Si può essere critici quanto si vuole nei confronti degli USA. Ma, dopo aver visto un film vero e bello come questo, non si può non restare ammirati dalla grande libertà espressiva che questo grande Paese, con le sue mille contraddizioni, garantisce a tutti.
Di seguito riprendo la recensione del film pubblicata oggi da http://letteratitudine.blog.kataweb.it/
DALLAS BUYERS CLUB, di Jean-Marc Vallée
con Matthew McConaughey, Jared Leto, Jennifer GarnerRecensione di Ornella Sgroi
Ci sono film che si dimenticano in fretta, a volte mentre ancora scorrono sullo schermo i titoli di coda. E poi ci sono film che si scolpiscono nella memoria, visiva ed emotiva, tanto da ricordarli in ogni loro sequenza anche a distanza di tempo.
È questo il caso di “Dallas Buyers Club” di Jean-Marc Vallée, anticipato lo scorso novembre in Italia al Festival Internazionale del Film di Roma nella sezione del concorso e appena uscito nelle sale italiane nella versione doppiata, che – come di rado succede – ha poco da invidiare a quella in lingua originale.
Del film si è molto parlato nei mesi scorsi, soprattutto a proposito del suo magnifico interprete principale. Quel Matthew McConaughey fascinoso, biondo e aitante che tanto bene sapeva fare il suo mestiere nelle commedie romantiche di Hollywood (facendo storcere il naso ai detrattori del genere) e che adesso si consacra attore di grande calibro nel genere drammatico. Dimagrito di 23 chili, capelli scuri e smunto in viso al punto da perdersi sotto un grande cappello da cowboy.
Il canadese Jean-Marc Vallée ha visto in lui l’interprete perfetto per raccontare la storia vera dell’elettricista texano Ron Woodroof, rozzo omofobo tutto rodei, donne, alcol e cocaina, costretto all’improvviso a combattere la sua personale battaglia contro l’Aids e contro il sistema sanitario nazionale colluso con le grandi case farmaceutiche pronte a lucrare sulla vita dei pazienti. Un’intuizione, quella del regista, che ha reso possibile una performance attoriale di cui ci ricorderemo a lungo, che sradica ogni pregiudizio e mette in moto una valanga di stati d’animo reali.
Meritatissimo dunque il Golden Globe per Matthew McConaughey e meritatissima la sua nomination all’Oscar, che ha davvero diritto di vincere. Per l’adesione perfetta al personaggio, alle sue emozioni, che indossa come fossero una seconda pelle. Senza sbagliare una tonalità nel colore con cui dipinge un uomo disorientato, che dà fondo a tutte le sue capacità imprenditoriali per sopravvivere più a lungo dei trenta giorni pronosticati dai medici e magari fare anche un po’ di soldi senza troppi scrupoli.
È il 1985 e la Sindrome da immunodeficienza acquisita è ancora un nemico misterioso. Una malattia di cui si sa molto poco, considerata prerogativa esclusiva di omosessuali ed eroinomani, che invece dilaga a vista d’occhio, mentre la Food and Drug Administration cerca di tenerla a bada autorizzando la sperimentazione dell’Azt, un farmaco altamente tossico usato in origine contro il cancro e già ritirato dal mercato negli anni Sessanta per i gravi effetti collaterali provocati dalla sua assunzione. È qui che inizia la lotta di Ron contro il tempo e contro il sistema, tra viaggi in Messico mascherato da prete per importare medicine alternative non approvate negli Usa e ricoveri lampo in ospedale da cui fugge senza neanche curarsi di indossare i vestiti. Per tornare, inarrestabile e combattivo, al Dallas Buyers Club che ha messo in piedi, uno dei tanti “club dei compratori” che furono costituiti negli anni Ottanta negli Stati Uniti tra malati di Aids, per procurarsi i farmaci illegali che permisero a Woodroof di vivere altri sette anni.
Già questo basterebbe per trovare qualche buona ragione per andare a vedere il film. Quasi una commedia drammatica che peraltro, con la regia di Vallée, scorre per due ore senza mai annoiare, facendo buon uso della macchina a mano e potenziando al massimo l’efficacia dei suoni. Un film che, tuttavia, non sarebbe quello che è – così come Matthew McConaughey non avrebbe reso l’interpretazione che ha reso – se non ci fosse stato un cuore ancora più vero e battente. Ovvero il personaggio di Rayon, il transessuale cui un superlativo Jared Leto regala un’intensità carismatica che si incide, indelebile, nello sguardo dello spettatore, facendo volare alto il film già nel momento stesso in cui fa la sua prima apparizione. Per poi toccare punte di assolute sublimazione empatica, di fronte al gesto coraggioso di un’anima fragile ma sincera che, spogliata del trucco scintillante, torna ad indossare una cravatta scura con cui non è mai stata a suo agio.
Ecco. Anche il Golden Globe assegnato a Jared Leto è meritatissimo. Come è meritatissima la sua nomination all’Oscar come miglior attore non (!) protagonista, che non può non vincere. Perché è lui la bellezza più struggente e al contempo leggera del film. Racchiusa tanto negli assolo quanto nei duetti indimenticabili tra Ryon e “Ronny”, sintesi emblematica del potere attrattivo dell’affetto e delle contraddizioni che nutrono le amicizie più improbabili e solide.
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Gli americani sono abituati a resistere alle critiche mosse spesso contro la loro terra. Ma non c'e' alcun posto al mondo dove la gente preferirebbe trasferirsi per migliorare il loro futuro. I poveri americani saranno poveri, ma sono piu' ricchi rispetto a qualsiasi altro povero che vive nel resto del mondo.
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