A dieci anni dalla
morte dello scrittore, alcuni appunti inediti rivelano le manovre
politiche per "insabbiare" la realtà storica di un eccidio.
Migliaia di soldati del contingente italiano in Russia scomparvero,
vittime dei tedeschi, e si arrivò a negarne l'esistenza.
Massimo
Novelli
I fantasmi di
Leopoli
Nuto Revelli
e la strage censurata
Dieci anni fa,
nella notte fra il 4 e il il 5 febbraio del 2004, Nuto
Revelli moriva a Cuneo, la città in cui era nato nel 1919.
Ufficiale degli alpini sul fronte russo, comandante
partigiano nelle formazioni di Giustizia e Libertà, dopo la
Liberazione diede voce attraverso i suoi libri, da Mai tardi
a La strada del Davai, a Il mondo dei vinti, a L'anello
forte, ai "senza storia": dai soldati mandati dal
fascismo a morire sul Don ai contadini poveri delle vallate
cuneesi scarnificate dalla guerra, dalla fame,
dall'emigrazione.
Nuto Revelli
Era stata la
tragica campagna di Russia, la carneficina dei nostri
militari, a segnarlo per sempre. Ritornato in Italia, ferito
nel corpo e soprattutto nell'animo, all'indomani
dell'armistizio dell'8 settembre 1943 non ebbe alcun dubbio
su che cosa si dovesse fare: salì in montagna e cominciò
la Resistenza contro i nazifascisti. Anche adesso, tra le
tante iniziative volute per il decennale della sua scomparsa
dalla Fondazione Nuto Revelli di Cuneo, guidata dal figlio
Marco Revelli, da Antonella Tarpino e da Beatrice Verri, la
guerra di Russia s'impone come un tema centrale.
Nell'ambito
della sistemazione del suo archivio, oltretutto, stanno
emergendo numerosi scritti inediti in cui Nuto continuava a
testimoniare e a cercare la verità sulla distruzione
dell'Armir, il corpo di spedizione in Unione Sovietica, e
sulla sorte dei dispersi. In questa documentazione hanno un
particolare rilievo le carte relative alla cosiddetta
commissione ministeriale Leopoli, istituita nel 1987
dall'allora ministro della Difesa Giovanni Spadolini con il
compito di fare luce, che tuttavia non venne fatta, sul
massacro di almeno duemila soldati italiani da parte dei
tedeschi a Leopoli, in Ucraina, dopo l'8 settembre '43.
Dell'eccidio avevano parlato agenzie e giornali dell'Urss,
ma già nel 1960 Jas Gawronski aveva raccolto per Epoca le
dichiarazioni di alcune persone, a Leopoli, che avevano
visto con i loro occhi i tedeschi che uccidevano i militari
italiani.
Nuto fece parte della commissione. E, insieme a Lucio Ceva e a Mario Rigoni Stern, scrisse il testo della relazione di minoranza, in assoluto dissenso con le conclusioni della maggioranza che, nel 1988, decretò che a Leopoli, dove peraltro era di stanza il comando logistico della nostra armata, non era avvenuta alcuna strage. Ragioni di Stato, pressioni internazionali, "armadi della vergogna" come quello di cui parlarono per primi i giornalisti de L'Espresso Franco Giustolisi e Alessandro De Feo, in cui erano stati imboscati i fascicoli sulle stragi naziste in Italia, concorsero a occultare la verità su Leopoli.
Le vicende della
commissione amareggiarono profondamente Nuto Revelli. Tanto
che un anno dopo, partecipando a un programma culturale
della Radio 3 della Rai, Antologia, allo storico Mario
Isnenghi confidava: «Tu sai quanto quell'esperienza mi
bruci ancora. Mi è stato rinfacciato non una ma cinquanta
volte che mi manca il distacco storico, e che sarei quindi
uno storico un po' così, sui generis. Io invece sostengo
che proprio coloro che mi incolpavano di non avere distacco
storico, erano troppo distaccati: erano lontani dagli
avvenimenti di guerra addirittura da angosciarmi, da
spaventarmi ».
Se i testi di
Antologia fino ad ora non erano mai stati trascritti, del
tutto inediti sono gli appunti (conservati alla Fondazione
Revelli) che l'autore de La guerra dei poveri prese il 14
maggio del 1987 per una conferenza su Leopoli tenuta a Monta
d'Alba. Quel pubblico incontro fu organizzato perché Romain
Rainero, uno dei membri della maggioranza della commissione
ministeriale, aveva infranto il silenzio stampa sui lavori,
proposto da Revelli e accettato dagli altri, con
un'intervista a Canale 5.
Parlando in
televisione, Rainero aveva affermato, tra l'altro, che tra i
componenti della commissione ministeriale c'era unanimità
di vedute. Nuto lo negò decisamente. E spiegava: «Un punto
sul quale non c'è unanimità fin dall'inizio: le frange
dell'Armir o del Comando Retrovie Est (Leopoli). Io e Rigoni
(Stern, ndr) insistiamo da sempre su questo punto! Fin da
quando si escludeva l'esistenza del Comando Retrovie Est».
In qualche documento, infatti, quest'ultimo compariva
erroneamente come "Retrovo". Tutto ciò aveva
indotto i membri di maggioranza della commissione a negare
l'esistenza di un contingente militare con il nome "Retrovo"
in Ucraina. Era la premessa, pertanto, per negare la strage.
Proseguiva Nuto Revelli: «Non abbiamo delle certezze. E ci spaventano i detentori delle certezze. La tradizione vuole che la "storia militare" sopravvaluti la documentazione ufficiale, le relazioni dei comandi (vangelo). Io ho un'altra visione della storia (anche se non sono uno storico): "la storia vissuta dal basso", una storia della quale sappiano poco o nulla. Manca una «tradizione culturale» in questo senso».
La concezione di
Nuto della storia dal basso partiva da un'amara riflessione:
«le dichiarazioni dei soldati non contano nulla, per cui
magari vengono mandate al macero». Poi «scoppia il "caso
Leopoli" ed allora (...) parliamo di "errore
storico" e neghiamo che sia mai esistita una divisione
Retrovo». Annotava Nuto a questo punto: «Poi si scopre che
non si tratta di un "errore storico", e che il
Comando Retrovie dell'Est amministrava migliaia di uomini
(supporto logistico 8a armata). Scopriamo una compagnia
presidiaria (la 63a) di cui non si conosce la sorte.
Scopriamo il 350o autoreparto di Balta (Ucraina) presente
all'8 settembre. E chissà quante altre cose sono ancora
nell'ombra». Concludeva i suoi appunti così: «Sia ben
chiaro! Una cosa è il disastro dell'Armir, ed un'altra è
il dopo disastro, con delle frange dimenticate o disperse. E
un'altra cosa ancora è l'8 settembre ed il dopo 8 settembre
40 anni dopo».
Il riordino
delle carte di Nuto sulla Russia, secondo la Fondazione
Revelli, può essere il punto di partenza per battersi
affinché vengano aperti gli «armadi della vergogna» nei
quali è imprigionata la verità su Leopoli.
la Repubblica | 04
Febbraio 2014
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