07 febbraio 2014

SUL DECLINO DEL CETO MEDIO


Il fascismo storico fu espressione di quella che allora si chiamava ancora “piccola borghesia”: impiegati e bottegai impoveriti dalla crisi e spaventati dalla rivoluzione alle porte. Oggi il fantasma bolscevico non c'è più, ma simili sono la paura e la rabbia e la ricerca di capri espiatori e di uomini della Provvidenza. Con una differenza rispetto ad allora: oggi si sente ceto medio declassato anche una parte non piccola di classe operaia.

Piero Ignazi

Il declino del ceto medio e la deriva populista


In otto anni il ceto medio si è ristretto: come scriveva Ilvo Diamanti lunedì, nel 2006 si ritenevano appartenenti a quella fascia sociale il 60% degli italiani, mentre oggi sono al 40%; e coloro i quali si considerano in fondo alla scala sociale sono passati dal 28% al 52%. La contrazione del ceto medio investe la “tenuta” delle istituzioni democratiche. Una robusta classe media non solo consente alla democrazia di affermarsi ma garantisce la sua stabilità nel tempo.

La caduta verso il basso di questi ceti destabilizza il sistema perché lo spaesamento per la perdita di una condizione spesso acquisita a fatica e con sacrifici, e i sentimenti di frustrazione e rabbia che ne derivano, spingono verso posizioni politiche estreme. In tutta Europa i partiti populisti hanno catturato il consenso dei cittadini colpiti dalla crisi, di coloro che hanno perso il lavoro o di chi un lavoro degno di questo nome non riesce mai a trovarlo.

Il nazionalpopulismo di destra, incarnato oggi in maniera molto efficace dalla leader del Front National francese Marine Le Pen, si presenta come l’alternativa di sistema capace di cambiare il corso delle cose e ridare dignità a tutti coloro che l’hanno perduta per colpa degli immigrati che rubano il lavoro ai nativi, delle banche e del fisco che spolpano gli onesti lavoratori, dei politici corrotti e incapaci che pensano solo ai loro interessi. E infine, come velenosa ciliegina sulla torta dell’odio politico, fa capolino, ormai senza vergogna, il carpo espiatorio per eccellenza, la finanza ebraica.



Negli anni passati la Lega aveva interpretato sentimenti irosi e scomposti di un ceto medio in ascesa, desideroso di trovare il proprio posto al sole e di ottenere il riconoscimento sociale che gli spettava. Il declino leghista, e in subordine del Pdl, deriva proprio dall’assottigliarsi di questa fascia sociale, cruciale per il loro successo.

Il ceto medio dei piccoli imprenditori, dei commercianti e della vasta platea delle partite Iva, non è più rilevante né numericamente (pensiamo solo al crollo dei commercianti “italiani”) né politicamente sensibile ai vecchi interpreti. La sua contrazione coincide con un mutamento “rivoluzionario” dei referenti politici: dalla destra forzaleghista ai cinquestelle.

Beppe Grillo si è alimentato, oltre che di un diffuso clima antipolitico, dei sentimenti di mortificazione e paura che attraversano i ceti medi. Le analisi postelettorali concordano infatti su un punto: i lavoratori autonomi, e soprattutto chi il lavoro non c’è l’ha più o non ce l’ha ancora, si sono diretti verso il Movimento 5 Stelle.

Chi sta perdendo sicurezza economica o dubita di trovarla, difficilmente affida le proprie speranze a partiti e leader tradizionali. Men che meno a chi ha tradito le sue aspettative (e questa è una ulteriore ragione per cui Forza Italia, al di là del grande serbatoio di casalinghe e pensionati che continua a monopolizzare, ben difficilmente può recuperare i consensi perduti). Sono alla ricerca di una voce ribelle che lenisca le loro ansie. Non è un caso che gli elettori pentastellati siano di gran lunga i più giovani e rappresentino buona parte dei figli del ceto medio declinante.

Se teniamo conto di questi elementi strutturali dell’elettorato non può stupire l’aggressività antisistemica che periodicamente esplode nelle file grilline: il M5S rappresenta la versione italica di quella protesta che altrove si indirizza verso l’estrema destra. Ora, al di là delle intemperanze ed aggressioni verbali di questi giorni su cui già si è detto tutto, il M5S non è assimilabile, per storia e cultura politica, al nazionalpopulismo di destra.



Comunque, canalizza un magma scomposto e iracondo che scorre nella società italiana (e francamente non si capisce lo stupore scandalizzato per le porcate scritte sui blog grillini: se ne leggono di cotte e di crude dovunque nella rete, anche se è tuttora difficile eguagliare quelle leghiste d’un tempo).

Questo magma può essere lasciato a se stesso, in una spirale di radicalizzazione di cui nessuno sente il bisogno. Oppure, con la saggezza di chi ha maggiore esperienza e responsabilità, si può tentare di incanalarlo nell’ambito istituzionale.

Ovvio che i grillini recalcitrino e si rifiutino perché la  strategia dell’opposizione a 360 gradi sembra vincente in termini elettorali. Ma bisogna superare il muro del rifiuto perché isolarli e sospingerli in un ghetto, nel quale molti di loro vorrebbero ben volentieri rinchiudersi, non fa bene alla democrazia. Più li si marginalizza, più la conflittualità anti-sistemica prende piede, con il rischio di torcere l’“ideologia” grillina verso un populismo senza freni. E alla fine, possibile e probabile, c’è l’incontro con l’altro leader populista di questi vent’anni. A Berlusconi basta un nanosecondo per aprire le braccia a Grillo in nome dell’opposizione all’Europa e ai poteri forti. E il guru genovese, in odio al Pd, potrebbe esservi tentato.

La Repubblica – 6 febbraio 2014

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