Pietro Citati
In principio
fu il silenzio del mondo
Tra i testi antichi della
meditazione taoista, il Vero libro della Sublime Virtù del Cavo e
del Vuoto , scritto tra il V e il IV secolo avanti Cristo, e
attribuito a Lieh-tzu (ora pubblicato come Il cavo e il vuoto. 50
storie taoiste dalla Utet Extra, collana a cura di Emanuele Trevi e
Luna Orlando), è il meno conosciuto in Occidente. Esso contiene
alcune massime meravigliose, che si imprimono per sempre nella nostra
mente, desiderosa d’assoluto.
Nella cultura occidentale, di rado abbiamo conosciuto una simile tensione ed eleganza intellettuale: una mente pura conduce il pensiero all’estremo del suo rigore, al punto oltre il quale non può spingersi, dove avvertiamo il brivido dell’invalicabile. Proprio lì, Lieh-tzu deride il pensiero: allude, accenna, ironizza, comincia a giocare; e una grande dimostrazione filosofica diventa un apologo o un raccontino o una commediola, che potrebbe piacere a un bambino, o alla nostra mente di bambini.
Qui il pensiero non ha
più nulla di astratto: ci sorride amabilmente, incarnato in
deliziose storie concrete. La superficie della storia è chiarissima:
Lieh-tzu parla di cose elementari: ma se riflettiamo attorno a quello
che dice, spesso ci sembra misterioso ed enigmatico. Lieh-tzu va
dietro l’apparenza delle parole, oltrepassa il silenzio, intende
ciò che sta oltre la parola e il silenzio; nomina le cose che non
possono essere dette, e che tuttavia vengono mirabilmente dette
attraverso l’arte finissima di rivelare e di nascondere.
Lieh-tzu ama il viaggio: con gli occhi del viaggiatore guarda le cose che mutano, di minuto in minuto; le fattezze, l’aspetto, la sapienza, il comportamento, la pelle, la carne, le ciglia dell’uomo, i paesaggi e gli edifici del mondo. Subito dopo aver esaltato il flusso, Lieh-tzu celebra il suo opposto: l’immobilità assoluta del mondo, la quiete della natura e dell’uomo, e la fissità silenziosa dell’acqua, che non si cura di muovere le proprie onde.
Ciò che sorprende è la
conclusione a cui giunge Lieh-tzu: perché il movimento e la stasi si
identificano, ciò che muove e ciò che non cambia mai diventano la
stessa cosa, ciò che è e ciò che si trasforma si esprimono con lo
stesso verbo; e la cascata e il lago senza onde conoscono lo stesso
ritmo verbale. Quando viviamo nel Tao, avvertiamo la stessa voce
nell’uno e nel mutevole, nel molteplice e nell’identico.
Lieh-tzu e i grandi pensatori taoisti hanno un dono unico. Quando guardano le cose e le pensano, riescono ad attraversare miracolosamente le superfici, avvertendo dietro di esse la misteriosa presenza del Vuoto, che toglie ogni peso e rilievo alle cose, come se fossero spugne imbevute di una sostanza ultraterrena. Per cogliere il Vuoto, il saggio allontana da sé ogni rigidezza: «smussa ciò che è affilato». Diventa molle e cedevole come la medusa, morbido e flessibile come il giunco. Tra i quattro elementi, sceglie a modello l’acqua: l’acqua che, se incontra un ostacolo, si arresta; se l’ostacolo si rompe, corre via; che è rotonda e quadrata secondo il recipiente in cui viene messa, e per questa estrema facilità e pieghevolezza è il più forte tra tutti gli elementi.
Come l’acqua, la natura
del saggio non si può suddividere in parti: cede a tutte le cose e
penetra in tutte le cose; è senza forma, neutra, insapore; si turba
solo quando viene agitata e le sue agitazioni non durano a lungo,
perché non nascono da lei ma dal vento.
Quando ha raggiunto questa condizione, il saggio conosce la beatitudine del Vuoto — col quale il Tao coincide. Sebbene tutti esaltino la perfezione del pieno, egli sa che il segreto del mondo riposa sul vuoto; i raggi sono indispensabili per fare una ruota, ma la sua perfezione dipende dal mozzo vuoto; l’argilla è necessaria per modellare il vasellame, ma la bellezza di un vaso dipende dalla forma vuota che circoscrive; i mattoni sono indispensabili per costruire le porte e le finestre di una casa, ma ciò che importa è la forma vuota delle porte e delle finestre.
Così egli fa il vuoto in
se stesso, annullando il proprio io. Annulla i propri desideri, i
propri impulsi, i propri amori, i propri odi: la tristezza e il
piacere, la gioia e la collera. Cancella le proprie esperienze,
rinchiudendosi nella propria natura innata. Non guarda, non ascolta,
non sente, non conosce, non sa.
Allora diventa quieto, come il Tao: tranquillo come la baia, silenzioso come il deserto, pacato come la melodia, esile come l’eco. Senza forma, senza resistenze, senza desideri, senza volontà, senza passioni, attraversa il mondo simile a una barca senza ormeggi che va alla deriva sull’acqua; e riflette nel proprio puro specchio intellettuale gli opposti dell’universo, tutte le creature che esistono, tutte le cose che accadono e appaiono. Non agisce. La passività è l’unica azione perfetta: l’azione che nasce dal cuore immobile della vita comunica il suo mite e ininterrotto movimento a tutte le forme.
Questo Vuoto è sia trascendente sia immanente. «Ha in sé — dice Chuang-tzu, un altro pensatore taoista — la sua radice, ed è sempre esistito», molto prima della creazione del cielo e della terra, e addirittura prima della nascita dell’Uno: abita dove non c’è né altezza, né profondità, né durata.
Dunque: il Tao è trascendente. Potremmo chiamarlo Dio, a patto di cancellare da questa parola tutte le connotazioni cristiane, in primo luogo l’amore. Possiede la qualità fondamentale che il pensiero occidentale attribuisce all’Essere: ma è così vuoto, puro, infinito, privo di qualsiasi limitazione e determinazione, che potremmo anche chiamarlo Nulla.
Eppure, subito dopo aver
detto che il Tao è trascendente, il vero taoista conclude: egli è
immanente. Se vogliamo vederlo, dobbiamo guardare con gli occhi
interiori questa formica, questo filo d’erba, questa tegola, questo
mucchio di letame: il Tao è qui, davanti a noi, ubiquo e
onnipresente, silenziosa legge regolatrice di tutte le cose, fluido
ritmo dell’universo.
Nel nostro mondo non conosciamo che antitesi: antitesi che formano la sua sostanza — come lo yin e lo yang . Oppure le antitesi generate dalle idee umane. C’è chi si chiede: il mondo è stato creato da qualcosa o dal nulla? Il Tao esiste o non esiste? Quando viene posto davanti alle idee umane, il saggio taoista è assalito da un’ostilità profondissima. Egli detesta l’unilateralità, la rigidezza, la parzialità, la frammentarietà di tutte le costruzioni intellettuali, così care agli esseri umani, e rifiuta i due termini di ogni dilemma — non si può dire né che ci sia stato un creatore né che non ci sia stato, non si può dire né che il Tao esista né che non esista.
Il compito del saggio non
è di produrre quei pacchetti lucidi e maneggevoli che sono le idee.
Sopra a ciascuno di esse, sopra ogni precetto, intenzione e morale,
egli apre un punto di vista simile a quello di un romanziere, un
punto di vista distante, assente e vuoto, unico e primordiale — il
Tao che illumina tutte le contraddizioni del mondo.
Gli uomini guardano: guardano senza fine, e commentano quello che vedono, con un chiacchiericcio insaziabile, che annoia moltissimo Lieh-tzu. Egli ribadisce che chi si conforma al Tao non si serve né di orecchie né di occhi, né di forma né di mente. È inappropriato volersi conformare al Tao e cercarlo per mezzo della vista, dell’udito, della forma e della sapienza. Il vero taoista possiede una vista superiore: osserva tutto ciò che è inosservabile, impercettibile, addirittura inesistente, e lo trascrive nella sua mente vuota.
Quando deve rivelare ciò
che ha visto e agire di conseguenza, obbedisce a un famoso aforisma:
«il modo sommo di parlare è evitare di parlare, il modo sommo di
agire è non agire». La lingua suprema è il silenzio. «Chi ha
raggiunto la propria meta non parla, chi ha progredito nella sapienza
non parla. Parlare con il silenzio è anch’esso parlare, conoscere
con l’ignoranza è anch’esso conoscere».
Molti filosofi razionalisti dell’epoca di Lieh-tzu e dei nostri tempi derisero questa mistica fondata sul silenzio, che permeò profondamente l’anima femminile della Cina. Ma i saggi taoisti osservarono che non vi è alcuna speranza di raggiungere, per mezzo dello sguardo e della parola, l’armonia con gli altri esseri umani e con le creature della natura. Solo la mente vuota permette le silenziose corrispondenze tra i cuori. «Colui che è nell’armonia vive in perfetta comunanza con le creature, e queste non sono in grado di nuocergli e di ostacolarlo. Egli può passare attraverso il metallo e la pietra e camminare nell’acqua e nel fuoco».
Il Corriere della sera –
31 maggio 2014
Il cavo e il vuoto
UTET, 2014