Quando l'America entrò
in guerra nel 1917 cinque milioni di uomini furono mobilitati e
spediti in Europa. Molti erano operai. Il loro posto in fabbrica fu
preso da neri del Sud. Iniziò così una migrazione interna di
proporzioni gigantesche che trasformò profondamente gli Stati Uniti.
Luigi Onori
I ritmi
dell'America urbana figli della grande migrazione
«Il racconto
epico della Grande migrazione afroamericana:
sessant'anni di durata (1915– '70), sei milioni di neri
che abbandonano il Sud degli Usa per trasferirsi
soprattutto nel Nordest e Nordovest del
paese, dalle campagne alle città, da una vita
senza speranza al sogno di un arduo riscatto. Di
questo, e di molto altro, narrano le cinquecento
pagine di Al calore di soli lontani (il Saggiatore,
euro 14,90) della studiosa, giornalista
e docente universitaria Isabel
Wilkerson.
Nel 1994 l'autrice, oggi
cinquantaduenne, vinse il premio
Pulitzer per gli articoli pubblicati sul
«New York Times»; è docente di giornalismo
alla Boston University. Ben quindici anni di
ricerche, studio e scrittura le ci sono
voluti per un'opera epica e monumentale (prima
edizione Usa nel 2010) che unisce il rigore della
documentazione alla capacità della
narrazione e al calore della testimonianza.
Pur se diverse, e distanti, Toni Morrison ed
Isabel Wilkerson sembrano parlare
la stessa lingua: l'una sul fronte della narrativa,
l'altra su quello della storia.
Il titolo,
magnifico, è ispirato da alcuni versi di Richard
Wright e ben sintetizza la speranza ed il
coraggio celati nell'enorme «diaspora interna»
che vide i Neroamericani spostarsi
all'interno degli Usa a partire dal 1915. «La Grande
migrazione fu un punto di svolta nella storia del
paese. Trasformò l'America urbana – afferma
l'autrice — e riplasmò l'ordine sociale e politico
di tutte le città che sfiorò (...)
La Migrazione
nacque dalle promesse mancate della Guerra di
secessione e con tutto il suo peso esercitò una
spinta decisiva per la rivoluzione dei
diritti civili negli anni sessanta» (p.18). Chiunque
si interessi degli Usa e in qualsiasi ambito (da
quello economico a quello musicale) dovrebbe
leggere questo testo che davvero rivela i
meccanismi profondi di una
trasformazione di cui, spesso, si vedono solo
gli esiti e non le travagliate radici.
Il volume si
snoda in cinque parti più un epilogo.: «Nella
terra degli avi»; «Gli inizi»; «L'esodo»; «L'amante
più gentile»; «L'indomani». Come molte forme della
cultura afroamericana ha un andamento
storico-esistenziale circolare (più che lineare):
inizia con la partenza di Ida Mae dalla contea
di Cickasaw nell'ottobre 1937 e si conclude
con il suo ritorno nel Mississippi da Chicago
nell'ottobre 1998, sessantuno anno dopo la sua
migrazione.
Da essa, racconta e ricostruisce
la Wilkerson, «nacquero persone che non
sarebbero esistite o avrebbero preso un'altra
strada: James Baldwin e Michelle Obama, Miles Davis e
Toni Morrison, Spike Lee e Denzel Washington
(...) dall'esodo nacquero anche il linguaggio
e la musica dell'America urbana, figlia dei blues portati
dagli emigranti e capace di dominare ancora oggi
le frequenze radiofoniche»» (p.19).
Senza la migrazione il fiore del jazz, musica
cittadina per eccellenza, non sarebbe mai
sbocciato.
il manifesto | 11
Febbraio 2014
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