A dieci anni dalla
istituzione del Giorno del ricordo delle foibe scoperte sul confine italo- slavo proponiamo il bilancio che ne fa lo scrittore
Predrag Matvejevic.
E' bene comunque che noi siciliani non dimentichiamo le nostre "foibe" e, prima fra tutte, quella scoperta a Rocca Busambra dove la mafia corleonese ha cercato di far scomparire le tracce di molti suoi delitti.
«Certo che
bisogna tornare sulle foibe, ogni volta, ogni
anno». A dieci anni esatti dall'istituzione del Giorno del
Ricordo (il 10 febbraio), il bilancio di Predrag
Matvejevic è ancora una volta critico e
insiste a «ricordare tutti i ricordi». Nel 2004
un'iniziativa revisionista storica della
destra post-fascista, riciclata e diventata di
governo ed elettoralmente candidabile
grazie a Silvio Berlusconi, portò a
buon fine la sua battaglia negazionista
del passato di crimini italiani nell'ex
Jugoslavia. Centrando l'obiettivo di ridurre
la prospettiva all'ultimo, infausto periodo,
delle responsabilità slave. A questo
punto di vista tutto l'arco costituzionale
s'inchinò. Favorendo negli anni processi
cosiddetti culturali — fiction,
cerimonie, opere teatrali — di rimozione
della verità storica. Su questo abbiamo voluto
ancora una volta ascoltare per i lettori del
manifesto il grande scrittore dell'asilo e
dell'esilio, l'autore di Breviario mediterraneo
— per citare solo una delle sue opere — che ama ancora
definirsi jugoslavo. «A proposito di
storia, che vergogna che qui, in Croazia,
la Chiesa che ha così gravi responsabilità
nella connivenza con il nazifascismo
e con l'ideologia ustascia, abbia praticamente
disertato due settimane fa le celebrazioni
del Giorno della Memoria» ci dichiara subito Predrag
Marvejevic.
Sono passati
dieci anni dall'istituzione di questa Giornata da
parte delle istituzioni italiane, che ha
sempre visto la protesta dei nostri storici
democratici. Che bilancio va fatto?
Intanto che non
bisogna smettere di raccontare la
verità. André Gide diceva: «Bisogna
ripetere...nessuno ascolta». Ognuno, soprattutto in
questa epoca sembra chiuso nella propria
sordità. Il bilancio non è positivo, se a
celebrare il Giorno della memoria alla Risiera di
San Sabba, il lager nazista al confine tra due
popoli, accorrono anche post-fascisti abili a
cancellare i crimini del fascismo
italiano nelle terre slave. E ogni anno abbondano
fiction e rappresentazioni che
invece di raccontare il pathos collettivo
che riguarda almeno due popoli, riducono tutto, nella
forma e nei contenuti, alla sola tragedia
delle vittime italiane. Ho scritto sulle vittime
delle foibe anni fa in ex Jugoslavia, quando se ne
parlava poco in Italia. Ero criticato.
Ho avuto modo di sostenere gli esuli italiani
dell'Istria e della Dalmazia (detti "esodati").
L'ho fatto prima e dopo aver lasciato il mio paese natio e
scelto, a Roma, una via "fra asilo ed esilio".
Continuo anche ora che sono ritornato a
Zagabria. Condivido il cordoglio
italiano, nazionale e umano, per le vittime
innocenti. Credevo comunque che le
polemiche su questa tragedia,
spesso unilaterali e tendenziose,
fossero finite. Invece si ripetono ogni anno,
sempre più strumentalizzate.
C'è qualche
episodio particolare di
strumentalizzazione che ricorda?
Voglio
ricordare il caso del 2008 dello scrittore di
confine, il grande Boris Pahor. Ecco uno scrittore
che ha fatto della coralità del dolore la sua
materia, e infatti ha raccontato la
tragedia dei crimini commessi dai
fascisti in terra slava e il lascito di odio rimasto.
Di fronte all'onorificenza che gli offriva il presidente
della repubblica Giorgio Napolitano,
insorse dichiarando che avrebbe detto no, l'avrebbe
rifiutata, se dalla presidenza italiana
non arrivava una chiara presa di posizione contro
i silenzi sugli eccidi perpetrati da Mussolini.
Che cosa fu
in realtà il crimine delle Foibe?
Sì, le foibe
sono un crimine grave. Sì, la stragrande
maggioranza di queste vittime furono
proprio gli italiani. Ma per la dignità di un
dolore corale bisogna dire che questo delitto è
stato preparato e anticipato anche da
altri, che non sono sempre meno colpevoli
degli esecutori dell' "infoibamento".
La tragica vicenda è infatti cominciata prima,
non lontano dai luoghi dove sono stati poi
compiuti quei crimini atroci. Il 20 settembre
1920 Mussolini tiene un discorso a Pola (non certo
casuale la scelta della località). E dichiara: «Per
realizzare il sogno mediterraneo
bisogna che l'Adriatico, che è un nostro golfo, sia in
mani nostre; di fronte ad una razza come la slava,
inferiore e barbara». Ecco come entra in scena il
razzismo, accompagnato dalla "pulizia
etnica". Gli slavi perdono il diritto che prima,
al tempo dell'Austria, avevano, di servirsi della
loro lingua nella scuola e sulla stampa, il diritto
della predica in chiesa e persino quello della
scritta sulla lapide nei cimiteri. Si cambiano
massicciamente i loro nomi, si cancellano
le origini, si emigra... Ed è appunto in un
contesto del genere che si sente pronunciare,
forse per la prima volta, la minaccia della "foiba".
È il ministro fascista dei Lavori pubblici
Giuseppe Caboldi Gigli, che si era affibbiato da
solo il nome vittorioso di "Giulio
Italico", a scrivere già nel 1927: «La musa
istriana ha chiamato Foiba degno posto di sepoltura
per chi nella provincia d'Istria minaccia le
caratteristiche nazionali
dell'Istria» (da "Gerarchia", IX, 1927).
Affermazione alla quale lo stesso ministro
aggiungerà anche i versi di una canzonetta
dialettale già in giro: «A Pola xe l'Arena, La
Foiba xe a Pisin», che ha fatto bene a ricordare su il
manifesto nei giorni scorsi Giacomo Scotti
nel suo saggio. Le foibe sono dunque un'invenzione
fascista. E dalla teoria si è passati alla
pratica. L'ebreo Raffaello Camerini, che si
trovava ai "lavori coatti" in questa
zona durante la seconda guerra mondiale ha
testimoniato nel giornale triestino Il
Piccolo (5. XI. 2001): «Sono stati i fascisti, i
primi che hanno scoperto le foibe ove far sparire
i loro avversari». La vicenda «con esito letale per
tutti» che racconta questo testimone,
cittadino italiano, fa venire brividi.
Campo di concentramento di Arbe |
Come è vissuto il Giorno del Ricordo nell'ex
Jugoslavia, quali "ricordi" reali va a
risvegliare?
La storia
(con la S maiuscola) potrebbe aggiungere alcuni
altri dati poco conosciuti in Italia. Uno dei
peggiori criminali dei Balcani è
certamente il duce (poglavnik) degli
ustascia croati Ante Pavelic. E il campo di
Jasenovac è stato una Auschwitz in formato
ridotto, con la differenza che lì il lavoro
micidiale veniva fatto "a mano", mentre
i nazisti lo facevano in modo "industriale".
Aggiungiamo che quello stesso criminale
Pavelic con la scorta dei suoi più abietti seguaci,
poté godere negli anni trenta dell'ospitalità
mussoliniana a Lipari, dove ricevevano
aiuto e corsi di addestramento dai più rodati
squadristi. Le "camicie nere" hanno
eseguito numerose fucilazioni di massa e
di singoli individui. Tutta una gioventù
ne rimase falciata in Dalmazia, in
Slovenia, in Montenegro. A ciò
bisogna aggiungere una catena di campi di
concentramento, di varia dimensione,
dall'isoletta di Mamula all'estremo sud dell'Adriatico, fino
ad Arbe, di fronte a Fiume. Spesso si transitava
in questi luoghi per raggiungere la
risiera di San Sabba a Trieste e, in certi casi, si
finiva anche ad Auschwitz e soprattutto a Dachau.
I partigiani non erano protetti in nessun
paese dalla Convenzione di Ginevra e
pertanto i prigionieri venivano
immediatamente sterminati come
cani. E così molti giunsero alla fine delle guerra
accaniti: "infoibarono" gli
innocenti, non solo d'origine italiana. Singole
persone esacerbate, di quelle che avevano
perduto la famiglia e la casa, i fratelli e i
compagni, eseguirono i crimini in
prima persona e per proprio conto. La Jugoslavia
di Tito non voleva che se ne parlasse. Abbiamo
comunque cercato di parlarne. Purtroppo,
oggi ne parlano a loro modo soprattutto i nostri
ultra-nazionalisti, una specie di "neo-missini"
slavi. Ho sempre pensato che non bisognerebbe
costruire i futuri rapporti in questa zona sui
cadaveri seminati dagli uni e dagli altri, bensì
su altre esperienze. Ad esempio culturali...
Per questo auspico la proclamazione
congiunta de "Il giorno dei ricordi". E
questo mi sembra il nuovo intendimento
che emerge e per i quale dobbiamo batterci.
il manifesto - 9 Febbraio 2014
Condivido assolutamente questa posizione: per evitare inutili strumentalizzazioni pseudoideologiche la storia va consegnata per quello che è stata, indicando cause, caratteri e conseguenze. Scavando nel fatto, leggendo i documenti, confrontando le posizioni. Chi legge, ascolta e segue capirà da solo e maturerà un pensiero autonomo. Per esperienza personale, se avrà ben compreso andrà quasi con certezza dalla parte dei giusti. Le ideologie, per essere durature, seguono la conoscenza non devono precederla. La storia non ci insegna proprio questo?
RispondiEliminaTi ringrazio tanto per questo commento!
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