Era il 7 febbraio del
1914 quando uscì il primo film in cui l’attore interpretava
Charlot
Alberto Crespi
Chaplin il
vagabondo
Il 7
febbraio 1914, nei cinema americani uscì un film intitolato
“Kid auto races at Venice, Cal”. Era una delle tante
comiche brevi che stipavano i nickelodeon, le sale dove pagando
un nichelino (10 centesimi) si potevano vedere numerosi film
uno dietro l’altro. Ma in quel film, che oggi compie
cent’anni, compariva un uomo che avrebbe cambiato la storia
del cinema, rendendo quel divertimento popolare un’Arte con
la «A» maiuscola.
Passo
indietro. L’11 gennaio 1914, a Los Angeles, era una domenica
come un’altra. L’unico evento, si fa per dire, era la
«Pushmobile Parade» una gara automobilistica riservata ai
bambini in programma nel quartiere di Venice, sul mare. Le
macchinine si fiondavano in pista passando da una specie di
rampa, poi sfrecciavano su un circuito improvvisato nelle vie
del quartiere. Una fiera di paese avrebbe avuto più «glamour».
Per la cronaca, nel 1914 Los Angeles non era nemmeno una vera
città: piuttosto un conglomerato di piccoli centri sparsi su
un’area vastissima, ancora piena di boschi, di canyons, di
campi e di zone semi-desertiche. Solo all’interno, in quella
che poi si sarebbe chiamata Downtown, c’erano palazzi alti
abbastanza per essere definiti, in California, «grattacieli».
Del resto solo un pazzo avrebbe costruito una città in quel
punto: non c’era acqua (bisognava farla arriva dal fiume
Colorado, a miglia di distanza) e i terremoti si succedevano
con ritmo inquietante. Quale persona sana di mente avrebbe
deciso di vivere lì?
I
cinematografari, infatti, non erano sani di mente. Erano un
gruppo di avventurieri, di guitti e di aspiranti artisti
(alcuni di loro) che da alcuni anni si erano trasferiti da New
York e dal New Jersey per sfuggire ai taglieggi della mafia e
alla rigidità dei brevetti sulle macchine da presa stabiliti,
a Est, da Thomas Edison e dai suoi partner industriali. In
California c’erano meno controlli e, soprattutto, c’era il
sole praticamente tutto l’anno: i primi film si giravano
esclusivamente in esterni, con luce naturale, e il clima della
East Coast non era proprio il massimo.
Una delle
principali «ditte» che si erano installate in un sobborgo
chiamato Hollywood era la Keystone di Mack Sennett. Produceva
esclusivamente comiche da uno o due rulli, dieci o al massimo
venti minuti di durata. La trama era quasi sempre la stessa:
due o più comici si sfidavano a duelli di torte in faccia,
qualche bella ragazza (possibilmente in costume da bagno)
passava sullo sfondo, nel finale i protagonisti venivano
inseguiti da torme di poliziotti (i famosi «Keystone Cops»).
Ma ogni tanto
qualche variazione sul tema era possibile. E quel giorno una
troupe della Keystone si era spostata fino a Venice, dove si
svolgeva quella famosa gara di automobiline per bambini.
Avrebbero girato una comica, così, senza copione, nel giro di
poche ore. I film si facevano così, nel 1914. Nessuno aveva un
dialogo da memorizzare, nessuno aveva nemmeno idea di cosa
fosse una sceneggiatura. Si partiva da una situazione e si
andava a braccio. Bastava che qualcuno – il regista, uno
degli attori, lo stesso Sennett – avessero un’idea. E
quell’11 gennaio qualcuno, appunto, aveva avuto un’idea.
Quel «qualcuno»
non aveva ancora 25 anni ed era membro della Keystone Company
da pochissimo tempo. Era inglese. Era arrivato in America con
una famosa compagnia di varietà e vaudeville diretta dal
famoso impresario teatrale Fred Karno. Gli inglesi, nella
comicità teatrale, avevano una tradizione antichissima. In
quella compagnia c’erano vecchi squali del vaudeville, gente
che ne aveva vista di tutti i colori, che era sopravvissuta in
teatri di provincia o di periferia dove il pubblico, durante
gli spettacoli, parlava, mangiava, beveva, ruttava e faceva
altre cose innominabili, e se il comico non li faceva ridere
rischiava il linciaggio. Un po’ la stessa atmosfera
dell’Ambra Jovinelli in Roma di Fellini, ricordate? Ma in
quell’anno 1914 Karno aveva portato con sé anche due ragazzi
di talento. Uno era giovanissimo e si chiamava Stan Laurel.
L’altro era un po’ più grande, era per così dire «figlio
d’arte» (la madre era stata attrice e cantante) ma aveva
conosciuto anche la durissima realtà dell’orfanotrofio e
della vita sulla strada. Si chiamava Charles Spencer Chaplin.
Sennett
l’aveva visto in teatro. Tra le altre cose faceva il numero
dell’ubriaco, un classico. Ma lo faceva bene. Faceva ridere.
Gli spedì un telegramma per convocarlo a Los Angeles. Nella
sua autobiografia Chaplin racconta che, quando in teatro gli
dissero che c’era un telegramma per lui, sperò che fosse
morta una sua vecchissima zia che non aveva mai visto, ma che
era emigrata in America decenni prima. Puntava all’eredità.
Quando vide che si trattava di cinema, fu deluso. Il cinema,
per i teatranti dell’epoca, era una cosa disdicevole. Quasi
come battere il marciapiede. Però giravano soldi, soldi veri.
E così Chaplin andò alla Keystone, si presentò a Sennett e
alla star della ditta, la grande adorabile Mabel Normand.
Il primo film
girato da Chaplin con la regia di Henry Lehrman fu Makinga
Living, uscito il 2 febbraio 1914. Ma in quel corto l’attore
non aveva ancora la maschera del Vagabondo che lo rese famoso.
In Kid Auto Races, sì. Nel film Chaplin, con tanto di
bombetta, bastoncino e scarpe sfondate, è un rompiscatole che
«impalla» di continuo le macchine da presa con cui la troupe
– che si vede in campo – sta riprendendo la corsa. Il
Vagabondo nasce come un importuno, e il regista Lehrman entra
nell’inquadratura per cacciarlo, ma il pubblico ignaro che
assiste alla scena prende subito la sua difesa.Ediventa
involontario protagonista della nascita di un mito, che oggi
compie cent’anni.
l’Unità – 7 febbraio
2014
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