28 maggio 2014

ULTIMA SPIAGGIA








Europee 2014. Il record elettorale del Pd non è una vittoria sul populismo, Renzi non è meno populista di Grillo. E i voti per Syriza sono una spinta per coltivare il nucleo nascente di un’alternativa.


Ultima spiaggia

di Guido Viale   
La ridu­zione della com­pe­ti­zione per le ele­zioni euro­pee a un match fron­tale tra due icone vuote di con­te­nuti quanto piene di inva­dente pre­sen­zia­li­smo ha pre­miato Renzi e punito Grillo. Ma a per­dere sono stati gli ita­liani o, meglio, ha perso la demo­cra­zia. Per­ché la riforma elet­to­rale, quella del Senato o l’abolizione delle Pro­vince volute da Renzi non fanno che ridurne pro­gres­si­va­mente il campo di applicazione.
Ha perso il plu­ra­li­smo: ora c’è un uomo solo al comando di un par­tito, del governo, arbi­tro, anche, dei destini dello Stato; e gli altri par­titi, satel­liti o com­pri­mari, sono in via di spa­ri­zione, né hanno molte ragioni per con­ti­nuare ad esi­stere. E ha perso, ren­dendo sem­pre meno sin­da­ca­bili le scelte del “pre­mier”, la pro­spet­tiva di un vero cam­bia­mento: il qua­dro euro­peo in cui il Pd si inse­ri­sce e di cui sarà un garante non con­sente cambi di rotta. E con tutte que­ste cose hanno perso i lavo­ra­tori, i disoc­cu­pati, i gio­vani, i pen­sio­nati; anche, e forse soprat­tutto, quelli che lo hanno votato.

Ma non si tratta, come sosten­gono molti com­men­ta­tori, di una vit­to­ria sul populismo. Renzi non è meno popu­li­sta di Grillo se per popu­li­smo si intende un richiamo iden­ti­ta­rio (le “riforme”, pre­sen­tate come inter­vento sal­vi­fico, senza spe­ci­fi­carne il con­te­nuto, e la “rot­ta­ma­zione” pre­sen­tata come pro­gramma) che fa aggio sui con­te­nuti spe­ci­fici delle misure pro­po­ste. Il pro­gramma di Grillo, se si eccet­tua la sua ambi­va­lenza di fondo sull’euro, che è ambi­va­lenza sul ruolo che può e deve avere l’Europa nel deter­mi­nare un cam­bio di rotta per tutti, era addi­rit­tura più con­creto di quello con cui Renzi ha affron­tato que­sta sca­denza elet­to­rale. Entrambi comun­que ave­vano gli occhi pun­tati sugli equi­li­bri interni al pol­laio ita­liano; la resa dei conti con le poli­ti­che euro­pee l’avevano riman­data a un inde­ter­mi­nato domani: euro­bond o uscita dall’euro per uno; ridi­scus­sione dei mar­gini del defi­cit per l’altro; nes­suno dei due sem­bra ren­dersi conto che la crisi euro­pea impone una revi­sione radi­cale del qua­dro isti­tu­zio­nale e delle stra­te­gie poli­ti­che, prima ancora che economiche.

Non è stata nem­meno, quindi, una vit­to­ria dell’europeismo con­tro l’antieuropeismo: se per Grillo il pro­blema è ine­si­stente — la sua “indi­pen­denza” da tutto e da tutti gli impe­di­sce di avere alleati e pro­spet­tive che vadano al di là delle Alpi e dei mari di casa, per Renzi è l’assoluta subal­ter­nità al patto tra Schulz e Mer­kel, ormai rati­fi­cato dall’esito elet­to­rale anche in Europa, che gli impe­di­sce di avere, se non a parole — ma di parole la sua poli­tica non manca mai — una visione delle misure, delle stra­te­gie e delle con­se­guenze di una vera rimessa in discus­sione dell’austerità. Quell’austerità che l’Europa la sta disin­te­grando (e i primi a pagarne le con­se­guenze saremo noi).



Meno che mai quella di Renzi è stata una vit­to­ria della spe­ranza con­tro il ran­core. Se nell’ultimo anno il Movi­mento 5S ha dato prova della sua sostan­ziale incon­clu­denza, dovuta al con­trollo fer­reo che i suoi due lea­der pre­ten­dono di eser­ci­tare sui qua­dri e sui par­la­men­tari, la moti­va­zione di fondo del voto a Renzi è stata un clima da “ultima spiag­gia”. Para­digma di que­sto atteg­gia­mento sono gli edi­to­riali su la Repub­blica di Euge­nio Scal­fari, che non approva pra­ti­ca­mente alcuna delle misure varate da Renzi e meno che mai i suoi pro­getti, ma che invita a votarlo lo stesso per­ché “non c’è alternativa”.
Così, se con que­ste ele­zioni la para­bola del M5S ha imboc­cato irre­vo­ca­bil­mente una curva discen­dente, men­tre Renzi sem­bra invece sulla cre­sta dell’onda — forse rag­giunta troppo in fretta per poter con­so­li­dare una posi­zione del genere — è il vuoto di pro­spet­tive e la man­canza di una pro­po­sta di respiro stra­te­gico per rifor­mare l’Europa a con­dan­narlo a sgon­fiarsi altret­tanto rapi­da­mente. Il che suc­ce­derà ine­vi­ta­bil­mente — pen­sate alla para­bola di Monti! — non appena Renzi dovrà fare i conti con quella gover­nance che forse imma­gina di riu­scire a con­qui­stare con la stessa faci­lità, super­fi­cia­lità e disin­vol­tura con cui si è impa­dro­nito, gli uni dopo le altre, di pri­ma­rie, par­tito, governo ed elet­to­rato. Ma là, invece, c’è la “scorza dura” dell’alta finanza che Renzi non si è mai nem­meno sognato di voler intac­care, ma che non è certo dispo­sta a con­ce­der­gli qual­cosa che vada al di là di un soste­gno for­male e sim­bo­lico (un po’ di spread in meno, forse; e solo per un po’).

Ma come Grillo sta lasciando die­tro di sé, in modo forse irre­ver­si­bile, per­ché non facile da pro­sciu­gare, un mare di mace­rie (la poli­tica tra­sfor­mata in per­nac­chia, come Ber­lu­sconi l’aveva, prima di lui, e apren­do­gli la strada, tra­sfor­mata in bar­zel­letta e licenza), così anche Renzi lascerà die­tro la sua pros­sima quanto ine­vi­ta­bile para­bola, altri danni irre­ver­si­bili. Danni alla demo­cra­zia e alla costi­tu­zione; al diritto del lavoro e alle con­di­zioni dei lavo­ra­tori, pre­cari e non (se ancora ce ne sono); alla scuola, alla sanità, al wel­fare, alle auto­no­mie locali (che da sin­daco non ha mai difeso dal patto di sta­bi­lità); a quel che resta della mac­china dello Stato, sman­tel­lan­done i capi­saldi in nome del rispar­mio e dell’efficienza; al sistema delle imprese e dei ser­vizi pub­blici, messi in sven­dita per fare cassa; e, soprat­tutto, danni alla tenuta morale della cit­ta­di­nanza, messa per la terza o la quarta volta alla prova di una poli­tica fon­data sulle apparenze.

"L'altra Europa con Tsipras" rappresenta un piccolo ma importante episodio di resistenza. Di fronte a que­sto pano­rama, di cui l’elettorato non potrà evi­tare di pren­dere atto in tempi stretti, i risul­tati della lista “L’altra Europa con Tsi­pras” rap­pre­sen­tano un pic­colo ma impor­tante epi­so­dio di resi­stenza; per­ché in quella lista, e in nessun’altra pro­po­sta di livello nazio­nale ed euro­peo, è con­te­nuto il nucleo di un’alternativa pos­si­bile e pra­ti­ca­bile alla per­pe­tra­zione di poli­ti­che desti­nate a por­tare allo sfa­scio l’intero con­ti­nente, Ger­ma­nia com­presa.

Cer­ta­mente i nostri numeri non sono esal­tanti, anche se lo sono quelli di alcuni dei nostri part­ner euro­pei. Però sono il frutto di un lavoro di con­qui­sta, voto per voto, con­senso per con­senso, impe­gno per impe­gno, che ha coin­volto migliaia di com­pa­gni e di soste­ni­tori delle più diverse pro­ve­nienze, che non ave­vano certo come obiet­tivo finale o esclu­sivo il risul­tato elet­to­rale. Ma che pro­prio spe­ri­men­tando, almeno in parte, e non senza molte con­trad­di­zioni, forme nuove, o pro­fon­da­mente rin­no­vate, di con­di­vi­sione e di coe­sione, fon­date su nuove pra­ti­che, sono ben deter­mi­nati ad andare avanti lungo la strada appena intra­presa. E non cia­scuno per conto suo, o facendo ricorso alle pro­prie appar­te­nenze, ma tutti insieme, apren­dosi a quel mondo di delusi, di arrab­biati, di abban­do­nati, di incerti che la crisi del M5S e il muta­mento antro­po­lo­gico del Par­tito Demo­cra­tico si stanno lasciando, e con­ti­nue­ranno a lasciarsi, die­tro le spalle.
In que­sta pic­cola affer­ma­zione i voti di pre­fe­renza rac­colti da due capo­li­sta come Bar­bara Spi­nelli e Moni Ova­dia, che hanno messo il loro nome, la loro fac­cia e un mare di fatica a dispo­si­zione del pro­getto per rap­pre­sen­tarne il carat­tere uni­ta­rio, sono una impor­tante dimo­stra­zione di quella spinta a un radi­cale rin­no­va­mento delle pro­prie iden­tità che fin dall’inizio è stata la cifra della nostra intrapresa.

In pochi anni, sotto la guida di Ale­xis Tsi­pras, Syriza, da pic­cola aggre­ga­zione di iden­tità dif­fe­renti si è fatta par­tito di governo. Dun­que, si può fare. Se abbiamo messo quel nome nel sim­bolo della nostra lista non è per caso.
Il manifesto, 28 maggio 2014

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