». Il centro della riflessione de La valigia quasi vuota è la claudicanza di Chouchani, non un difetto fisico ma l’essenziale della conoscenza: «La claudicanza la considero una condizione comune a tutto il genere umano; a imitazione non dell’imperfezione ma della perfettibilità, intesa come percorso. Ce lo suggerisce la Torà. È nella Genesi. Quando vennero creati luna e sole, essi furono all’inizio ugualmente grandi, ci dice il testo, i due grandi luminari del cielo. Ma la luna protestò: due sovrani non possono fregiarsi della medesima corona. Hai ragione, rispose il Creatore, vai e rimpicciolisci! Diventa claudicante. La claudicanza di cui parlo è una fiera menomazione, perché grandezza e precarietà non sono in alternativa, ma costituiscono il modus vivendi dell’uomo responsabile». Per questo Baharier chiama Chouchani «un clochard lunare» (il calendario ebraico segue le fasi della luna).
La claudicanza è la
capacità di rimpicciolirsi senza per questo diminuirsi, è la
capacità di fare un passo indietro, avvicinarsi alle sorgenti
inviolate della vita in precario equilibrio. E si può accogliere
l’altro, dargli parte del proprio spazio, senza per questo sentirsi
impoveriti. Questa la grande lezione biblica di Chouchani: «Cosa
rese Chouchani il geniale claudicante che tutti conobbero? Sappiamo
che il giovane Giacobbe, non ancora patriarca, comprò con un piatto
di lenticchie la primogenitura dal fratello Esaù. E anni dopo,
quando Esaù furente lo cercherà per vendicarsi, Giacobbe, alla
vigilia dell’incontro, lotta con l’angelo protettore del fratello
e lo sconfigge. L’angelo, riconoscendolo degno avversario, lo tocca
sull’anca e lo lascia zoppo. Da quel momento in poi l’essere
claudicante costituirà la sua integrità. L’essere zoppo non gli
farà abbassare lo sguardo».
Persino l’umorismo è
una concausa della claudicanza. Il verbo «ridere» in ebraico non è
transitivo, ma riflessivo: non si ride dell’altro ma di sé, il
riso nasce da un propria contraddizione, da una propria
inadeguatezza.
Nella valigia quasi vuota lasciata in eredità
da Chouchani, più simile a un povero scatolone, c’è anche
racchiuso l’arcano della scrittura, che si muove come le onde del
mare, indietreggia e avanza, sparisce e riappare fra ritrosia ed
emergenza, sempre tesa verso l’assoluto, anche quando si fa
claudicante.
Haim Baharier
La valigia quasi vuota
Garzanti, 2014
€ 14.90
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