Al Guggenheim di New
York la prima rassegna completa negli Stati Uniti dedicata al
movimento che rivoluzionò i linguaggi e l’estetica del Novecento.
Lea Mattarella
Futurismo in Usa
L’avanguardia
italiana alla conquista di New York
Il Futurismo conquista l’America in una sfavillante mostra aperta al Guggenheim di New York (da oggi al primo settembre), pronto a trasformarsi in una grande opera d’arte totale. «Abbiamo voluto giocare con l’architettura del museo – spiega la curatrice Vivien Greene che lavora a questo progetto da cinque anni – chi entra trova subito raccolti nella Rotonda ideata da Frank Lloyd Wright i temi fondamentali del movimento futurista: la simultaneità, il dinamismo, lo spettatore al centro del quadro.
Le opere avvolgono il
visitatore in una dichiarata cacofonia visiva e uditiva». Perché,
come si legge nel Manifesto Tecnico della Pittura Futurista firmato
da Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini nel 1910 «le nostre
sensazioni pittoriche non possono essere mormorate. Noi le facciamo
cantare e urlare nelle nostre tele che squillano fanfare assordanti e
trionfali».
L’immersione nel Futurismo è totalizzante. La mostra (resa possibile dalla sponsorizzazione di Lavazza) infatti, oltre a esporre i più straordinari capolavori di pittura e scultura dei suoi protagonisti raccoglie oggetti, abiti, fotografie, film, scenografie, suoni, scritti, stoffe, libri, architettura, giocattoli, ceramiche, mobili, pubblicità. Tutto declinato in termini di esaltazione della modernità, del cambiamento. Non a caso il sottotitolo della rassegna si rifà alla Ricostruzione futurista dell’universo, auspicata in un manifesto da Balla e Depero del 1915 in cui si afferma di voler «ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente».
«Abbiamo voluto realizzare una vera e propria introduzione al movimento – prosegue la Greene – perché negli Stati Uniti questo non è conosciuto in tutta la sua complessità». La mostra aperta al Museum of Modern Art di New York nel 1961, infatti, era molto concentrata sulla pittura e sulla fase iniziale di questa avanguardia che si considerava chiusa con la morte di Boccioni, avvenuta nel1916, quando l’artista aveva appena 34 anni. L’odierna kermesse si muove invece tra il 1909, anno del Manifesto redatto da Filippo Tommaso Marinetti, e il 1944, data della sua morte.
Inserendo anche tutti gli
artisti che partecipano a quello che viene comunemente chiamato il
“secondo Futurismo”, secondo una definizione resa celebre da
Enrico Crispolti che comprende i protagonisti dell’aeropittura,
affermatisi dopo la prima guerra mondiale, da Gerardo Dottori a Tato
fino a Tullio Crali. Ed è molto affascinante in questa sezione il
rapporto tra i loro dipinti e gli scatti di Roma vista dall’alto di
Filippo Masoero dove persino la cupola di San Pietro appare un idolo
della modernità.
Altrettanto interessante
è il rapporto strettissimo che si rintraccia tra le sperimentazioni
fotografiche di Anton Giulio Bragaglia e gli studi sulla velocità di
Giacomo Balla, come succede nelle loro raffigurazioni di mani in
movimento: rapide sulla macchina da scrivere per il primo e
imprendibili sul violino per il secondo. Per Balla è così che si
racconta il dinamismo, attraverso la ripetizione, come succede nei
celebri quadri in cui astrattizza il volo di una rondine o
un’automobile sulla strada.
Per Boccioni tutto si
muove nel segno della simultaneità, di un più vasto dinamismo
universale in cui tutto, e non soltanto l’oggetto inquadrato dal
pittore, si muove, modificando la percezione dello spazio e del
tempo. Opere come Visioni simultanee e Elasticità mostrano
un mondo sfaccettato, vorticoso che rivela un’energia sotterranea,
potente, uno slancio vitale derivante dall’interesse dell’artista
nei confronti delle teorie di Henri Bergson e del suo universo
irrazionalista. «L’epoca in cui viviamo – dichiarava Boccioni –
inaugura una nuova era che fa di noi i primitivi di una nuova
sensibilità completamente trasformata». E, nel manifesto della
scultura futurista, propone la “scultura di ambiente” capace di
“modellare l’atmosfera”. Il suo imperativo “Spalanchiamo la
figura e mettiamo in essa l’ambiente” lo si vede diventare
immaginare nelle sculture come Antigrazioso, Sviluppo di una
bottiglia nello spazio, Forme uniche nella continuità dello
spazio, la cui fonte rivisitata, è proprio quella Nike citata
nel manifesto di Marinetti dove si legge che «un automobile
ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della
Vittoria di Samotracia ».
«Mi interessa molto l’idea del paradosso presente non soltanto nel Futurismo ma in tutto il Modernismo italiano. I futuristi sono proiettai in avanti ma, seppure in maniera inconsapevole, devono fare i conti con il passato. Per esempio l’idea stessa della “ricostruzione” ha radici nell’Ottocento, nel Gesamtkunstwerk, (l’opera d’arte totale) di Wagner, nel movimento Nabis, in Whistler. Nello stesso tempo si assiste alla creazione delle “serate” che sono davvero qualcosa di assolutamente innovativo, spazi in cui succede di tutto».
Il clima delle “serate futuriste”, la gioiosa invenzione delle “parole in libertà”, l’idea che tutto il mondo fosse da cambiare a colpi di manifesto (della pittura, della scultura, dell’architettura della danza, del teatro, della cucina, della donna, della lussuria...) emerge dalla mostra e dal catalodinarigo che la accompagna, ricchissimo di interventi, anche di studiosi italiani come Claudia Salaris, Enrico Crispolti, Fabio Benzi e molti altri, grazie al lavoro di documentazione e alla qualità del prestiti. Ci sono i capolavori di Carlo Carrà, come Manifestazione interventista oIl funerale dell’anarchico Gallida lui stesso definito un «ribollimento o turbine di forme e di luci sonore, rumorose, odoranti», accanto a quelli di Gino Severini come la Danzatrice blu con il suo ritmo forsennato a colpi di paillette.
Ci sono le cornici
dipinte perché l’arte deve invadere la vita. E infatti la
conquista allegramente, reinventando la parola come accade nelle
opere di Francesco Cangiullo, ripensando l’architettura con le
visioni di Antonio Sant’Elia (scomparso nello stesso anno di
Boccioni) e di Mario Chiattone con i progetti di edifici che hanno
perso il «senso del monumentale, del pesante, dello statico» in
favore del «gusto del leggero, del pratico, dell’effimero e del
veloce».
E poi c’è il teatro
con i Balli Plastici di Fortunato Depero dove scompare l’attore
sostituito dal burattino, o dall’uomo meccanico di Pannaggi. Oppure
i progetti di Balla per Fuoco d’artificio di Stravinsky
ideato per i Balletti Russi che pare il «paesaggio astratto a coni,
piramidi, poliedri, spirali di monti, fiumi, luci, ombre »
richiamato nel manifesto della Ricostruzione futurista di cui
questa mostra è un nuovo, entusiasmante capitolo.
La Repubblica – 21
febbraio 2014
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