Gli studi sullo
sciamanesimo ci dicono che la vocazione spesso comporta vivere da
travestito. Lo sciamano trascende il proprio genere originario e se
uomo vive da donna e se donna da uomo. E' una ricomposizione
simbolica degli opposti che riporta alla totalità primigenia e che
in forme spesso mascherate riappare in molte culture, anche là dove
non si aspetterebbe.
Marino Niola
La
processione dei femminielli sulle orme della dea Cibele
Sfidano il
freddo e il gelo dell’Irpinia per arrivare al santuario in
cima al monte. È la schiera dei femminielli, i celebri
travestiti adepti della Madonna nera che il 2 febbraio di ogni
anno festeggiano la Candelora, arrampicandosi fino alla sommità
del Partenio. Millequattrocento metri di salita nello spazio e
duemila anni di discesa nel tempo. Fino alle profondità
dell’immaginario mediterraneo e delle sue divinità
femminili.
Sulla vetta
impervia di Montevergine, che guarda dall’alto in basso il
Vesuvio, il popolo gay incontra da sempre la sua Signora, la
Mamma Schiavona “che tutto concede e tutto perdona”.
L’intera
costellazione raccolta sotto la sigla LGBT (Lesbiche, Gay,
Bisessuali e Transgender) diventa di fatto la nuova
protagonista di un antichissimo pellegrinaggio in onore della
Vergine. Chela comunità omo ha eletto da tempo a sua
protettrice. Secondo la leggenda fu proprio lei, nel 1256, a
salvare due giovani omosessuali che, in seguito allo scandalo
provocato dalla loro relazione, erano stati legati a un albero
e abbandonati a morire di stenti sulla montagna. Il miracolo fu
visto come un segno di tolleranza soprannaturale e da allora i
femminielli divennero devotissimi della Madonna di
Montevergine.
Ma in realtà,
questa balza vertiginosa, sospesa tra nidi d’aquile e tane di
lupi, è da sempre meta prediletta di una umanità en travesti.
Infatti, molti secoli prima di Cristo a salire quassù erano i
Coribanti, i preti eunuchi di Cibele, la grande madre nera,
simbolo femminile della natura. Il suo tempio sorgeva proprio
dove adesso c’è il santuario mariano. I sacerdoti si
eviravano ritualmente per offrire il loro sesso in dono alla
dea e rinascere con una nuova identità. Si vestivano da donne
con sete gialle, arancione, rosa e altri colori sgargianti. Si
truccavano pesantemente gli occhi e attraversavano in gruppo le
città suscitando un misto di curiosità morbosa e di scandalo,
anche per il loro erotismo esibito e la sfrontatezza delle loro
provocazioni sessuali. Insomma queste processioni orgiastiche a
base di canti, balli e suoni di tamburo erano in qualche modo i
Gay Pride dell’antichità.
E proprio come
allora, anche ora l’esagerazione è di rito. Travestimenti,
canzoni, suoni, crepitio di nacchere e battito di tammorre
accompagnano l’ingresso in chiesa. Poi il silenzio cala
improvviso e si leva alta un’invocazione salmodiante, tra la
litania del muezin e ilgrido dei venditori, che chiama a
raccolta le figlie della Mamma schiavona, facendo risuonare nel
presente un’eco mediterranea lontana. A intonarla è il noto
artista folk Marcello Colasurdo, ex operaio dell’Alenia di
Pomigliano d’Arco, a lungo frontman del Gruppo musicale E’
Zezi e cantore ufficiale della galassia LGBT.
“Non c’è uomo
che non sia femmina e non c’è femmina che non sia uomo”,
ripete come un mantra. Mentre all’esterno il rito lascia
affiorare tutto il suo fondo pagano e le figure sensuali della
tammurriata ricordano in maniera impressionante le danze degli
affreschi pompeiani. Veli volteggianti, fianchi roteanti, gesti
ammiccanti. Pier Paolo Pasolini, stregato dal fascino arcaico
di queste nenie rituali, nel 1960 volle registrarle
personalmente dalla viva voce delle devote per usarle come
colonna sonora del suo Decameron. E ancor prima, Zavattini e De
Sica parteciparono al pellegrinaggio dei femminielli quando
erano in cerca di ispirazioni per “L’oro di Napoli”.
Il carattere
pagano del culto ha spesso provocato scontri con l’autorità
ecclesiastica. In due occasioni, nel 2002 e nel 2010, l’abate
del santuario ha scacciato i gay dalla chiesa scagliando su di
loro un vero e proprio anatema. Che ha suscitato lo sdegno del
mondo progressista e non solo. Ma i coribanti di oggi non si
lasciano intimidire da diktat così poco evangelici. Loro
vogliono bene alla Madonna e la Madonna vuol bene a loro, il
resto non conta. E si mostrano ogni anno più determinati nel
trasformare il pellegrinaggio in occasione politica, in
piattaforma democratica di lotta contro l’omofobia che ancora
affligge il nostro paese.
Tra i più
agguerriti Porpora Marcasciano (presidente del MIT —
movimento identità trasgender — di Bologna), e Vladimir
Luxuria. Che ogni anno sale a Montevergine per onorare la
Madonna nera. Perché, tiene a dire, “da secoli le persone
diverse si sono riconosciute in questa Madonna diversa. Una
madre che guarda solo nel nostro cuore e non si interessa
all’involucro che lo contiene”. Così la rivendicazione dei
nuovi diritti fa suo un simbolo ancestrale. Avvicinando i due
lembi estremi della storia. Un passato millenario e un futuro
necessario. E al di là di tutti i distinguo politically
correct e delle nuove sigle identitarie, quel giorno si diventa
tutti femminielli. Anime femmine in corpi mutanti. Diversamente
uguali nel nome della Madre.
La Repubblica 31 gennaio
2014
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