18 maggio 2014

1799





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“A cagione de’ tumultuosi disordini consumati nelle ultime settimane sulle piazze e nei quartieri della città si fa solerte affidamento ai Signori Uffiziali di Polizia Giudiziaria di volere e dare per inteso di trasferire in seconda istanza avvenimenti delittuosi che pure avessero a notarsi”…
     Dal “Monitore” al monito, dalla franchezza ossessiva alla sottigliezza infìda! In fondo, che poteva mai suggerire il barone Acton, capo della polizia del Re, se non di lasciar perdere assassìni e ladri per consentire a chi di dovere la restaurazione del sovrano?
     I tumultuosi disordini si stanno tuttora consumando a Porta Sant’Eligio e a ridosso dei fondaci ma avvenimenti meno éclatants, come avrebbe detto Championnet fino a sei mesi fa, si susseguono nell’indifferenza generale un po’ dovunque e i morti che vengono giustiziati sulle forche sono soltanto più famosi o politicamente necessari, secondo i casi, di quelli che vengono trovati abbandonati nei cantoni del porto o nei decumani della Vicaria. Un “uffiziale” di polizia, solerte e giusto, come vuole il barone Acton, non va a impegolarsi in indagini fumose e indesiderate ma Gaetano Gnarro non ha nulla da perdere, né dal barone né dal re, né dal passato regime né da quello che verrà.  Quando l’hanno chiamato, alle due di notte di ieri, 18 agosto, era già successo tutto a Largo Ecce Homo: un carretto della frutta era rovesciato sul selciato, la porta di un basso era stata trovata spalancata e scassinata, una macchia di sangue grande come un pastrano indicava ovviamente il punto nel quale era stato commesso l’assassinio, ma dell’assassino non c’erano tracce e, soprattutto, mancava quel corpo che, ferito a morte, aveva procurato dissanguandosi quella pozzanghera nerastra.
     Non è facile, di questi tempi, assicurare alla giustizia lazzaroni e farabutti – “Colpa della politica”, come sostiene Ceriello, caporale della sezione – ma diventa addirittura impossibile – e la politica non c’entra – scoprire gli autori di un crimine quando manca il corpo del reato. “Per me hanno ammazzato un cane o un porco, forse più un porco” ma Gnarro non considera le sortite dispersive di Ceriello: non sa da dove cominciare, è vero, ma sa, ha capito, si illude di poter trovare quel corpo di donna prima o poi. Già, è convinto che si tratti del corpo di una donna, giovane per giunta, e le convinzioni hanno spesso una sola virtù: quella di essere insostenibili quanto accattivanti.
     Per suffragare le sue tesi indimostrabili con qualche riscontro di sostanza, ma anche per distaccarsi dal clima che si respira in città da stamattina – si parla di un’esecuzione eccezionale a Piazza Mercato – Gnarro ha interrogato i bottegai e le serve di Largo Ecce Homo e ne ha ottenuto indicazioni vaghe e contraddittorie. Sembra che un tipaccio, un certo Ruggiero Rallo, che lavora occasionalmente ai Banchi Nuovi come facchino, abbia la fama di uomo violento con le donne che si porta in quel basso ma, confermato da tutti, quel basso non è di nessuno, nel senso che ognuno lo occupa per il tempo che crede e per farci ciò che più gli è comodo. Oltre tutto, Ruggiero Rallo è stato trovato a letto, a casa della madre, in un supportico ai Vergini, con una spalla perforata dal gancio di un argano, che gli era caduto addosso mentre lavorava allo spostamento di una statua nella chiesa del Gesù.
     A giudicare dalla macchia di sangue, la donna morta non solo è scomparsa, ma sembra addirittura svanita. Gnarro, infatti, non ha trovato tracce di trascinamento, gocciolii che portassero a qualche direzione, pietre imbrattate di sangue che di solito lasciano intendere di un movimento più che di un altro, oppure di una pausa o di una fretta improvvisa e imprevista che abbia modificato un percorso, un’intenzione, una via di fuga. Niente, c’è solo quella macchia di sangue che ormai si è rassodato e scurito come una fetta di fegato e alla luce del sole, mentre si fa mezzogiorno, quella pozzanghera sembra un fosso nel selciato, un pozzo, una botola aperta sul nero.
     “Tu che hai sentito l’altra notte?” chiede Gnarro a una servetta di vico Donnalbina ma la ragazza – che rincasava a quell’ora per una commissione dei suoi padroni – non gli fornisce risposte illuminanti, era troppo occupata a tenere ben lontano da sé il pacco di carta oleata che gli aveva confezionato il salassatore, per cui il timore di poter essere attaccata dalle sanguisughe non le aveva fatto sentire nulla, tranne… “Che cosa?” e la ragazza dice di aver udito, o che le è sembrato di udire, il rantolo di una donna anziana, come la sua padrona per esempio, quando viene presa dall’asma e bisogna ricorrere al salasso. Il particolare della donna anziana fa propendere Ceriello per la pista buona e per screditare così la pomposa intuizione di Gnarro sulla donna di giovane età, ma Gnarro non si lascia convincere, si sbottona il colletto della camicia e minaccia la ragazza di portarla in galera se non dice tutta la verità. La ragazza non ha bisogno di essere minacciata, non ha nessuna verità da dire e inveisce contro l’ufficiale di polizia con la volgarità che di solito si meritano gli sbirri da sei mesi a questa parte.
     Dai venditori di frutta e verdura non ricava nulla di interessante: il carretto rovesciato “è di uno”, così dicono, di uno qualsiasi, quindi non appartiene a nessuno: viene di volta in volta preso, usato e lasciato davanti a quel basso che, come si è visto, appartiene un po’ a tutti. Si capisce, a questo punto, che Gnarro deve avere un’idea ben precisa in testa: non si corre dietro a un delitto senza assassino, senza scopo e senza vittima, solo per formalità. Gnarro deve sapere molto di più di quanto dà a intendere, soprattutto a se stesso e non si tratta solo di mestiere o abitudine; deve trattarsi di qualcosa di più importante, di diverso rispetto all’abitudine e al mestiere. Sarà il cambiamento politico?  Quest’ondata di esecuzioni che sta travolgendo e dissanguando la città? Questo caldo di agosto così stranamente pacato e primaverile? Che cosa illumina e conforta il fiuto, la pazienza e la tenacia di un ufficiale di polizia come Gaetano Gnarro che non ha molto da chiedere ai suoi cinquantasette anni?
     Le informazioni raccolte, anche se frammentarie e talora discordanti, inducono a considerare il delitto di Ecce Homo come uno dei tanti episodi di malavita corrente. Ammesso che a morire sia stata una donna e che quel tale Ruggiero Rallo si sia conficcato da solo l’uncino nella spalla, resta da chiarire perché sia stata montata questa farsa, da parte di Rallo, e, soprattutto, dove sia stato occultato o gettato il cadavere della giovane vittima, sempre che sia stata giovane e di sesso femminile… Tocca andare a casa di questo Ruggiero, ai Vergini, tuffarsi nei profumi che i tigli di quel quartiere emanano e assaporare l’incedere della sera con i suoi colori tenui e, come per incanto, saperne di più, di tutta questa storia.
     Lo accoglie sulla porta la madre di Ruggiero e gli dice che il figlio sta di là, sul balcone, a prendere un po’ di fresco. Gnarro s’aspettava la solita lamentazione di una madre – che il figlio è innocente, che è stato rovinato dagli amici – e invece questa vecchia donna dai capelli ben ordinati in una crocchia bianca non batte ciglio, non indulge, non supplica; si pulisce le mani con uno strofinaccio, apre la porta della stanza e se ne torna dov’era, a sbucciare melanzane, allineandole sul tavolo come pani da infornare.
     Ruggiero sta seduto al balcone e guarda la folla dei Vergini che si accalca intorno a una carrozza che porta alla forca giacobini e sovversivi dell’ordine reale. Gnarro si avvicina al davanzale, osserva il clamore della piazza, poi si siede accanto a Ruggiero e gli chiede seraficamente dove ha nascosto il cadavere. Ruggiero è degno figlio di quella donna: non prende tempo a rispondere, non ammicca, non divaga, offre a Gnarro acqua e anice e dice che dalle parti di Ecce Homo non ci porta una donna da almeno sei mesi, da quando i giacobini stanno al posto del re.
     “E chi ti ha detto che si tratta di una donna?”
     “L’avete detto voi.”
     “No, io ho parlato di un morto.”
     “Maschio o femmina, se è morto, sempre morto resta.”

     Come tutti gli uomini che svolgono lavori pesanti, anche Ruggiero Rallo è una specie di armadio: alto, muscoloso, ben piantato sulle gambe, con le spalle larghe e… e guarite, sì, non ha segni di ferite o di bende. “E la spalla non ti fa più male?” ma la domanda di Gnarro non sorprende Ruggiero; dice che non gli ha fatto mai male, che quell’argano l’aveva colpito solo di striscio e che qualcuno aveva ingigantito la cosa per tirarci un po’ di soldi dai preti del Gesù.
     “E chi ti ha consigliato di fingere?”
     “Queste cose le fanno bene le femmine.”
     “Quella che hai ammazzato?!”
     “Io non sono uno che va uccidendo la gente.”
     “Tu sei uno che la gente la fa scomparire.”

     “E dove?” e si guarda intorno, indicando la stanza, lo squarcio della saletta e il profilo della madre che conserva in un cesto le bucce delle melanzane per cavarne, come si usa, un’essenza profumata.
     Già, l’avrebbe uccisa a Ecce Homo per portarla poi a casa della madre, ai Vergini, e nasconderla da qualche parte, senza essere visto, notato, tradito… Gnarro osserva la stanza, il balcone, il soffitto, come alla ricerca di un passaggio, di un doppio fondo ma non trova niente che possa far pensare a un nascondiglio. Si guardano senza parlarsi e senza aspettarsi né rivelazioni né accuse, come se sapessero entrambi di essere reciprocamente debitori di niente. Ma una differenza c’è: se Ruggiero può tranquillamente aspettare le mosse dello sbirro, la pazienza di Gnarro è invece scoperta, finalizzata a un risultato che al momento l’ufficiale superiore ha solo intuito, o per meglio dire ha solo accarezzato, ma che risulta in ogni caso o troppo grande o troppo complesso per l’indagine in corso. D’altra parte, convinto com’è che si tratti di una donna e che sia Ruggiero l’assassino più probabile, Gnarro deve fare i conti con quello che gli presenta la realtà: il corpo della donna non c’è e l’assassino non si dimostra né turbato né confuso. E allora?
     “Io ti metto una guardia giù al palazzo”
     “Ma le guardie non vi servono per la rivoluzione?!”
     “Queste sono le mie guardie.”

     Le sue guardie… è una frase buttata lì, si capisce, per sorprendere, per spaventare, ma un fondo di verità c’è, come sempre accade quando ci si lascia andare a un impulso. Gaetano Gnarro è un ‘servitore di due padroni’ per dirla con Goldoni: è stato ufficiale superiore con i Borboni e con la Repubblica e non ha sofferto, come altri sbirri, quarantene o destituzione, forse perché è stato sempre equo e discreto, il che farebbe pensare tanto ad una qualità che ad una deficienza, ad un calcolo o una deprecabile mediocrità. Non c’è molto da fare qui da Ruggiero: il facchino sembra protetto dalla reticenza di altri più che dalla sua doppiezza, tanto vale lasciargli credere di essere sottoposto ad una vigilanza particolare e personale e di sentirsi più o meno in trappola. Quando Gnarro se ne va le melanzane della madre di Ruggiero si sono un po’ annerite.
     Ed eccolo per Via Foria ansimare in salita: a cosa sta pensando, Gaetano Gnarro? Riuscirà davvero a incolpare Ruggiero Rallo della morte di quella giovane donna? Riuscirà, in qualche modo, a dimostrare che la sua convinzione, il suo intuito, o semplicemente la sua idea fissa avevano un capo e una coda, un inizio e una fine? Probabilmente non se le pone neppure, queste domande; ci gira intorno, è chiaro, ma per pudore non se le dice, non le pronuncia, le lascia appese tra le sensazioni che sta vivendo dall’inizio di giugno, da quando l’esercito del cardinale Ruffo ha, per così dire, “arruffato” di nuovo la città. Se ne va solitario nel caldo serale che si stempera un poco e non ha altre mete se non Largo Ecce Homo, quella pozzanghera di sangue, il segno inattingibile di un delitto. Poi, giunto nei pressi dello Spirito Santo, sballottato da gruppi variopinti di sanfedisti alla ricerca di giacobini traditori, si ferma a considerare la successione di quello che avrebbe dovuto essere l’omicidio della giovane donna.
     Il resoconto è lucido e ordinato, contrariamente a quanto accade intorno, con i lazzari che issano sui pennoni teste di cartapesta con il cappello frigio. Ruggiero Rallo porta in quel basso la sua amante, richiude la porta dall’interno e prepara un giaciglio sul carretto della frutta: si spoglia, sta per spogliare anche la donna ma ne ottiene un rifiuto.  Probabilmente la donna ha chiesto questo incontro per chiarire il loro rapporto, forse per troncarlo. Ruggiero, però, non ha intenzione di parlare, se stanno lì non è per discutere e quindi non l’ascolta; la stende sul carretto, la tiene ferma con una mano alla gola e con l’altra instrada il suo… Il resoconto si ferma all’improvviso, si fa opaco, si blocca. Gnarro si asciuga il sudore che gli cola dalla fronte e deve respirare a pieni polmoni, anche il battito del cuore dev’essere aiutato a vibrare con naturalezza e lo sguardo cerca, come disorientato, un’immagine, un volto, un simbolo che non siano quelli di scalmanati sanguinari, di facce urlanti, di uomini e donne che inneggiano ambiguamente alla Virtù e all’Onore.
     Quando arriva sul luogo del delitto è sera inoltrata e una brezza leggera gli ha restituito un po’ di sollievo: il resoconto è ancora fermo alla scena dell’accoppiamento ma è un po’ più docile la sensazione di disgusto che l’aveva di fatto interrotto. È davvero strano che un uomo come Gnarro, abituato alle crudeltà più atroci, abbia questo rispetto così decoroso per un assassinio come questo, uguale a tanti altri, a tutti gli altri. Forse ha trovato le indicazioni giuste per accusare Ruggiero o forse quel rispetto e quel decoro, improvvisi e imprevedibili, sono l’esito di un sentimento che di solito stenta a ricrearsi negli uomini cinici o delusi: la pietà, la compassione.
     Gnarro trova tutto come l’aveva lasciato: costeggia la macchia di sangue, passa di lato accanto al carretto e spalanca la porta del basso lentamente come aprendo la tela di un sipario. Osserva con attenzione le cose che solo in quel momento sembrano saltargli agli occhi con il loro giusto peso, nel loro senso intrinseco. Trova una ciocca di capelli di donna, di un rosso rame; trova un brandello di stoffa, sicuramente del corpetto che indossava la giovane donna; trova l’anello di ottone di un fodero per pugnale e trova infine il pugnale usato per uccidere Agnese Micca…
     “Chi va là?! Fatti riconoscere! Chi sei? Che ci fai qua?”
     “Sono un ufficiale della Guardia.”
     “Ah, della Guardia. E quale Guardia? Quella del Re o sei un…”
     “Sono un ufficiale superiore. Sono Gaetano Gnarro.”
     “E se invece sei un giacobino?!”

     A cacciarlo fuori dai guai interviene provvidenzialmente Ceriello che non si lascia irritare dal sanfedista ottuso: gli spiega con modi falsi e cerimoniosi che quel “poverocristo” è davvero un ufficiale superiore e che si trova in quel basso perché comandato dal barone Acton in persona a svolgere attività di repressione patriottica. Il sanfedista si sente lusingato dal racconto puntiglioso di Ceriello, ma soprattutto dal fatto che quell’uomo di mezza età, dal portamento cadente, dal volto flaccido e dai capelli radi non era altro che un poverocristo e, come tale, inoffensivo e patetico. Il ragazzo chiama a raccolta la soldataglia che lo accompagnava e si allontana sprezzante e tronfio.
     “Abbiamo trovato una donna ammazzata, accoltellata…”
     “Dove?”
     “Vicino al Chiostro di Santa Chiara.”
     “Aveva i capelli rossi e non portava il corpetto.”
     “Sì, era quasi nuda, una bella femmina, giovane…”
     “Molto giovane. Forse per questo è morta.”
     “Voi l’avevate capito dal primo momento.”
     “Si chiamava Agnese Micca…”
     “Sapevate anche questo?!”
     “Tu, il nome di tua moglie, te lo scordi?”
     “Mia mo… Volete dire che quella donna era vostra…”
     “Ti ho trovato pure l’arma dell’assassino.”
     “Mamma del Carmine…”
     “È un pugnale di valore, ci sono due lettere incise.”
     “Una doppia Gi…”
     “Lo tenevo a casa,al sicuro.”

     Lo stupore e la sorpresa di Ceriello lo fanno somigliare a quella statuina del presepe che viene chiamata “il pastore della meraviglia”: con gli occhi smarriti nel vuoto, le mani e le braccia aperte come per contenere lo sbigottimento, la bocca spalancata per rendere comprensibile la muta ammirazione di un prodigio.
     “Devo andare a Piazza Mercato. C’è un’esecuzione, domani.”
     “Ma allora… chi è stato?”

     Già, spetta all’ufficiale superiore sciogliere l’intrigo, dipanare la matassa, come si dice. Che cosa può arguire il povero Ceriello, uno dei tanti caporali che vengono comandati per i lavori più odiosi e più umilianti, anche se necessari? Che cosa ne tirerebbe fuori un caporale che di solito raccoglie le confidenze di ladruncoli o prostitute, che sollecita con qualche soldo le vendette di guappi decaduti o decadenti? Direbbe che sono cose che capitano, argomenterebbe sulla mutevolezza e varietà dell’animo umano, insomma non ne verrebbe a capo, o non vorrebbe tirarne una conclusione unica e definitiva. E Gnarro, invece? Come spiegherà lo svolgimento e i risultati dell’indagine? Quali verifiche presenterà per giustificare la successione dei fatti sui quali depone e attestarne pertanto la veridicità? Ma, innanzi tutto, a chi dovrebbe presentare questo rendiconto? A quale autorità? A quelle che sono giustiziate sulle piazze, nei cortili, davanti ai conventi oppure a quelle che si dànno da fare per imbandire le piazze, approntare i cortili e schiudere i conventi? Ci sarebbe un’altra autorità, ovviamente: quella morale, quella personale o culturale, che è di sicuro la più affidabile di questi tempi, ma sarà sul serio contattata, interrogata e richiamata ad agire, a giudicare, eventualmente a punire?
     Gnarro non va a Piazza Mercato, ritorna su ai Vergini, sotto il balcone di Ruggiero Rallo, come se dovesse cantargli una serenata. Ruggiero è ancora lì, seduto a fissare la calma momentanea di questa notte nel buio che ammanta il quartiere e che è rotto solo dai deboli fanali del supportico. Ruggiero non può vedere Gnarro ma sa che è lì, sa che si dovranno affrontare prima o poi, che dovranno dirsi certe cose apertamente, senza sotterfugi come hanno fatto finora, anche se, dopo la morte di Agnese Micca, c’è davvero ben poco da aggiungere.
     Un’ombra si muove sullo sfondo e viene avanti rischiarandosi nel buio, aiutandosi con la fiammella tremula di un lumino: è la madre di Ruggiero che cerca a tentoni l’ospite incerto e furtivo.
     “Ruggiero mi ha detto di chiedervi se volete salire.”
     “No, non voglio salire.”
     “È preoccupato, l’ho capito subito. È per il fatto della chiesa?”
     “No, è un altro fatto.”
     “Ma dovete portarlo da qualche parte?”
     “È lui che mi ha portato da un’altra parte.”
     “Non vi capisco.”
     “Non tocca a voi capire.”
     “Davvero non volete salire? C’è ancora acqua e anice…”
     “Non è il momento.”
     “Allora vi saluto, ma… posso stare tranquilla per Ruggiero?”

     Gnarro non risponde e fa intendere che non risponderà; la donna dalla crocchia bianca annuisce come chi si illude di aver capito, torna sui suoi passi e scompare nel buio. Sul balcone l’ombra di Ruggiero si staglia immobile eppure vivida, come una statua di legno, una presenza innocua ma inquietante.
     “Sapevo che eravate qua.”
     “Sei bravo, Ceriello. Diventerai sergente, te lo meriti.”
     “Il vostro posto non è questo, voi siete un ufficiale superiore.”

     E come ufficiale superiore Gaetano Gnarro deve dar conto innanzi tutto a se stesso delle sue azioni e dei suoi metodi ma a quest’ora di notte, mentre si preparano i festeggiamenti di domani a Piazza Mercato per l’esecuzione capitale del Principe di Cassano e di Eleonora Pimentel, a quest’ora di notte, di questa notte, Gnarro ha bisogno di qualcuno che lo ascolti, che riesca a dividere e a interpretare l’aspetto personale, di vita comune, da quello pubblico, per non dire giudiziario. Ceriello ha presagito che quella è una confessione ma non si sente né risollevato né appagato: non se l’aspettava ma vorrebbe tanto risparmiarsi il seguito, quelle conclusioni ovvie e purtroppo ineluttabili che ogni delitto prepara e rivela.
     “L’ho seguita quando è uscita di casa, fino a quel basso…” Comincia così il resoconto di Gnarro, il racconto stavolta autentico e integro della morte di sua moglie. Il tono è fermo, la parlata è piana, l’emozione è contenuta: non ci sono giustificazioni o moventi nella sua confessione, c’è piuttosto un’analisi spietata di se stesso, del tipo di vita che ha svolto, della notevole differenza di età che li divideva e che, in fondo, un tradimento se lo aspettava ma si riteneva fortunato o immune perché, dice, “le ho sempre voluto molto bene”. Ma il bene non è bastato, né a lei che cercava un altro tipo d’uomo, né a lui che non ha avuto pietà.
     “E l’avete uccisa così?” chiede Ceriello frenando a stento una sensazione di disagio e di malessere. Sì, l’ha uccisa così: quando la vide distesa sul carretto, con le gambe aperte, pronta a ricevere il suo amante: “ho spinto lui da un lato, l’ho fatto cadere, poi mi sono girato verso di lei che mi guardava spaventata ma non si immaginava quello che mi passava per la testa, ho tirato fuori il pugnale e ho colpito, non so quante volte ho colpito, ma era già senza vita”. Ceriello non osa chiedere altro ma spetta a Gnarro concludere il racconto: “Quello che è successo dopo non lo so, so che me ne sono andato, che lui mi chiedeva cosa fare, che non si poteva lasciare Agnese così.”
     “Allora è stato lui, Ruggiero, a portarsela via?”
     “Questo lo devi appurare tu.”
     “Ma perché l’ha lasciata in mezzo alla strada?!”
     “E io dove l’avevo lasciata?”
     “Forse non ce la faceva a trasportarla, oppure l’hanno scoperto, l’avranno scambiato per qualcuno del cardinale, in ogni caso è stata una carogna…”
     “Certo, come no!” sta pensando Gaetano Gnarro: è stato davvero una carogna Ruggiero Rallo a non trovare una decorosa sepoltura alla donna che amava, l’ha abbandonata sulla strada tra le immondizie, i topi, i sanfedisti che saccheggiano e uccidono. Che coraggio, che cuore! Che uomo è uno che si comporta così?
     “Vostra moglie, ora, starà al camposanto, nella fossa comune.”
     “Lo so.”
     “E lui, Ruggiero, che dice?”
     “Ruggiero se la ricorda e non dice niente.”
     “Ma voi che cosa mi consigliate? Che provvedimenti devo prendere con questo facchino?”
     “Non è con lui che devi fare il tuo dovere, non è con lui.”
     “E adesso dove andate?”
     E stavolta Ceriello non ottiene risposte: Gnarro si allontana di qualche passo, poi si ferma, si lascia cadere sui gradini di un portone, incrocia le mani in grembo, guarda davanti a sé il nulla e attende che il suo caporale adempia fino in fondo al suo dovere.


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Antonio Scavone, 1799
Tratto da Albo Noir, Napoli, Lo Stagno Incantato, 1999)
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