12 febbraio 2014

PER SUPERARE LA CRISI OCCORRE USCIRE DAL LIBERISMO



Il capitalismo e lo Stato” di Paolo Leon permette una lettura approfondita dei meccanismi della crisi che è prima di tutto crisi del modello liberista. Implicita la lezione politica: non si può uscire dalla crisi del liberismo usando ricette liberiste. Se ne facciano una ragione Renzi, Letta e il PD. Ma un nuovo New Deal è possibile solo su scala continentale. Da qui l'importanza delle prossime elezioni europee.
Roberto Romano

Il declino del paradigma neoliberale

Negli ultimi mesi sono stati pub­bli­cati molti libri e saggi che inda­gano la crisi inter­ve­nuta nel 2007, ma pochi hanno stu­diato la fine del para­digma reaganiano-thacheriano fon­dato su un par­ti­co­lare equi­li­brio tra stato e capi­tale. In Il capi­ta­li­smo e lo Stato. Crisi e tra­sfor­ma­zione delle strut­ture eco­no­mi­che" (Castel­vec­chi, euro 27) Paolo Leon indaga la crisi del 2007 par­tendo dagli eco­no­mi­sti clas­sici (Smith, Ricardo e Marx). È un libro da stu­diare, par­tendo dalle tre tesi che, assieme, con­cor­rono a costruire una ragna­tela del sapere eco­no­mico.

La prima tesi è legata al con­flitto capitale-stato. Più pre­ci­sa­mente «Il capi­ta­li­smo, infatti, è un modo di essere delle società che non si distrugge nelle crisi, ma evi­den­te­mente si tra­sforma e, una volta tra­sfor­mato, dà luogo a una nuova cul­tura capi­ta­li­stica e a nuovi rap­porti tra i capi­ta­li­sti e lo Stato e tra gli stessi capi­ta­li­sti». È pro­prio nel rap­porto capitale-Stato la prin­ci­pale dif­fe­renza tra il modello reaganiano-thacheriano e il modello del new deal.

Que­sto pas­sag­gio è pro­pe­deu­tico per lo svi­luppo della seconda tesi rela­tiva al governo della domanda effet­tiva. Lo squi­li­brio, la dina­mica di strut­tura, la ricom­po­si­zione della domanda (effet­tiva), gli inve­sti­menti sono il tratto distin­tivo e dina­mico dell'economia capi­ta­li­stica. Le isti­tu­zioni pre­po­ste al governo della domanda effet­tiva e della sot­tesa dina­mica di strut­tura sono cam­biate, assieme all'evoluzione dell'organizzazione della pro­du­zione e della società. In ordine di tempo sono rico­no­sci­bili due modelli di governo della domanda effet­tiva: il new deal roo­se­vel­tiano e il libe­ri­smo di Mar­ga­ret That­cher e di Ronald Rea­gan.



Con la crisi delle isti­tu­zioni legata al modello neo­li­be­ri­sta (2007–8) si ripro­pone il tema del governo della domanda effet­tiva; ci tro­viamo tra un'era eco­no­mica (finita) e un'altra era (da costruire) con delle istituzioni-modelli (Thatcher-Reagan) con­so­li­dati: glo­ba­liz­za­zione, inte­gra­zione dei mer­cati finan­ziari, allar­ga­mento della forza lavoro e nuova divi­sione inter­na­zio­nale del lavoro. L'esito e lo sbocco della crisi delle isti­tu­zioni rea­ga­niane non sarà la ripro­po­si­zione (cor­retta) delle poli­ti­che roo­se­vel­tiane del dopo '29. Sicu­ra­mente pos­sono offrire un con­forto, ma un conto è aumen­tare la domanda interna in un'economia chiusa, un altro conto è aumen­tare la domanda interna in un mer­cato aperto e integrato.

La terza tesi è legata alla pun­tua­liz­za­zione delle dif­fe­renze tra mer­cato e poli­tica eco­no­mica. Inter­pre­tando Leon, può essere rin­trac­ciato lo svuo­ta­mento della poli­tica eco­no­mica nel momento esatto in cui le Ban­che Cen­trali da stru­mento di soste­gno ai defi­cit pub­blici, via acqui­sto dei titoli, sono diven­tate stru­mento di con­trollo dell'inflazione. Il divor­zio tra Banca Cen­trale e Tesoro ha un effetto che tra­va­lica il divor­zio in sé per sé. Il divor­zio ha infatti pro­vo­cato una cre­scita gigan­te­sca di moneta pri­vata (endo­gena) che ha finan­ziato lo svi­luppo dei Paesi emer­genti. Inol­tre, la cre­scita della pro­du­zione ha bloc­cato l'inflazione che sarebbe stata altri­menti pro­vo­cata dall'aumento non con­trol­lato della stessa moneta pri­vata. Que­sta moneta è debito che può espan­dersi se cre­sce il valore del capi­tale che gli fa da garan­zia («leve­rage»); ma que­sto valore cre­sce fin­ché cre­scono gli indici dei mer­cati finan­ziari, e que­sti indici, a loro volta, cre­scono tra­sci­nati dalla domanda delle ban­che che ne hanno biso­gno per esten­dere nuovi pre­stiti alla clien­tela, creando nuovo debito e nuovi debi­tori.

L'economia fon­data sul «leve­rage» è una vera tra­sfor­ma­zione del capi­ta­li­smo. Cam­bia il senso eco­no­mico di pro­fitto, che una com­po­nente fon­da­men­tale del red­dito. Per Leon, i gua­da­gni che si acqui­si­scono nel mer­cato finan­zia­rio non si misu­rano in pro­fitti o inte­ressi; è la sin­gola ope­ra­zione ad essere cen­trale e a creare sur­plus; è il volume mano­vrato che pro­duce gua­da­gni e non neces­sa­ria­mente pro­fitto, anche se sono qual­cosa di più di una ren­dita. In altra parole, gli «spe­cu­la­tori» si occu­pano di mer­cato, non di economia.



L'altra fac­cia dell'equilibrio

Il libro è diviso in quat­tro parti auto­nome che pos­sono essere lette sepa­ra­ta­mente; insieme offrono uno spac­cato della crisi via (1) descri­zione dell'ultima crisi, (2) la cecità dei capi­ta­li­sti, (3) la tra­sfor­ma­zione del capi­ta­li­smo, (4) verso un capi­ta­li­smo mer­can­ti­li­sta. Il pre­gio del volume è di inda­gare la crisi non solo come ridu­zione del Pil, o come la pola­riz­za­zione del red­dito: l'obiettivo è di sve­lare cosa si cela die­tro que­ste varia­bili, in par­ti­co­lare la cop­pia equilibrio-squilibrio. Leon guarda allo squi­li­brio come l'altra fac­cia dell'equilibrio: i due ter­mini si reg­gono vicen­de­vol­mente, per­ché non sarebbe pos­si­bile alcuna nozione di equi­li­brio, se non ci fosse la pos­si­bi­lità dello squi­li­brio. Ciò che viene trat­tato come squi­li­brio, è in realtà il con­ti­nuo cam­bia­mento nell'economia, dovuto all'incessante dina­mica sia nell'offerta sia nella domanda. Si tratta della cecità degli inter­preti del capi­ta­li­smo, più pre­ci­sa­mente dell'impossibilità, con­na­tu­rata alla loro essenza, di com­pren­dere gli effetti delle loro azioni sull'economia nel suo com­plesso.

Leon sot­to­li­nea le incon­gruità del modello dina­mico neo­clas­sico; più pre­ci­sa­mente quello di imma­gi­nare un Pil sem­pre uguale a se stesso, una società com­po­sta di indi­vi­dui ete­ro­ge­nei che si rin­no­vano sem­pre uguali a se stessi, per gusti, per pre­fe­renze, capa­cità poten­ziali. Alla fine non c'è posto per una crisi endo­gena. Con un para­dosso: gli autori dell'equilibrio neo­clas­sico affi­dano «l'equilibrio» ad un deus ex machina, cioè al rap­porto tra lo Stato e gli ope­ra­tori, lo shock eso­geno forse più rile­vante, attri­buendo agli ope­ra­tori (pri­vati) la capa­cità di cono­scere gli esiti macroe­co­no­mici delle azioni pub­bli­che, men­tre lo Stato, che pure ne è l'autore, non avrebbe la sim­me­trica capa­cità di cono­scere gli esiti delle azioni pri­vate. In sin­tesi il tutto non è uguale alla somma delle parti; baste­rebbe ricor­dare un noto risul­tato della stessa ana­lisi neo­clas­sica, ovvero che alla varia­zione del prezzo di un bene, oltre ad avere effetti sul red­dito, si veri­fica anche un effetto sosti­tu­zione, con modi­fi­ca­zioni dell'intera economia.



Tra debito e speculazione

Con la vali­gia ana­li­tica sug­ge­rita da Leon pos­siamo com­pren­dere meglio la spe­cu­la­zione verso i paesi inde­bi­tati dell'eurozona. L'attacco ai paesi inde­bi­tati è stato con­tra­stato con forti misure di auste­rità che, ridu­cendo il red­dito nazio­nale, ridu­ce­vano anche il get­tito tri­bu­ta­rio e la stessa capa­cità di ripa­gare il debito. Una situa­zione ideale per lo spe­cu­la­tore che, con­tro la sua azione, non doveva atten­dersi una sva­lu­ta­zione delle ine­si­stenti monete nazio­nali, né l'acquisto senza limiti da parte della BCE (che poi avverrà) dei debiti pub­blici in dif­fi­coltà, né l'insolvenza di qual­che Stato che avrebbe messo in peri­colo la stessa moneta euro­pea. È la fine della poli­tica mone­ta­ria. La Bce ha più volte sot­to­li­neato la dif­fi­coltà della pro­pria poli­tica mone­ta­ria; i tassi di inte­resse pra­ti­cati, nega­tivi in ter­mini reali, in realtà erano posi­tivi ed ele­vati nei paesi mem­bri sotto attacco spe­cu­la­tivo, ma bassi e nega­tivi negli altri paesi allo stesso tempo. D'improvviso, la poli­tica mone­ta­ria era diven­tata inef­fi­cace.

Diver­sa­mente da Leon un mar­gine di otti­mi­smo è pos­si­bile. Sono pro­prio le sue rifles­sioni a sug­ge­rirlo. Alla fine anche l'Europa sarà costretta a misu­rarsi con il pro­blema della domanda effet­tiva, del lavoro, del capi­tale e dell'economia reale.

il manifesto | 12 Febbraio 2014

Nessun commento:

Posta un commento