12 febbraio 2014

COSA VUOL DIRE DIGNITA'



Giorgio Vasta

Breve storia della dignità


Partiamo da quello che potrebbe apparire un paradosso: «Laddove Giovanni Paolo II riteneva che la dignità richiedesse l’inviolabilità della vita umana, dal concepimento alla cessazione naturale di tutte le funzioni vitali, la famosa organizzazione svizzera Dignitas aiuta a porre fine alla propria esistenza tutti coloro che desiderano “morire con dignità”».
E ancora: se il concetto di dignità è cruciale tanto nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 quanto nella Legge fondamentale della Repubblica Federale di Germania del 1949, nel 2006 il presidente iraniano Ahmadinejad si rivolse ad Angela Merkel sostenendo che «è responsabilità comune di tutte le persone che hanno fede in Dio difendere il valore e la dignità umana».
Insomma, il valore della dignità, il suo essere decisiva nel definire che cos’è un essere umano, sembra una specie di jolly, uno strumento culturale al quale appellarsi per conferire alla propria posizione una veste civile adeguata.
Un saggio come Dignità. Storia e significato del filosofo politico inglese Michael Rosen (Codice Edizioni, traduzione di Francesco Rende) chiarisce come per molti versi la “cosa” dignità sia simile a un’aporia. Come, cioè, sia un termine soggetto a una molteplicità di accezioni e come sia possibile fare luce sulle ragioni di questa variabilità d’uso e di senso.
Rosen compie una ricognizione storica utile a scoprire che nel tempo dignitas è stato un termine usato – anche da Cicerone – per caratterizzare prima il discorso e poi per estensione anche l’oratore; che per Tommaso d’Aquino è degno ciò che ha una giusta collocazione nel Creato; che per Kant la dignità, non avendo nel regno dei fini un prezzo e un equivalente, è l’incommensurabile; che per Schiller la dignità è «tranquillità nella sofferenza».
Verificata la natura proteiforme del concetto si fa indispensabile comprendere cosa ne è della dignità nel consesso umano. Come cioè le legislazioni ne hanno descritto struttura ed essenza. Emblematico quanto accadde nel 1991 quando il sindaco di un piccolo comune francese emise un’ordinanza che proibiva una gara di «lancio del nano». Nel momento in cui Manuel Wackenheim, l’uomo affetto da nanismo, fece ricorso contro il divieto si produsse una disputa legale (e culturale) che durò diversi anni. Per Wackenheim la violazione della dignità non consisteva, come riteneva il sindaco, nel lancio del nano, ma nell’impedire il compiersi di un’azione da lui stesso deliberatamente scelta.
Ancora una volta l’esperienza concreta della dignità risulta ubiqua e sfuggente. Proteggerla, promuoverla, è comunemente (e sensatamente) considerato giusto. Se però, su un piano civile, ridurre o violare la dignità è esecrabile, su un piano narrativo dà forma a un genere come la commedia. Rosen cita George Orwell per il quale l’umorismo è «la dignità che si siede su una puntina da disegno». In questo senso la commedia popolare italiana – dai personaggi di Alberto Sordi al Fantozzi di Paolo Villaggio – si è spesso fondata su figure che sistematicamente e strategicamente perdono la loro dignità.
Ragionando infine sul dovere di trattare degnamente i cadaveri, Rosen sostiene che «mostrare rispetto» è qualcosa che ha un valore intrinseco, indipendentemente dal fatto che il beneficiario ne sia consapevole. Torna in mente quanto si racconta del primo incontro tra Franz Kafka e il pianista Oskar Baum: nonostante quest’ultimo fosse cieco, lo scrittore praghese gli si inchinò davanti. Nell’impercettibile scuotimento d’aria generato da quel gesto meravigliosamente gratuito, consiste l’esperienza della dignità come riconoscimento – sempre e comunque – dell’altro.

Questo pezzo è uscito su La Repubblica ma noi l'abbiamo preso dal sito http://www.minimaetmoralia.it/wp/dignita-michael-rosen/
 

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