Rossana Rossanda. Il film del secolo
Nadia Agustoni
Come
parlare di film e raccontare un secolo di cinema? L’impresa è tale che
può compierla solo chi di film ne ha visti tanti e ha lo sguardo, e lo
ha sempre avuto, sulle cinematografie più lontane o diverse. Questo
libro Il film del secolo (2013)
è una lunga conversazione di Rossana Rossanda con due critici del
Manifesto, Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri, che sul quotidiano
comunista hanno scritto di cinema e lo hanno fatto a modo loro, rompendo
alcuni tabù su Hollywood e portando in primo piano cinematografie non
sempre conosciute. Tre voci, appassionate, colte, interamente partecipi,
ci parlano di film e attori e attrici, ma lo fanno parlando di
maschilismo, politica, rivoluzione e maccartismo. Del resto, Rossana
Rossanda, nel recente passato, ci ha dato un’autobiografia che è il
racconto di un partito, il P.C.I, e di ideali, presenze e fatti che
vanno ben al di là di vicende personali. Gliene siamo grati, perché ha
diradato nebbie e dubbi su una storia della sinistra, comunista e non
solo, che molti di noi conoscono solo in parte, per età e/o marginalità.
Nel
1973 sul Manifesto uscì a firma di Rossanda la prima recensione di un
film. Si trattava di “Sussurri e grida” di Ingmar Bergman e per nostra
fortuna il libro ce lo ripropone con alcuni altri scritti della stessa
Rossanda. Lo sguardo è acuto, di chi vede e scava dentro le immagini, e
sa coglierne la bellezza senza rinunciare a un discorso critico che vede
proprio nella denuncia della borghesia il limite del film di Bergman e
nel raccontare il dolore, l’agonia, la situazione limite con immagini
“lente e sontuose”, la forza della narrazione.
Lezione
di stile quella di Rossana Rossanda, che permea tutta la conversazione
con i suoi interlocutori; e lezione di politica, ma pensata come
qualcosa che dovrebbe portare più giustizia, rendere meno cinici e più
attenti all’esistente per poterlo leggere tenendo conto delle
complessità. Lo percepiamo chiaramente quando risponde a Mariuccia
Ciotta che ricorda come a un certo punto il cinema entra nelle pagine
del Manifesto con “la stessa autorevolezza delle questioni operaie e delle lotte rivoluzionarie nel mondo…” (p.85). Ma Rossanda non ci sta:
Perché
con la ‘stessa autorevolezza’? La politica decide sulle vite, e con la
fame o la guerra, sulle morti; e non è il caso del cinema. Ma perché
metterla in termini di competizione? La politica non è tutto. Neanche il
cinema. I piani dell’esperienza sono molti. Se abbiamo spazio per uno
solo siamo nevrotici… (ibidem)
Ogni capitolo propone dei temi, e affinità e non affinità di gusto e di interpretazione.
Divergono
le letture di “Guerre stellari” e non di poco, ma non li convince
Warren Beatty con “Reds”. Il film, troppo centrato sulla storia d’amore
di John Reed con Louise Bryant, lascia in ombra l’uomo che scrisse i Dieci giorni che sconvolsero il mondo.
Forte
la lettura della misoginia nel cinema. Poco si salva, ma Mariuccia
Ciotta vede nel noir degli anni Quaranta con le sue donne fatali, una
trasgressione, Rossanda no, così come lontano è il modo in cui ognuno di
loro ha percepito la Nouvelle Vague.
Il
confronto è a tutto campo, dalle dive dark dell’epoca d’oro delle major
hollywoodiane fino al cinema europeo, dal neorealismo italiano agli
spaghetti western senza tralasciare le commedie o il più patinato cinema
d’autore; e c’è sempre un guadare al cinema per capire i mutamenti in
atto o quelli possibili nella sensibilità e nella società.
Ampio
lo spazio in cui parlano di Bollywood, del cinema iraniano o del
Maghreb, e se Ciotta e Silvestri portano spesso in campo film
sconosciuti ai più e danno molta importanza all’immaginario,
confondendolo un po’ col simbolico, la loro interlocutrice non concede
nulla, ricorda anzi qualcosa di importante:
Il
simbolico non è l’immaginario. Il simbolico è una proiezione del reale,
un reale accentuato e un comando. Ci vuole una civiltà per costruire un
simbolico, mentre l’immaginario ci abita tutti, è segreto, carezzevole,
ci lusinga finché non sbattiamo il muso sul lembo di reale che l’ha
suscitato… Polemizzo quando si mescolano immaginario e simbolico, reale e
virtuale. Vale anche per l’immagine che gli altri hanno di noi, ognuna
suscita l’immaginario di altri: ma resta che ognuno è ognuno, un
ciottolo sul quale inciampi se tenti di andare a fondo. (p. 90-91)
Il
cinema sommerso del primo decennio della rivoluzione russa è
raccontato, da Silvestri e Ciotta, come un momento singolare e poco
noto, cancellato dagli eventi che seguirono, con le purghe staliniane e
il controllo sempre più forte del partito sulla cultura. Il cinema di
Ejzenstejn “estremista del montaggio” e di altri cineasti sovietici fu
comunque un modello copiato anche da Hollywood.
La
regista tedesca Leni Riefenstahl non riscuote molte simpatie. Se già la
trattò male Susan Sontag, con un duro intervento critico, anche
Rossanda ne rileva i confini ideologici – era filonazista – fino a dire
che: “Nei suoi ultimi lavori in Africa mi è parsa insopportabile” (p.
281); e Mariuccia Ciotta chiarisce quell’insopportabilità:
Il
lavoro fotografico sulla tribù africana dei Nubia e il film
documentario Un sogno d’Africa uscito postumo nel 2003 (e codiretto da
Ray Muller) sono le visioni di una novantottenne che si giustifica
dipingendo i neri allo stesso modo in cui aveva dipinto la razza ariana.
Li spersonalizza come individui e ne esalta la bellezza astratta, anche
lì mistica, purificandone ogni ‘impurità’ ed ‘errore’. (p. 283)
E’
nel discutere di razza, sessualità e femminismo che la critica è più
acuta. Poche volte i lettori pensano a come chi scrive di cinema sta di
fronte alle immagini, e quale cultura, già nel suo sguardo, diventa il
modo in cui penserà il film. Dichiarare da quale punto si sta guardando è
quindi importante, e fa la differenza leggere parole che si interrogano
sui limiti della democrazia, ma nulla concedono a un pensiero acritico e
poco etico verso “tradizioni” che nulla rispettano delle persone che la
pensano diversamente.
Se,
da questa lettura, un film del secolo non esce, ne viene però una
carrellata di immagini, titoli e riflessioni, che allarga la nostra
visione. Il cinema torna ad essere vivo, come era nel grande schermo e
nello schermo di casa, quando furono le prime serate Rai, le sale
dell’oratorio, dei cineforum di provincia e le salette del cinema
d’essai a portarci i film.
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