Contrariamente a
quello che si crede, furono i rivoluzionari giacobini e non il cristianesimo ad
abolire la schiavitù in Europa. Dalla caduta dell'impero romano alla
rivoluzione francese nell'Europa “cristiana” vissero milioni di
schiavi. Fino al Settecento era pratica
comune (anche da parte di ecclesiastici) l'utilizzo di schiave
(provenienti per lo più dal Mar Nero) nei lavori domestici.
Questi sono dati di fatto incontrovertibili. Pur restando vero quanto ha acutamente osservato in carcere Antonio Gramsci: affermare come fa la religione cristiana “che l’uomo ha la stessa natura in quanto creato da Dio, figlio di Dio, perciò fratello degli altri uomini, libero fra gli altri e come gli altri uomini”, pur ammettendo che “tutto ciò non è di questo mondo e per questo mondo, ma di un altro, utopico ”, ha contribuito in modo decisivo a diffondere nel mondo le idee di uguaglianza, fratellanza e libertà. Queste ultime infatti “fermentano tra gli uomini , in quegli strati di uomini che non si vedono né uguali, né fratelli di altri uomini, né liberi nei loro confronti. Così è avvenuto che in ogni sommovimento radicale delle moltitudini, in un modo o nell’altro, sotto forme e ideologie determinate, sono state poste queste rivendicazioni” (dai Quaderni del carcere)
Questi sono dati di fatto incontrovertibili. Pur restando vero quanto ha acutamente osservato in carcere Antonio Gramsci: affermare come fa la religione cristiana “che l’uomo ha la stessa natura in quanto creato da Dio, figlio di Dio, perciò fratello degli altri uomini, libero fra gli altri e come gli altri uomini”, pur ammettendo che “tutto ciò non è di questo mondo e per questo mondo, ma di un altro, utopico ”, ha contribuito in modo decisivo a diffondere nel mondo le idee di uguaglianza, fratellanza e libertà. Queste ultime infatti “fermentano tra gli uomini , in quegli strati di uomini che non si vedono né uguali, né fratelli di altri uomini, né liberi nei loro confronti. Così è avvenuto che in ogni sommovimento radicale delle moltitudini, in un modo o nell’altro, sotto forme e ideologie determinate, sono state poste queste rivendicazioni” (dai Quaderni del carcere)
Sergio Luzzatto
I musulmani in
Europa
È
ormai più di vent'anni che siamo circondati dal chiacchericcio
sullo «scontro di civiltà», e in particolare sul millenario,
fondamentale, irredimibile scontro tra l'Occidente cristiano e
l'Oriente musulmano. Ne siamo così circondati da accogliere
con sollievo tutti i contributi – storici, antropologici,
sociologici, politologici – che valgano non tanto a
sbugiardare i catastrofisti occidentalisti del clash of
civilisations in nome di chissà quale revisionismo ecumenista,
ma semplicemente ad arricchire il paesaggio delle nostre
conoscenze e delle nostre riflessioni. Con nuove evidenze
documentarie, con proposte interpretative meno rozze. Ben venga
dunque un libro di storia come quello di Lucette Valensi,
Stranieri familiari. Musulmani in Europa (XVI-XVIII secolo).
Quante cose ci
illudiamo di sapere già su questa storia. A cominciare dal
fatto che c'è poco da sapere, perché soltanto con il
Novecento la presenza di musulmani in Europa sarebbe divenuta
massiccia, per ragioni legate sia allo sviluppo economico
dell'Occidente sia al processo di decolonizzazione. Sicché
(crediamo di sapere) un intervallo lungo cinque secoli ha
separato la cacciata dei «mori» dal Vecchio Continente,
completata nel Quattrocento, e il loro ritorno in massa
nell'Europa del ventesimo secolo. Ancora, ci illudiamo di
sapere che poco o nulla tale storia abbia avuto a che fare con
la storia della schiavitù. O piuttosto che i «turchi»
avessero effettivamente l'abitudine di ridurre in schiavitù i
cristiani da loro catturati, mentre ogni sistema schiavistico
organizzato da cristiani era finito nel Mediterraneo con la
fine del Medioevo: limitandosi in età moderna alla tratta dei
neri d'Africa nell'Atlantico.
Livorno. I quattro mori |
Peccato che
tutto questo sia inesatto. Dal Cinque al Settecento, molti
musulmani hanno vissuto in Europa. Il loro numero non va
conteggiato in migliaia, ma in milioni. Alcuni – una piccola
minoranza – furono mercanti. Insediati nelle grandi città
portuali dell'Adriatico, a Spalato, ad Ancona, soprattutto a
Venezia, dapprima a San Matteo di Rialto, poi al Fontego dei
Turchi sul Canal Grande. Altri – tantissimi, centinaia di
migliaia – furono forzati sulle galee. Schiavi del remo,
«mori del re». Altri ancora – la maggioranza – furono
schiavi non pubblici ma privati. Razziati in tempo di pace come
in tempo di guerra, dalle costiere del Maghreb alle pianure dei
Balcani, uomini di fede islamica vennero schiavizzati
nell'agricoltura, nell'orticoltura, nella conceria, nel
tessile. Donne islamiche (più costose al mercato della tratta)
vennero schiavizzate come domestiche, come ricamatrici, come
sarte.
Oltre ai liberi
mercanti, agli incatenati galeotti, all'esercito senza uniforme
delle schiave e degli schiavi privati, c'erano i
cripto-musulmani. Cioè quanti di nascosto erano restati fedeli
al Profeta, a dispetto del movimento di cristianizzazione
forzosa promosso nei regni iberici durante il Basso Medioevo.
In effetti, se pure la caduta di Granada, nel 1492, meritò al
sovrano di Spagna il titolo di «Re Cattolico» ed entrò negli
annali come data di compimento della Reconquista, più di un
secolo si rivelò poi necessario per cancellare dalla Spagna
ogni traccia dei moriscos. Dal 1568 al 1570, il regno di
Granada fu scosso da una violentissima rivolta di montanari
andalusi rimasti di fede maomettana. La repressione ordinata da
Filippo II fu altrettanto violenta, e si risolse nella
deportazione di settantamila granadinos verso altre regioni
della penisola iberica. Ma comunità islamiche riuscivano ogni
volta a riorganizzarsi, in Castiglia, in Aragona, nel regno di
Valencia, in Estremadura. Soltanto decenni più tardi, tra 1609
e 1614, un'impressionante operazione di pulizia etnica permise
l'espulsione dalla Spagna di oltre trecentomila moriscos,
imbarcati a forza sulle galee e deportati verso le coste
nordafricane o francesi.
I documenti dei
processi istruiti dall'Inquisizione permettono agli storici di
ridare vita a questi musulmani spagnoli del Cinquecento e
ancora del primo Seicento, restituendo le forme di una loro
accanita resistenza sia propriamente religiosa, sia
genericamente culturale. Finché fu possibile, le comunità
islamiche continuarono a praticare clandestinamente la
circoncisione dei neonati, l'osservanza dei digiuni, il
rispetto dei rituali funebri, il sacrificio di animali,
l'organizzazione della preghiera collettiva. Continuarono a
formare imam e a promuovere la circolazione di libri in arabo.
Perseverarono nel l'uso dei bagni, nell'abbigliamento
tradizionale, nella fedeltà alla lingua parlata d'origine, nei
canti d'accompagnamento ai matrimoni e alle feste,
nell'attribuzione di nomi islamici dissimulati con un nome
cristiano.
Andrea Doria, mercante di schiavi |
Espulsi in massa dalla Spagna, i musulmani ritornavano massicciamente in Europa quali vittime della tratta degli schiavi. Ed è qui che la lettura del libro di Lucette Valensi riserva le maggiori sorprese rispetto a un senso comune storiografico che vorrebbe l'Europa dell'età moderna estranea a sistemi di riduzione in schiavitù. I porti italiani, in particolare, erano «veri e propri centri regolarmente dediti al traffico di essere umani»: così Cagliari, Messina, Palermo, Bari, Napoli, Civitavecchia, Livorno, Genova, Venezia... In riferimento a un anno qualunque del Seicento, il numero di schiavi musulmani presenti in Italia è quantificabile tra le 40.000 e le 50.000 unità. Per la Spagna e il Portogallo, si calcola che tra il 4 e il 5 per cento della popolazione totale fosse «Stranieri familiari», quindi, i musulmani nell'Europa moderna.
Stranieri perché
«infedeli», odiosi maomettani da espellere deportandoli
oppure da convertire a forza, da battezzare trionfalmente quali
catecumeni della vera fede. Ma stranieri familiari, troppo
presenti (e da troppo tempo) per riuscire totalmente alieni.
Non solo stranieri da vincere sui campi o sui mari di
battaglia, nelle guerre ricorrenti degli Stati occidentali
contro l'Impero ottomano e gli Stati barbareschi, ma anche
stranieri da addomesticare sul fronte interno, liberandoli una
volta per tutte dalla falsa profezia del Corano. Come, a fronte
dell'ostinata loro resistenza religiosa e culturale?
Essenzialmente attraverso due divieti. Due contromisure
apparentemente meno severe di altre, ma che a lungo andare
dovevano rivelarsi vincenti: il divieto di costruire moschee,
il divieto di mantenere cimiteri.
Con rarissime
eccezioni, tra cui la Genova del Settecento, il paesaggio
urbano europeo dell'età moderna non conobbe la realtà della
moschea come luogo di culto autorizzato. Né i musulmani, salvo
rare eccezioni (tra cui ancora Genova), si videro riconosciuto
il diritto di tumulare i propri morti in cimiteri separati: la
prassi prevedeva che i cadaveri degli «infedeli» venissero
bruciati o gettati in mare. Alla lunga, i musulmani si
trovarono così a vivere in Europa come individui piuttosto che
come gruppi. Finalmente erano singoli, non comunità!
Interdetto dei suoi epicentri di vita religiosa e di memoria
identitaria – la moschea e il cimitero – «ciò che
sopravvisse in Europa fu un islam senza luogo, per musulmani
senza discendenza».
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