21 febbraio 2014

VENEZUELA: L'UCRAINA OCCIDENTALE




La tragedia ucraina non deve far dimenticare quanto sta accadendo in questi stessi giorni in Venezuela. 
Nella ricerca di notizie attendibili,   utilizziamo articoli apparsi  in due  giornali molto diversi tra loro:

Venezuela, società civile spaccata in due e inflazione alle stelle

Roberto Da Rin, 21 febbraio 2014  Il Sole 24 ORE


Inflazione alle stelle, svalutazione inarrestabile, petrolio, relazioni tese con gli Stati Uniti, società civile spaccata in due. Il Venezuela è una polveriera e contiene tutti i rischi di una potenziale guerra civile. Le manifestazioni, pro o contro il presidente Nicolas Maduro, si susseguono, giorno dopo giorno.
Altri scontri, altri feriti. Nelle ultime ventiquattro ore Caracas ha vissuto l'ennesima giornata di passione in cui si confrontano, meglio sarebbe dire, si scontrano due fazioni, da tempo in aperto contrasto: i socialisti, ispirati dalle idee dell'ex presidente Hugo Chavez, e i conservatori, guidati in tandem da Leopoldo Lopez ed Henrique Capriles. Che vorrebbero liberare il Venezuela dal giogo di un sistema troppo dirigista. Sfibrato da questa contesa che si protrae da anni, il Paese è scivolato sul piano inclinato dell'instabilità, ed è sempre più incapace di utilizzare gli enormi proventi petroliferi per avviare un sistema produttivo diversificato ed efficiente.

L'inflazione superiore al 55% è una distorsione imputabile alla cattiva gestione della politica monetaria ma anche all'indisponibilità delle multinazionali presenti sul territorio a sedersi a un tavolo per trattare con il Governo. La progressiva svalutazione del bolivar è la prima conseguenza, grave: la forbice tra cambio ufficiale con il dollaro e cambio nero è di circa tredici volte. L'incertezza valutaria porta con sé implicazioni di carattere produttivo: la Toyota, prima casa automobilistica mondiale, ha fermato la sua fabbrica di assemblaggio in Venezuela per l'impossibilità di fissare il prezzo dei componenti (eccessivamente volatile) con i fornitori.
A meno di tre ore di volo da Miami, gli Stati Uniti seguono con trepidazione l'evolversi della crisi venezuelana, soprattutto perché potrebbero essere a rischio le forniture di greggio che ricevono dal Paese sudamericano. Un intreccio di contese nazionali e internazionali davvero difficili da da dirimere. Nessuna luce, per ora, in fondo al tunnel.

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 Venezuela: il fascismo non passerà
 Fabio Marcelli, 18 febbraio 2014,  Il Fatto Quotidiano

 Bisogna certamente continuare a chiedere con forza e testardaggine rapporti fra gli Stati che siano ispirati al principio del rispetto reciproco e della non ingerenza, in conformità alla Carta delle Nazioni Unite e ai principi applicabili del diritto internazionale.

Senza tuttavia farsi troppe illusioni. La storia infatti si incarica costantemente di smentire i profeti troppo ottimisti in questo senso.
L’ultima smentita proviene dal Venezuela. Dove nella destra ha preso il sopravvento la corrente più violenta e oltranzista, che gode con ogni evidenza del sostegno degli Stati Uniti. O meglio di quelle correnti, tuttora egemoni, nel governo di Washington che ritengono, con forte miopia e cieca tracotanza, che gli interessi del popolo statunitense sono meglio garantiti, in tutto il mondo e in particolare in America Latina da governi di servi sciocchi, come furono a suo tempo Pinochet e i gorilla argentini, brasiliani e uruguayani.
Il prevalere di questa destra brutale e analfabeta, con la conseguente emarginazione di Capriles, il leader sconfitto da Maduro alle ultime elezioni presidenziali, punta a far scivolare nel caos e nella guerra civile il Paese.
Occorre evidentemente augurarsi che ciò non avvenga. Se questo disegno criminale andasse in porto ci sarebbero migliaia di morti e sarebbero messi a rischio gli indubbi avanzamenti ottenuti dal Paese, specialmente sotto il profilo della condizione delle masse popolari storicamente escluse e ridotte in miseria. Ci sarebbero anche contraccolpi negativi sul processo di integrazione dell’America Latina che ha ricevuto di recente un ulteriore impulso dal Vertice CELAC dell’Avana.
Certamente ciò non gioverebbe al popolo venezolano e agli altri popoli latinoamericani. Ne beneficerebbero solo i piccoli gruppi di terroristi e assassini che puntano sul caos per fare meglio i loro loschi interessi. Appare davvero deprimente che un grande Paese come gli Stati Uniti, oggi guidato da una personalità come Barack Obama, debba fare ricorso ancora una volta agli strumenti della controrivoluzione e dell’ingerenza imperialista che furono a suo tempo usati da Nixon, Reagan e Kissinger, il quale, unico superstite fra i tre, andrebbe tradotto davanti alla Corte penale internazionale per il sostegno a suo tempo accordato ai governi genocidi del Cile e dell’Argentina.
Eppure ciò avviene e sembra rispondere in qualche modo a un’oscura legge della storia. Per porre fine a questa triste abitudine ci vorrebbe niente meno che una rivoluzione socialista negli Stati Uniti, che prima o poi si verificherà. 
Nel frattempo occorre condannare questo atteggiamento di tracotante intromissione imperialista che ci sprofonda negli anni più bui del continente americano.  Tutti gli Stati latinoamericani, compresa la Colombia di Santos, stanno esprimendo la propria solidarietà al governo venezuelano bersaglio dei tentativi di colpo di Stato e del vero e proprio revival del fascismo più efferato e selvaggio che sta avendo luogo nello Stato caraibico sotto l’egida dell’ambasciata di Washington, come dimostrato da numerosi documenti rivelati da Wikileaks sul finanziamento e appoggio che l’amministrazione Obama ha portato ai gruppi eversivi.
I profeti del neoliberismo, frustrati dalle profezie non realizzate di catastrofi economiche in Venezuela e altrove, assistono oggi compiaciuti alla pantomima di guerra civile messa in scena dalle marionette di Washington. Essi d’altronde hanno rivelato che il Paese modello, dal punto di vista delle performance economiche e della saldezza dei fondamentali, in ambito latinoamericano, è secondo loro  il narcostato messicano dominato dalle famiglie dei trafficanti di droga, a proposito del quale il regista italiano Rosi ha realizzato un illuminante documentario mostrato di recente anche dalla Rai.
La democrazia venezolana può essere, come qualunque democrazia, migliorata e deve esserlo. Ma nessuno si illuda che il popolo venezolano sia disposto a rinunciare a quanto ha guadagnato negli ultimi quindici anni della sua storia. Il presidente Maduro, liberamente eletto dal popolo venezolano, ha diritto anzi ha il dovere di concludere il proprio mandato presidenziale senza ingerenze esterne.
L’appoggio che gli Stati Uniti prestano ai gruppi sovversivi costituisce una chiara violazione del diritto internazionale e deve essere respinto dalla comunità internazionale nel suo complesso. Anche il governo italiano dovrebbe pronunciarsi chiaramente al riguardo.

Fabio Marcelli, 18 febbraio 2014
Il Fatto Quotidiano

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