15 febbraio 2014

IL CINEMA DI ROSSANA ROSSANDA





Rossana Rossanda. Il film del secolo


Nadia Agustoni

Come parlare di film e raccontare un secolo di cinema? L’impresa è tale che può compierla solo chi di film ne ha visti tanti e ha lo sguardo, e lo ha sempre avuto, sulle cinematografie più lontane o diverse. Questo libro Il film del secolo (2013) è una lunga conversazione di Rossana Rossanda con due critici del Manifesto, Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri, che sul quotidiano comunista hanno scritto di cinema e lo hanno fatto a modo loro, rompendo alcuni tabù su Hollywood e portando in primo piano cinematografie non sempre conosciute. Tre voci, appassionate, colte, interamente partecipi, ci parlano di film e attori e attrici, ma lo fanno parlando di maschilismo, politica, rivoluzione e maccartismo. Del resto, Rossana Rossanda, nel recente passato, ci ha dato un’autobiografia che è il racconto di un partito, il P.C.I, e di ideali, presenze e fatti che vanno ben al di là di vicende personali. Gliene siamo grati, perché ha diradato nebbie e dubbi su una storia della sinistra, comunista e non solo, che molti di noi conoscono solo in parte, per età e/o marginalità.
Nel 1973 sul Manifesto uscì a firma di Rossanda la prima recensione di un film. Si trattava di “Sussurri e grida” di Ingmar Bergman e per nostra fortuna il libro ce lo ripropone con alcuni altri scritti della stessa Rossanda. Lo sguardo è acuto, di chi vede e scava dentro le immagini, e sa coglierne la bellezza senza rinunciare a un discorso critico che vede proprio nella denuncia della borghesia il limite del film di Bergman e nel raccontare il dolore, l’agonia, la situazione limite con immagini “lente e sontuose”, la forza della narrazione.
Lezione di stile quella di Rossana Rossanda, che permea tutta la conversazione con i suoi interlocutori; e lezione di politica, ma pensata come qualcosa che dovrebbe portare più giustizia, rendere meno cinici e più attenti all’esistente per poterlo leggere tenendo conto delle complessità. Lo percepiamo chiaramente quando risponde a Mariuccia Ciotta che ricorda come a un certo punto il cinema entra nelle pagine del Manifesto con la stessa autorevolezza delle questioni operaie e delle lotte rivoluzionarie nel mondo…” (p.85). Ma Rossanda non ci sta:
Perché con la ‘stessa autorevolezza’? La politica decide sulle vite, e con la fame o la guerra, sulle morti; e non è il caso del cinema. Ma perché metterla in termini di competizione? La politica non è tutto. Neanche il cinema. I piani dell’esperienza sono molti. Se abbiamo spazio per uno solo siamo nevrotici… (ibidem)
Ogni capitolo propone dei temi, e affinità e non affinità di gusto e di interpretazione.
Divergono le letture di “Guerre stellari” e non di poco, ma non li convince Warren Beatty con “Reds”. Il film, troppo centrato sulla storia d’amore di John Reed con Louise Bryant, lascia in ombra l’uomo che scrisse i Dieci giorni che sconvolsero il mondo.
Forte la lettura della misoginia nel cinema. Poco si salva, ma Mariuccia Ciotta vede nel noir degli anni Quaranta con le sue donne fatali, una trasgressione, Rossanda no, così come lontano è il modo in cui ognuno di loro ha percepito la Nouvelle Vague.
Il confronto è a tutto campo, dalle dive dark dell’epoca d’oro delle major hollywoodiane fino al cinema europeo, dal neorealismo italiano agli spaghetti western senza tralasciare le commedie o il più patinato cinema d’autore; e c’è sempre un guadare al cinema per capire i mutamenti in atto o quelli possibili nella sensibilità e nella società.
Ampio lo spazio in cui parlano di Bollywood, del cinema iraniano o del Maghreb, e se Ciotta e Silvestri portano spesso in campo film sconosciuti ai più e danno molta importanza all’immaginario, confondendolo un po’ col simbolico, la loro interlocutrice non concede nulla, ricorda anzi qualcosa di importante:
Il simbolico non è l’immaginario. Il simbolico è una proiezione del reale, un reale accentuato e un comando. Ci vuole una civiltà per costruire un simbolico, mentre l’immaginario ci abita tutti, è segreto, carezzevole, ci lusinga finché non sbattiamo il muso sul lembo di reale che l’ha suscitato… Polemizzo quando si mescolano immaginario e simbolico, reale e virtuale. Vale anche per l’immagine che gli altri hanno di noi, ognuna suscita l’immaginario di altri: ma resta che ognuno è ognuno, un ciottolo sul quale inciampi se tenti di andare a fondo. (p. 90-91)
Il cinema sommerso del primo decennio della rivoluzione russa è raccontato, da Silvestri e Ciotta, come un momento singolare e poco noto, cancellato dagli eventi che seguirono, con le purghe staliniane e il controllo sempre più forte del partito sulla cultura. Il cinema di Ejzenstejn “estremista del montaggio” e di altri cineasti sovietici fu comunque un modello copiato anche da Hollywood.
La regista tedesca Leni Riefenstahl non riscuote molte simpatie. Se già la trattò male Susan Sontag, con un duro intervento critico, anche Rossanda ne rileva i confini ideologici – era filonazista – fino a dire che: “Nei suoi ultimi lavori in Africa mi è parsa insopportabile” (p. 281); e Mariuccia Ciotta chiarisce quell’insopportabilità:
Il lavoro fotografico sulla tribù africana dei Nubia e il film documentario Un sogno d’Africa uscito postumo nel 2003 (e codiretto da Ray Muller) sono le visioni di una novantottenne che si giustifica dipingendo i neri allo stesso modo in cui aveva dipinto la razza ariana. Li spersonalizza come individui e ne esalta la bellezza astratta, anche lì mistica, purificandone ogni ‘impurità’ ed ‘errore’. (p. 283)
E’ nel discutere di razza, sessualità e femminismo che la critica è più acuta. Poche volte i lettori pensano a come chi scrive di cinema sta di fronte alle immagini, e quale cultura, già nel suo sguardo, diventa il modo in cui penserà il film. Dichiarare da quale punto si sta guardando è quindi importante, e fa la differenza leggere parole che si interrogano sui limiti della democrazia, ma nulla concedono a un pensiero acritico e poco etico verso “tradizioni” che nulla rispettano delle persone che la pensano diversamente.
Se, da questa lettura, un film del secolo non esce, ne viene però una carrellata di immagini, titoli e riflessioni, che allarga la nostra visione. Il cinema torna ad essere vivo, come era nel grande schermo e nello schermo di casa, quando furono le prime serate Rai, le sale dell’oratorio, dei cineforum di provincia e le salette del cinema d’essai a portarci i film.

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