Il fascismo storico fu
espressione di quella che allora si chiamava ancora “piccola
borghesia”: impiegati e bottegai impoveriti dalla crisi e
spaventati dalla rivoluzione alle porte. Oggi il fantasma bolscevico
non c'è più, ma simili sono la paura e la rabbia e la ricerca di
capri espiatori e di uomini della Provvidenza. Con una differenza
rispetto ad allora: oggi si sente ceto medio declassato anche una
parte non piccola di classe operaia.
Piero Ignazi
Il declino del ceto medio e la deriva populista
In otto anni il ceto medio si è ristretto: come scriveva Ilvo Diamanti lunedì, nel 2006 si ritenevano appartenenti a quella fascia sociale il 60% degli italiani, mentre oggi sono al 40%; e coloro i quali si considerano in fondo alla scala sociale sono passati dal 28% al 52%. La contrazione del ceto medio investe la “tenuta” delle istituzioni democratiche. Una robusta classe media non solo consente alla democrazia di affermarsi ma garantisce la sua stabilità nel tempo.
La caduta verso il basso
di questi ceti destabilizza il sistema perché lo spaesamento per la
perdita di una condizione spesso acquisita a fatica e con sacrifici,
e i sentimenti di frustrazione e rabbia che ne derivano, spingono
verso posizioni politiche estreme. In tutta Europa i partiti
populisti hanno catturato il consenso dei cittadini colpiti dalla
crisi, di coloro che hanno perso il lavoro o di chi un lavoro degno
di questo nome non riesce mai a trovarlo.
Il nazionalpopulismo di
destra, incarnato oggi in maniera molto efficace dalla leader del
Front National francese Marine Le Pen, si presenta come l’alternativa
di sistema capace di cambiare il corso delle cose e ridare dignità a
tutti coloro che l’hanno perduta per colpa degli immigrati che
rubano il lavoro ai nativi, delle banche e del fisco che spolpano gli
onesti lavoratori, dei politici corrotti e incapaci che pensano solo
ai loro interessi. E infine, come velenosa ciliegina sulla torta
dell’odio politico, fa capolino, ormai senza vergogna, il carpo
espiatorio per eccellenza, la finanza ebraica.
Negli anni passati la
Lega aveva interpretato sentimenti irosi e scomposti di un ceto medio
in ascesa, desideroso di trovare il proprio posto al sole e di
ottenere il riconoscimento sociale che gli spettava. Il declino
leghista, e in subordine del Pdl, deriva proprio dall’assottigliarsi
di questa fascia sociale, cruciale per il loro successo.
Il ceto medio dei piccoli
imprenditori, dei commercianti e della vasta platea delle partite
Iva, non è più rilevante né numericamente (pensiamo solo al crollo
dei commercianti “italiani”) né politicamente sensibile ai
vecchi interpreti. La sua contrazione coincide con un mutamento
“rivoluzionario” dei referenti politici: dalla destra
forzaleghista ai cinquestelle.
Beppe Grillo si è
alimentato, oltre che di un diffuso clima antipolitico, dei
sentimenti di mortificazione e paura che attraversano i ceti medi. Le
analisi postelettorali concordano infatti su un punto: i lavoratori
autonomi, e soprattutto chi il lavoro non c’è l’ha più o non ce
l’ha ancora, si sono diretti verso il Movimento 5 Stelle.
Chi sta perdendo
sicurezza economica o dubita di trovarla, difficilmente affida le
proprie speranze a partiti e leader tradizionali. Men che meno a chi
ha tradito le sue aspettative (e questa è una ulteriore ragione per
cui Forza Italia, al di là del grande serbatoio di casalinghe e
pensionati che continua a monopolizzare, ben difficilmente può
recuperare i consensi perduti). Sono alla ricerca di una voce ribelle
che lenisca le loro ansie. Non è un caso che gli elettori
pentastellati siano di gran lunga i più giovani e rappresentino
buona parte dei figli del ceto medio declinante.
Se teniamo conto di
questi elementi strutturali dell’elettorato non può stupire
l’aggressività antisistemica che periodicamente esplode nelle file
grilline: il M5S rappresenta la versione italica di quella protesta
che altrove si indirizza verso l’estrema destra. Ora, al di là
delle intemperanze ed aggressioni verbali di questi giorni su cui già
si è detto tutto, il M5S non è assimilabile, per storia e cultura
politica, al nazionalpopulismo di destra.
Comunque, canalizza un
magma scomposto e iracondo che scorre nella società italiana (e
francamente non si capisce lo stupore scandalizzato per le porcate
scritte sui blog grillini: se ne leggono di cotte e di crude dovunque
nella rete, anche se è tuttora difficile eguagliare quelle leghiste
d’un tempo).
Questo magma può essere
lasciato a se stesso, in una spirale di radicalizzazione di cui
nessuno sente il bisogno. Oppure, con la saggezza di chi ha maggiore
esperienza e responsabilità, si può tentare di incanalarlo
nell’ambito istituzionale.
Ovvio che i grillini
recalcitrino e si rifiutino perché la strategia
dell’opposizione a 360 gradi sembra vincente in termini elettorali.
Ma bisogna superare il muro del rifiuto perché isolarli e
sospingerli in un ghetto, nel quale molti di loro vorrebbero ben
volentieri rinchiudersi, non fa bene alla democrazia. Più li si
marginalizza, più la conflittualità anti-sistemica prende piede,
con il rischio di torcere l’“ideologia” grillina verso un
populismo senza freni. E alla fine, possibile e probabile, c’è
l’incontro con l’altro leader populista di questi vent’anni. A
Berlusconi basta un nanosecondo per aprire le braccia a Grillo in
nome dell’opposizione all’Europa e ai poteri forti. E il guru
genovese, in odio al Pd, potrebbe esservi tentato.
La Repubblica – 6
febbraio 2014
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