08 febbraio 2014

CONVEGNO SU VINCENZO CONSOLO A NOTO


Venerdì prossimo nella bella Noto si discuterà del capolavoro dello scrittore siciliano. 
Noi oggi vogliamo ricordarlo con un suo appassionato intervento su un problema ancora terribilmente attuale:




Dedicato ai morti per acqua
di Vincenzo Consolo

Emigrati da una Tunisia lontana da quella striscia costiera delle vacanze «esotiche» di noi europei, da quell'anello di lussuosi alberghi, di Abu Nuwas, di proprietà degli Emirati Arabi. Emigrati contadini che il fallimento della riforma agraria promossa da Bourghiba, che portava il bel nome di Rigenerazione del suolo, ha buttato nella miseria, emigrati braccianti, pescatori, minatori che l'odierna politica di Ben Alì relega al di sotto di un livello di sopravvivenza.
 Mi trovavo, nel giorno del naufragio di Porto Empedocle, dei 27 morti liberiani, a pochi chilometri da quel mare, a Palma di Montechiaro, il paese fondato nel '600 dai principi di Lampedusa, i «gattopardi» di Giuseppe Tomasi. Ma il paese anche, quello, che Danilo Dolci scelse nel 1960 come paese simbolo di depressione, miseria, per un convegno sulle condizioni di vita e di salute in zone arretrate della Sicilia occidentale.
Fra studiosi, politici, parteciparono a quel convegno Carlo Levi, Paolo Sylos Labini, Tommaso Fiore, Girolamo Li Causi, Leonardo Sciascia, Ignazio Buttitta. Mi trovavo dunque a Palma di Montechiaro per un convegno su madre Francesca Saverio Cabrini, la santa degli emigranti, colei che operò negli Stati Uniti e in Sudamerica fra i nostri poveri emigrati laggiù.
 Nel 1879, Giustino Fortunato così scriveva: «Con lo sviluppo dell'emigrazione meridionale negli Stati Uniti, il sistema di mediazione esercitato dalle agenzie per mezzo dei "notabili" diventa un efficace strumento per esportare nelle Little Italy d'oltre oceano le forme di sfruttamento camorristico o mafioso (...) Spesso infatti i boss italo-americani sono in contatto diretto con gli agenti italiani, i quali procurano contemporaneamente passeggeri alle compagnie di navigazione e manovali alle imprese americane».
I naufraghi di Scoglitti speravano, con la falsa notizia, con l'inganno della «sanatoria» della nuova legge italiana sull'immigrazione, di poter andare a lavorare, come loro molti connazionali, nelle imprese ragusane delle serre, in quegli immensi labirinti di calore e di veleni che sono i campi coperti di plastica. Non ce l'hanno fatta, sono rimasti al di qua delle serre, riversi in quelle dune di sabbia, dette «macconi», di spiagge chiamate aulicamente Baia Dorica e Costa Ellenica. Là, coperti da teli, in attesa dei pietosi raccatta cadaveri.
A questi naufraghi, ultime, ennesime vittime dell'attuale nostro mondo crudele, vogliamo dedicare come fosse un «requiem», i versi di Morte per acqua di T.S. Eliot:

 Fleba il Fenicio, morto da quindici giorni,
Dimenticò il grido dei gabbiani e il flutto profondo del mare,
 E il guadagno e la perdita.
 Una corrente sottomarina
Gli spolpò le ossa in sussurri.
Mentre affiorava e affondava.
 Traversò gli stadi della maturità e della gioventù
Entrando nei gorghi.
Gentile o Giudeo, o tu che volgi la ruota e guardi nella direzione del vento,
Pensa a Fleba, che un tempo è stato bello e ben fatto al pari di te.



Vincenzo Consolo -  L’UNITA’ 27 September 2002

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