Mieli Renato Togliatti 1937
Recensione di Luca-Menichettipubblicata oggi sul sito http://www.lankelot.eu/
“Togliatti 1937”, opera di Renato Mieli
pubblicata per la prima volta nel 1964, è stata ristampata da Rizzoli
soltanto nel 1988 e da allora più nulla. Un saggio definito “di scomode
verità” che, come al tempo della prima edizione, avrebbe potuto
imbarazzare i nostalgici del socialismo reale e poi coloro che si erano
malamente riciclati come democratici. Ma “Togliatti 1937” è un libro
che, grazie allo stile e all’equilibrio di Renato Mieli, non si presta a
quelle becere operazioni editoriali che abbiamo conosciuto negli ultimi
vent’anni, spesso condizionate da intenti elettorali. Mieli era uno
spretato, aveva rinnegato la chiesa comunista dopo i fatti di Budapest, e
malgrado tutto si coglie bene come non fosse animato dai tipici rancori
dell’ex. Nei suoi scritti prevale l’oggettività, la capacità di
distinguere comunista da comunista, pur nella considerazione di come
fosse sbagliata quell’idea di socialismo di Stato: “Vano è dire e
pensare che lo sviluppo socialista dell’Unione Sovietica avrebbe potuto
essere diverso e che i delitti che vennero commessi sotto Stalin
avrebbero potuto essere evitati. No: non poteva essere che così. La
logica della lotta per il potere assoluto è più forte di ogni schema
ideologico. Quando entra in funzione la macchina per costringere tutti a
pensarla allo stesso modo e ad obbedire senza discussione, non c’è più
riforma sociale che salvi e protegga l’uomo dalle ingiustizie ben più
crudeli dello sfruttamento economico in un regime di proprietà privata
[…] Può sembrare paradossale a dirlo: ma anche senza Stalin ci sarebbe
stato lo stalinismo. Forse meno crudele, meno primitivo, meno enigmatico
agli occhi dell’Occidente; ma ci sarebbe stato ugualmente un analogo
fenomeno di accentramento autoritario del potere, con tutte le iniquità
che esso comporta” (pag. 147).
“Togliatti 1937” è una storia di delitti
di massa, di inconfessate complicità e di evidenti omissioni che ha
visto come vittime i tanti comunisti che crederono di trovare nell’Urss
di Stalin il paradiso in terra ed invece trovarono un biglietto di sola
andata per l’inferno. Il 1937 è proprio l’anno che vide la fase più
virulenta delle epurazioni ordinate da Stalin nei confronti di tanti
esponenti del comunismo mondiale e con la NKDV di Jezov come carnefice
(a sua volta arrestato e ucciso nel 1940). E con Togliatti che in quel
periodo viveva a Mosca, numero due del Comintern, responsabile per i
Paesi dell’Europa centrale: una carica che lo condusse a ratificare
politicamente le decisioni di Stalin. Il risultato furono evidenti
complicità, ma anche omissioni, silenzi da parte di Togliatti e di altri
alti papaveri comunisti che neppure il rapporto Krusciov fecero venire
meno. Il segretario del Pcus è vero che denunciò il culto della
personalità staliniano, gli eccessi, le purghe, ma raccontò soltanto
quella parte utile ad emancipare la popolazione sovietica e il partito
dal terrore staliniano. Molto altro fu taciuto a cominciare
dall’eliminazione di innumerevoli dirigenti e militanti dei partiti
comunisti europei che si trovavano allora nell'URSS.
Renato Mieli, con le fonti documentali
che potevano essere presenti in quel 1964 e grazie ad una capillare
raccolta di detti e contraddetti da parte di alti dirigenti del partito,
ha raccontato cosa accadde in quegli anni, soprattutto a partire
dall’uccisione di Kirov e con l’inizio delle repressioni in massa (detta
anche “politica del terrorismo di massa”). La rappresentazione quindi
di un cambio di strategia: “fu l’inizio di un’operazione che aveva un
carattere inconfondibilmente diverso da quella precedente che era
servita a soffocare i focolai di resistenza e di ribellione alle riforme
strutturali imposte dall’alto, in particolare con la collettivizzazione
delle campagne. Se fino ad allora il potere sovietico aveva usato la
violenza per reprimere un’opposizione dilagante tra le masse, sottoposte
a indicibili privazioni e vessazioni, da allora, invece, vi fece
ricorso per prevenire il formarsi di una qualsiasi opposizione al
vertice. Spostò, in altre parole, il tiro, per colpire non più in basso
ma in alto [….] Che una stretta connessione esista tra le repressioni
contro i dirigenti comunisti sovietici e quelle dirette contro gli
esponenti più in vista di altri partiti comunisti europei e dello stesso
Comintern appare evidente” (pag. 9-10).
Mieli passa in rassegna i casi più
eclatanti che videro epurati i presunti nemici dell’Urss e del
proletariato, a cominciare dalla decapitazione dell’intero partito
comunista polacco con l’accusa folle di essere capillarmente infiltrato
da agenti di Pilsudski. Una decisione che, secondo Mieli, poteva essere
stata finalizzata ad eliminare l’opposizione polacca e interna al
Comintern in previsione della spartizione della Polonia con i nazisti.
Poi, tra le tante, la vicenda che vide incarcerato Bel Kun, gli anni
pericolosi di Tito tra Russia e Jugoslavia, la macchinazione di Orlov
per torturare e uccidere il leader spagnolo del POUM, Andrés Nin (trame
tutte ben conosciute da Togliatti). Il libro prende in esame anche le
storie meno conosciute e tristissime di altre vittime del terrorismo di
Stato staliniano, tra i quali molti comunisti italiani come Baccalà,
Edmondo Peluso, Giuseppe Pirz, Carlo Costa, Otello Gaggi. Appare
evidente peraltro come diverse furono le reazioni delle stesse vittime
alla repressione poliziesca prima e poi alle torture e alla prospettiva
di morire per mano di quelli che credevano loro compagni. Da un lato
abbiamo il fervente stalinista Robotti, arrestato a Mosca nel 1937 e poi
sopravvissuto alle torture: “chiuso nel suo silenzio su quell’episodio
del passato, per anni ed anni, Robotti continuò ad essere il più
fervente e intollerante propugnatore del sistema di cui era stato
vittima. Esaltò Stalin, vivo o morto, con un accanimento che solo la
profondità del suo intimo travaglio può spiegare” (pag. 81). Dall’altro
lato, presente tra i documenti dedicati alle vittime riabilitate della
NKVD, la polacca Wera Kostrzewa: “per W.K. l’indipendenza del pensiero
era inseparabile dal partito e perciò se ne dovette andare dalla
direzione del partito stesso […] Gravemente ammalata, la vecchia
rivoluzionaria, fu arrestata dalla NKVD nell’estate del 1937 e, come di
prammatica, fu accusata di spionaggio a favore di Pilsudski. Non
sopravvisse ai metodi del terrore nel carcere della Lubianka” (pag.
197).
Dall’altra parte della barricata il
compagno Togliatti del Comintern che, dopo il rapporto Krusciov e senza
più il rischio di diventare vittima dei compagni stalinisti, si mostrò
tanto reticente da legittimare diverse domande, con alcune risposte
scontate ed altre meno scontate. Senza voler adesso entrare nell’
specifico dell’attività di Togliatti al servizio dell’Urss, Mieli così
sintetizza la sua posizione: “Il punto da chiarire non è, dunque, se
Togliatti abbia collaborato alla politica repressiva, intrapresa da
Stalin nel marzo del 1937 – visto che per lo meno in un caso ciò risulta
inconfutabile – ma come e perché lo abbia fatto. Qui il nodo da
sciogliere: un nodo più intricato di quanto a prima vista potrebbe
apparire […] Il terrore genere, è vero, la sottomissione di chi non
vuole a nessun costo soccombere. Però la sottomissione può assumere
molteplici forme: dalla remissività alla complicità. Non è detto che si
dovesse collaborare attivamente a genocidio che si andava compiendo
sotto Jezov. Si poteva anche evitare di spingersi fino a tal punto e
tentare, nei limiti del possibile, di non compromettersi con quella
barbarie che oggi si deplora. Vi era modo e modo di comportarsi nei
confronti di quel regime se non si voleva condividerne le
responsabilità, pur non osando o non intendendo opporvisi” (pag. 108).
Questo discorso, possiamo aggiungere, vale tanto più di fronte alle
citate reticenze e omissioni continuate anche dopo molti anni la caduta
del regime staliniano. A questo riguardo viene in mente il titolo di un
recente libro dedicato a Massimo D’Alema: “Il peggiore”. Ben consapevoli
degli errori madornali del compagno Baffino, siamo però convinti che la
palma di peggiore spetti ad altri, ricordando anche le parole di
Massimo Caprara, ex segretario del leader comunista: “Lui, Togliatti,
visse in Urss. Benché avesse l’autorità per farlo, non mosse un dito per
salvare la vita dei duecento comunisti italiani e dei dirigenti
polacchi. Pur di sopravvivere, accettò di seppellire la sua coscienza
sotto un cumulo di fango e sangue”.
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Renato Mieli, (Alessandria
d'Egitto, 29 dicembre 1912 – Milano, 21 maggio 1991), fondatore
dell'agenzia ANSA e padre del giornalista Paolo Mieli, partecipò da
giovane al movimento comunista, organizzando nel '37-'38, durante gli
anni della guerra di Spagna, un gruppo clandestino che svolse un'azione
di penetrazione e di stimolo critico tra gli universitari e gli operai a
Padova, dove aveva compiuto i suoi studi laureandosi in
fisica-matematica. Espatriato nel ‘39, è tornato in Italia dopo la
liberazione, ricoprendo prima a Napoli e poi a Roma la carica di
dirigente dell'Ufficio stampa alleato del P.W.B. e fondando,
successivamente, l'agenzia giornalistica ANSA. Finita la guerra, riprese
nel ‘45 l'attività politica nelle file del PCI e venne chiamato ad
assumere la direzione dell’Unità, a Milano, nel biennio ‘47-‘48, per
essere poi trasferito alla sezione esteri del comitato centrale dello
stesso partito a Roma, dove rimase fino al 1958. Durante questo periodo,
fu anche uno dei più assidui e stretti collaboratori della rivista «
Rinascita », diretta da Togliatti. Ritiratosi dall'attività politica,
dopo i fatti di Ungheria, ha rivolto da allora la sua attenzione, come
giornalista e come studioso, ai problemi economici e sociali
dell’Italia. Fu poi collaboratore del Giornale di I. Montanelli e del
Corriere della Sera. Nel 1990 venne nominato presidente del “Centro
vittime dello stalinismo”.
Renato Mieli, Togliatti 1937, Rizzoli, Milano 1964
Luca Menichetti. Lankelot, febbraio 2014
Riprendo da facebook un veloce scambio di battute che ho avuto sull'argomente con un caro amico:
RispondiEliminaBernardo Puleio: ma c'è stata mai una fase in cui Togliatti non sia stato stalinista?
Francesco Virga Da giovane non lo era! Quando curava con Gramsci LA RASSEGNA SETTIMANALE DI CULTURA SOCIALISTA non lo era!
Bernardo Puleio: forse prima di Stalin
Francesco Virga: Quando i giovani Gramsci e Togliatti prendono la tessera del PSI Stalin sostanzialmente era un seminarista della Chiesa Ortodossa Russa ( una ragione in più per guardarsi da qualsiasi ortodossia!).