Abbiamo già pubblicato in questo blog l'editoriale, l'indice e alcuni testi contenuti in questo fascicolo speciale di nuovabusambra dedicato alla memoria di Francesco Carbone.
Oggi anticipiamo due preziose testimonianze, contenute nello stesso numero, che ci hanno offerto il prof. Aldo Gerbino e la dott.ssa Giuseppina Abbate:
Francesco. Agro e gentile
Aldo Gerbino
Quando, nel luglio del 2000, dal
mediterraneo intenso di Pollença, nelle Baleari, s’ebbe la notizia della
scomparsa, a 88 anni, di Aligi Sassu, il mio pensiero mi accompagnò, senza
indugio, alla figura di Francesco Carbone scomparso da appena un anno. Da tale
immagine fui consegnato, quasi per un rimando automatico, lungo la palermitana
Via Notarbartolo, proprio al crocevia con il viale della Libertà, alle spalle
di Villa Zito, e in un tempo preciso: il 1966. Dalla via dedicata al marchese
Emanuele Notarbartolo di San Giovanni, il cui assassinio aveva sancito (lo
sottolinea Geno Pampaloni per il libro Il
Cigno di Sebastiano Vassalli), il concretarsi della «storia di una Sicilia
di cent’anni fa. E sembra storia d’oggi», il mio pensiero non poteva, ancora
una volta, non correre con il medesimo automatismo a Renato Composto. L’allora
preside del mio liceo, l’Umberto I, studioso del Risorgimento, aveva
pubblicato, un decennio prima, presso Guanda (nella piccola e nutrita collana
“Falena”), il ritratto lirico di questo devastato topos urbano. Dal ventaglio
linguistico di tale breve testo si legge, con quella disposizione gentile e
severa con cui conservo, assieme alla plaquette, l’elegante figura di Composto
(anche per quel suo privilegio verso i colori autunnali), come nel: «verde orlo
delle case, al sonno / lungo indugianti, m’era un’evasione / il sentore degli
orti suburbani. / Oltre la via restava ogni memoria: / e l’aule chiuse e la
scandita vita / d’ora in ora in un suono di campana / e la città d’un subito
distante, / perduta alla sua fretta. Qui il grido del postino, nel riverbero /
d’un sole da paese, era uno strappo / improvviso e già chiuso; / qui il
ciclista indugiava sui pedali. Mi s’apriva un timore di due vite / a contrasto:
anche i treni che tagliavano rapidi il tuo corso / accennavano ad ore
irrevocabili …».
Profumi di orti, dunque, vi affiorano tra i
sempre più rari profili delle ville liberty e lo sbuffare d’un treno in corsa
verso Trapani, e, soprattutto, quell’intensità ancora residua di silenzi così
necessari, così sentimentalmente vividi, purtroppo soppressi. Ma già, quando
Composto scriveva questi versi agli inizi degli anni Cinquanta, la città era
stata ineluttabilmente avviata verso un’ulteriore brutale trasformazione:
espansione, superfetazione di quel sacco edilizio del decennio precedente che,
con la complicità di tutti, stravolgeva ancora una volta il disegno di Palermo.
In quel crocevia era presente uno spazio commerciale ed espositivo di
arredamento e design. Era “Il Quadrante”, luogo, forse, del mio primo incontro
con Francesco Carbone, che poi rividi nel 1967 al centro d’arte ‘Il
Quadrifoglio”, in cui stemmo insieme per una personale di Salvatore Bonura
(Sabo) a discutere di Hiroshima: un
volto, un olio su cartone, tracciato dall’onirica naïveté di quest’artista
enigmatico e solitario. La lettera ‘Q’ sembra, dunque, essere stata adeguato
medium per la nostra futura quanto misurata amicizia. Tra quei palazzi in
costruzione occhieggiava il novello bar “Ciro’s”, gestito da un distinto
signore, il cui labbro superiore, ornato da radi baffetti brizzolati, mi aveva
permesso di riconoscere, mentre si sorseggiava, prima della nostra conoscenza,
un caffè, le sembianze del guizzante segretario della Scuola Media Protonotaro
al Càssaro (lì vi frequentai la ‘Sezione I’), il cui portone d’ingresso
guardava la perenne voragine procurata da una bomba del secondo conflitto
mondiale.
Al “Quadrante” era stato organizzato un
dibattito con Aligi Sassu, uno degli artefici di “Corrente”. Salvatore
Quasimodo ricordava nel suo intervento scritto che aveva «incontrato Aligi
Sassu per la prima volta, a Milano, nel 1937. Era il periodo di preparazione
della Rivista «Corrente», cioè quella della lotta – non proprio sotterranea –
più impegnata contro il regime fascista e la sua politica culturale. Un tempo
molto complesso per la pittura e la letteratura italiana. Per la pittura, le
prove di Guttuso, Sassu, Birolli, Migneco e altri sono oggi ferme nella storia
dell’arte figurativa europea». Sassu però mi deluse: un omino tarchiato, calvo,
fornito d’una espressone bonaria, direi larvatamente felice; mi aspettavo,
forse, un volto più ‘esistenziale’, in virtù del suo rapporto con lo storico
Gruppo votato all’impegno civile e che in Milano trovava piena sostanza, almeno
per me, nel romanzo di Vittorini Uomini e
no, letto proprio in quegli anni e
cadenzato dall’indimenticato protagonista Enne 2. Invece mi trovai di fronte un
artista dall’aspetto borghese, soddisfatto, proiettato alla confezione di
‘prodotti d’arte’, anche se i suoi Uomini
rossi, o i Pugilatori o I Minatori,
più che le sterminate serie di ‘cavalli’ amati, ad oggi, dal suo epidermico
collezionismo, mi legavano, e mi legano tutt’ora con forza spontanea.
Sassu era a Palermo per una personale
allestita nella vicina galleria “La Robinia”, diretta dalla volitiva signora
Piazza: Aligi Sassu. Dipinti dal 1927 al 1966, con testi di Vittorio
Fagone e Salvatore Quasimodo. Di certo amavo anche i suoi Caffè, quei «tavolini circolari, i volti obliqui e gli smorti
languori di donne, le passeggiate rovinose lungo i viali» che, sempre a dire di
Quasimodo, «non sono la facoltà decadente di distruggere creando, l’analisi
intima di un genio malato che trova nel divenire
eracliteo un presentimento e una ragione per delle “Esecuzioni”
quotidiane».
Di lì a poco, nel 1968, Francesco Carbone
avrebbe mostrato con «Presenzasud», il numero unico edito dall’omonimo Centro
di Ricerche Estetiche e dalla libreria “Nuova Presenza” di Bartolomeo Manno, il
‘soffio vitale’, come scriveva Nicolò D’Alessandro, della sua ‘informalità’,
sia nella qualità di gemma creativa sia quale canone estetico in quel suo
procedimento critico votato alla «necessità della ricerca e dell’esperimento».
L’incontro con Sassu del 1966 divenne, per
la presenza di Francesco, uno scontro. Scontro da me timidamente registrato
come ‘quotidiana esecuzione’ del critico nei confronti di un Maestro il quale,
insensibile ai progetti delle neoavanguardie (Palermo, ricordo, aveva ospitato,
all’Hotel Zagarella di Solunto, le combattive dinamiche del “Gruppo 63”: da
Giuliani a Balestrini a Sanguineti), sembrava non confermare l’essere stato
elemento non indifferente nel ‘Gruppo di Corrente’ e della Rivista del
giovanissimo Treccani. Così per Carbone apparve inspiegabile come Sassu non
percepisse, lui per altro figlio d’uno dei fondatori del Partito Socialista a
Sassari, le contemporanee urgenti istanze politico-sociali, culturali ed etiche
che sarebbero sfociate, di lì a poco, nei movimenti studenteschi del ’68. Il
dibattito si offrì alquanto acceso, con un Francesco non privo di
un’aggressività alimentata esclusivamente dalla sua fermezza e fierezza ideale;
malgrado ciò provai (pur in accordo con Francesco) un’amorfa imprecisata
benevolenza per Sassu, una sorta di umana partecipazione per quella palpabile
difficoltà distribuita a piene mani dall’artista milanese.
Questo fu, sin dal primo contatto, l’amico
Francesco: agro e gentile, come l’ho sempre definito nei successivi trent’anni
di affettuoso praticantato. La sua asprezza era mossa dal desiderio
d’interpretare, con il chiavistello della modernità, memoria e realtà fuor di
retorica, e, soprattutto, intuire il futuro delle arti cercando di annodare il
seme antropologico alle emergenze di una comunicazione visuale in estesa
espansione. Non obliare, comunque e mai, l’umana fabrilità e in tale maniera la
sua gentilezza d’animo si alimentava di un altruismo non volontario ma
innato.
Conservo, tra le tante minuscole e preziose
cose, una foto donatami nel 1975 dal poeta Giacomo Giardina (suo, nostro amico;
anche lui ci ha lasciato negli anni Novanta), in cui nel retro si legge, con la
grafia incerta di Giacomo, “tentata occupazione terre a Marosa” (un feudo di
Godrano). Francesco vi è ritratto, contadino tra i contadini, pronto alla
battaglia, con uno sguardo intenso e lontano. È lo stesso che ho rivisto, tanti
anni dopo, colmo di crescente malinconia, poco prima che si congedasse da tutti
noi in quel silenzio discreto che appartenne al suo sconforto, ai suoi ultimi
inesausti ardori.
°°°°°°°
Francesco Carbone
e l’officina laboratorio di Busambra
Pina Abbate
Incontravo
Francesco Carbone ad esposizioni di artisti più o meno noti, emanava una passione visionaria che coinvolgeva, sapeva animare circuiti dove
l’ orgogliosa dignità di ogni libera forma
di espressione , bilanciava un quotidiano spegnersi di affermazione
democratica, civile partecipazione, poetica del fare insieme; la sua vivacità intuitiva, trasmetteva valori come
quello di difendere, accrescere, rivendicare, quanto poteva mettere in movimento potenzialità espressive,
comunicative, creative, di individui , gruppi, Territorio. Con semplicità, umiltà, gentilezza, ospitava in
quella curiosa fucina di incontri che era
Godranopoli, artisti, poeti, intellettuali, giornalisti, giovani curiosi
, bisognosi di scavalcare certe barriere che opprimevano o ostacolavano spazi
di immaginazione verso cui Carbone componeva instancabilmente ponti. Un
orgoglioso sentimento di appartenenza alla Terra faceva da humus fertile ad
esperienze di conoscenza e di identità. Come un vero e proprio “Camminus
inizialis” dalla città verso territori di montagna, per un contatto immediato
con una sorta di fluida esperienza che connette anima e sentimenti tramite lo
Spazio di Busambra , l’officina
animata da Carbone si faceva specchio di un mondo ancora vivo e palpitante.
Carbone vi trasfondeva operosità, concretezza, costanza, condivisione,
un’intraprendenza modesta e sobria rianimava operosità di artigiani, contadini, tessitrici, falegnami,
fabbri,carrettieri; affascinanti serie
di oggetti in apparente casual disordine diceva l’identità di un popolo,
l’abilità tecnica, il saper fare robusto e originale; rivivevano suoni di
maniscalchi, incudini, martelli, persino arrugginiti chiodi tracciavano la
gloria di antiche capriate, delle masserie scomparse restavano segni molteplici
, persino i campanacci di mandrie ai pascoli evocavano luoghi di intense
attività. Un giorno la funambolica esile figura del poeta pastore Giacomo
Giardina esprimeva in brevi versi un tenero attaccamento al selvaggio errare
attorno alla Busambra, aprendo l’incanto di magiche luci stellari ad Alpe
Cucco; un altro la sorprendente esuberanza di Carbone accoglieva studiosi
stranieri cui presentava sogni, simboli, espressioni artistiche di gruppi che a
volte non oltrepassavano le vie di provincia, tanto smarrita è a volte l’anima
e tanto brucianti sono perdite e sconfitte. Quel museo della memoria, composto
grazie a doni ,partecipazione di molti, raccolte collettive, volontà ed impegno
di tanti amici di Francesco Carbone, consentiva una sorta di pellegrinaggio per
impervie vie del reciproco riconoscersi, nell’arte, la poesia, le infinite
forme dell’immaginario. Mentre ad oggetti d’ ogni sorta (dal braciere al ferro
per stirare a carbone) era affidato il miracolo della restituzione di luci ed
ombre del nostro passato,lo spreco, la vanità, il superfluo, restavano fuori
(tra marciapiedi di città, vetrine, mercati) dai variopinti fermenti che
evocavano paesaggi, paesi, cammini faticosi
tra miti, epopee della montagna, tracce di storia di questa terra
stremata da troppi abbandoni e penosi tradimenti. Grazie a itinerari avviati da
Francesco Carbone è possibile oggi ricordare, riflettere, analizzare cesure tra
passato e presente, riconoscere quel che ripara identità, interpretare
mutamenti, verificare limiti e confini culturali del proprio ambiente e
territorio, spiegare quel che nella propria storia ha fallito o generato
sviluppo, aiutarsi tutti a partecipare con maggior consapevolezza ad esigenze
con cui presente e futuro irrimediabilmente
incalzano per reciproci ascolti, dialoghi, confronti autentici, critici,
lucidi.
Giuseppina
Abbate
Castelbuono 10 Novembre 2013
Nessun commento:
Posta un commento