Venerdì prossimo nella bella Noto si discuterà del capolavoro dello scrittore siciliano.
Noi oggi vogliamo ricordarlo con un suo appassionato intervento su un problema ancora terribilmente attuale:
Dedicato ai morti per acqua
di Vincenzo
Consolo
Emigrati da
una Tunisia lontana da quella striscia costiera delle vacanze «esotiche» di noi
europei, da quell'anello di lussuosi alberghi, di Abu Nuwas, di proprietà degli
Emirati Arabi. Emigrati contadini che il fallimento della riforma agraria
promossa da Bourghiba, che portava il bel nome di Rigenerazione del suolo, ha
buttato nella miseria, emigrati braccianti, pescatori, minatori che l'odierna
politica di Ben Alì relega al di sotto di un livello di sopravvivenza.
Mi trovavo, nel giorno del naufragio di Porto
Empedocle, dei 27 morti liberiani, a pochi chilometri da quel mare, a Palma di
Montechiaro, il paese fondato nel '600 dai principi di Lampedusa, i
«gattopardi» di Giuseppe Tomasi. Ma il paese anche, quello, che Danilo Dolci
scelse nel 1960 come paese simbolo di depressione, miseria, per un convegno
sulle condizioni di vita e di salute in zone arretrate della Sicilia
occidentale.
Fra
studiosi, politici, parteciparono a quel convegno Carlo Levi, Paolo Sylos
Labini, Tommaso Fiore, Girolamo Li Causi, Leonardo Sciascia, Ignazio Buttitta.
Mi trovavo dunque a Palma di Montechiaro per un convegno su madre Francesca
Saverio Cabrini, la santa degli emigranti, colei che operò negli Stati Uniti e
in Sudamerica fra i nostri poveri emigrati laggiù.
Nel 1879, Giustino Fortunato così scriveva:
«Con lo sviluppo dell'emigrazione meridionale negli Stati Uniti, il sistema di
mediazione esercitato dalle agenzie per mezzo dei "notabili" diventa
un efficace strumento per esportare nelle Little Italy d'oltre oceano le forme
di sfruttamento camorristico o mafioso (...) Spesso infatti i boss
italo-americani sono in contatto diretto con gli agenti italiani, i quali
procurano contemporaneamente passeggeri alle compagnie di navigazione e
manovali alle imprese americane».
I naufraghi
di Scoglitti speravano, con la falsa notizia, con l'inganno della «sanatoria»
della nuova legge italiana sull'immigrazione, di poter andare a lavorare, come
loro molti connazionali, nelle imprese ragusane delle serre, in quegli immensi
labirinti di calore e di veleni che sono i campi coperti di plastica. Non ce
l'hanno fatta, sono rimasti al di qua delle serre, riversi in quelle dune di
sabbia, dette «macconi», di spiagge chiamate aulicamente Baia Dorica e Costa
Ellenica. Là, coperti da teli, in attesa dei pietosi raccatta cadaveri.
A questi
naufraghi, ultime, ennesime vittime dell'attuale nostro mondo crudele, vogliamo
dedicare come fosse un «requiem», i versi di Morte per acqua di T.S. Eliot:
Fleba il Fenicio, morto da quindici giorni,
Dimenticò il
grido dei gabbiani e il flutto profondo del mare,
E il guadagno e la perdita.
Una corrente sottomarina
Gli spolpò
le ossa in sussurri.
Mentre affiorava
e affondava.
Traversò gli stadi della maturità e della
gioventù
Entrando nei
gorghi.
Gentile o
Giudeo, o tu che volgi la ruota e guardi nella direzione del vento,
Pensa a
Fleba, che un tempo è stato bello e ben fatto al pari di te.
Vincenzo Consolo - L’UNITA’ 27 September 2002
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