Per secoli il venerdì
santo si pregava per i «perfidi» ebrei. La parola indicava gli
infedeli, ma fece comodo l'ambiguità. Un libro ricostruisce il
tentativo negli anni '30 di un filologo tedesco di attenuare la
deriva antisemita in parallelo al delirio antiebraico di Papini, da
poco convertitosi al cattolicesimo.
Sergio Luzzatto
La radice dell'antisemitismo
Germania, agosto 1935. Entro l'idilliaco paesaggio alto-danubiano di Beuron, nel Baden, un oscuro professore di teologia sta profittando delle vacanze estive per studiare nella ricca biblioteca della locale abbazia benedettina. Erik Peterson (questo il nome del teologo) si era recentemente convertito dall'evangelismo al cattolicesimo e si era trasferito a Roma, dove tuttavia faticava a mantenere la famiglia. Per arrotondare il bilancio, proprio alla biblioteca dei benedettini tedeschi il professore esperto di patristica aveva accettato di vendere una parte dei suoi libri.
E adesso - mentre il
Reich hitleriano si prepara a promulgare le leggi antisemite di
Norimberga - Peterson sta studiando un tema altrettanto erudito che
attuale: il tema della «giudaica perfidia» nella liturgia
cristiana del Venerdì Santo.
Da più di mille anni il programma
liturgico della settimana pasquale comprendeva l'orazione Pro
perfidis Judaeis. E da almeno cento anni la stigmatizzazione
cristiana del popolo ebraico si era caricata, oltreché dell'antica
sua connotazione teologica (il popolo ebraico come popolo eretico,
perché incapace di riconoscere l'avvento del Messia), di moderne
connotazioni morali, politiche, sociali: il popolo ebraico come
popolo pericoloso, perché corrotto dal vile denaro e impaziente di
dominio mondiale.
Di contro a una deriva
antisemita che precisamente nella Germania del Terzo Reich si va
rivelando esplosiva, Erik Peterson non può maneggiare altro che le
piccole armi della filologia storica per cercare, in qualche modo,
di evitare l'irreparabile.
Da quella stessa abbazia benedettina di
Beuron era partita verso il Vaticano, due anni prima, una forte
lettera di denuncia dell'antisemitismo nazista.
Erik Peterson |
L'aveva scritta
un'insegnante tedesca coetanea di Peterson che dall'ebraismo si era
convertita al cattolicesimo, ma che non per questo sarebbe stata
risparmiata dalla Soluzione finale: Edith Stein, futura suora
carmelitana e futura santa. Per parte sua, il professor Peterson
getta nella biblioteca di Beuron le basi di una ricerca, Perfidia
judaica, che pubblicherà sulla rivista «Ephemerides liturgicae»
nel 1936 e che finirà per pesare significativamente - ma soltanto
dopo la distruzione degli ebrei d'Europa - nella storia della
liturgia del Venerdì Santo.
Muovendo da un'ampia
raccolta di testi antichi e medievali, Peterson argomentava come
l'aggettivo latino perfidus fosse stato erroneamente interpretato,
per secoli e secoli, nell'accezione di «perfido», mentre avrebbe
dovuto essere tradotto nell'accezione di «infedele». Con
l'orazione Pro perfidis Judaeis i cristiani del Medioevo non avevano
inteso accusare gli ebrei di tralignamento morale: avevano inteso
sottolinearne, semplicemente, la mancanza di fede (tanto è vero che
il termine latino perfidia era stato da loro applicato anche a
pagani, eretici, scismatici).
Per il Peterson del 1935
si trattava dunque di incoraggiare la Chiesa affinché nei
cosiddetti messalini, i libretti diffusi tra i fedeli e contenenti
la traduzione dei testi liturgici nelle diverse lingue volgari, non
si pregasse più per gli ebrei «perfidi» ma semmai per gli ebrei
«increduli».
Italia, agosto 1935.
Entro l'idilliaco paesaggio appenninico di Pieve S. Stefano,
nell'Aretino, il più celebrato fra gli scrittori cattolici italiani
- Giovanni Papini, autore nel 1921, da neo-convertito, della
fragorosa Storia di Cristo - congeda il manoscritto di un racconto
da pubblicare sulla rivista fiorentina «Il Frontespizio». Racconto
intitolato La leggenda del gran
rabbino e fondato sul dialogo tra un immaginario gran rabbino della
diaspora, Sabbatai ben Shalom, e un altrettanto immaginario papa
Celestino VI. Dove il rabbino offre al papa una conversione di massa
degli ebrei al cattolicesimo, ma in cambio gli chiede la
cancellazione dalla liturgia della Pasqua di qualunque riferimento
al popolo ebraico come al popolo deicida. E dove, dietro il rifiuto
del papa, il rabbino propone un nuovo, inaccettabile patto: in
cambio della riforma del rito pasquale, il versamento alla Santa
Sede di tutte le ricchezze accumulate nel mondo dagli ebrei...
Il racconto di Papini
era impregnato degli stereotipi antisemiti che già avevano
riempito, nel 1921, le pagine del bestseller Storia di Cristo. Né
gli anni intercorsi dal momento della conversione né i drammatici
effetti dell'avvento di Hitler al potere in Germania avevano placato
i furori del neofita.
Evidentemente, Papini si
riconosceva ancora nella rappresentazione degli ebrei sul Golgota da
lui consegnata alla Storia di Cristo: «Guardateli dunque, ancora
una volta, quelli che ridono intorno alla croce dove Cristo è morso
dai dolori!». «Vedete come protendono i musi annusanti, i colli
nodosi, i nasi gobbi e uncinati, gli occhi predaci che sbucano dai
sopraccigli setolosi. Osservateli quanto sono orridi in quelle pose
spontanee d'implacata cainità. Contateli bene che ci son tutti,
eguali a quelli che conosciamo, fratelli di quelli che incontriamo
ogni giorno sulle nostre strade. Non manca nessuno».
Simultanee nel tempo,
antinomiche nello spirito, queste due esperienze intellettuali - la
ricerca filologica di Peterson sui testi liturgici, le variazioni
letterarie di Papini sulla corruttela giudaica - contengono l'alfa e
l'omega della vicenda ricostruita da Daniele Menozzi in un libro
pubblicato ora dal Mulino. «Giudaica perfidia» (Uno stereotipo
antisemita fra liturgia e storia, pagg. 248, € 22,00) è il primo
tentativo sistematico di rendere conto delle fortune e sfortune del
sintagma lungo cinque secoli di storia: dal Cinquecento ai giorni
nostri, dalla riforma del messale romano promulgata da Pio V
all'indomani del concilio di Trento alle misure di recupero di
quello stesso messale emanate da Benedetto XVI nel 2007.
Il libro di Menozzi
documenta, per l'appunto, la lunga durata di una polarità nella
vicenda storica del cattolicesimo moderno e contemporaneo. Da un
lato, i progressi di una sensibilità filosemita riconoscibile in
certi ambienti dell'Europa cattolica già alla fine del Settecento,
nell'età dei Lumi e della Rivoluzione. Dall'altro lato, la
resistenza di una sensibilità antisemita che a tutt'oggi dimora
negli ambienti integralisti e che percorre, su internet, le
autostrade digitali dell'odio.
Jacques Maritain |
Il seme gettato da
Erik Peterson a partire dalle sue ricerche nella biblioteca
benedettina di Beuron fu raccolto dalla Chiesa soltanto dopo la
tragedia della Shoah. Nel 1948, un vecchio amico di Peterson che
riusciva ascoltato nei Palazzi Apostolici - Jacques Maritain,
ambasciatore francese presso la Santa Sede - trasmise il saggio
pubblicato dal teologo tedesco nel 1936 al sostituto alla Segreteria
di Stato, Giovanni Battista Montini, richiamando la sua attenzione
sul «vero senso della parola perfidus nella liturgia».
E fu anche così che nel
corso stesso del '48 Pio XII si risolse ad accogliere una delibera
della Congregazione dei Riti secondo cui «non si disapprovava» la
traduzione di perfidus come «infedele». Il che schiuse la via alle
decisioni del successore di Pio XII sul trono petrino, Giovanni
XXIII. Fin dal primo suo Venerdì Santo quale pontefice, il 27 marzo
1959, papa Roncalli ripulì la liturgia pasquale sia dall'aggettivo
«perfidi» che dal sostantivo «perfidia».
Dopodiché, la riforma
ufficiale del messale latino venne formalmente sancita nel 1962.
Ma
anche la pianta annaffiata dalla sensibilità di cattolici come
Papini avrebbe trovato il modo di restare in vita nel secondo
Novecento, e fin dentro il terzo millennio. Ad esempio presso i
seguaci dell'arcivescovo tradizionalista francese Marcel Lefebvre,
per dialogare con i quali papa Ratzinger ha compiuto il gesto, nel
2007, di riaprire le porte della Chiesa al messale tridentino di Pio
V: sia pure in una versione depurata, senza più traccia di accuse
esplicite contro i «perfidi giudei».
Il Sole 24 ore – 25
maggio 2014
Daniele Menozzi
Giudaica perfidia
Uno stereotipo
antisemita fra liturgia e storia
il Mulino, 2014
€ 22,00
Segnalo alcuni commenti, relativi al tema in questione, ripresi da facebook:
RispondiElimina1. Scrive Alessandro Manzoni nella Pentecoste, testo canonicamente letto a scuola, a proposito della chiesa nella sua stori iniziale "il tuo Re, dai perfidi tratto a morir sul colle". Bernardo Puleio
2."Nel corso degli anni che ho vissuto a Cadaqués ho visto come a un amico ebreo avevano dipinto una svastica sulla sua casa; ho sentito una pittrice che diceva agli amici: 'attenti, quelli pericolosi sono gli ebrei'. A un cameriere capita di vedere un turista con la kippah e dice: 'se avessi una bomba!'; il proprietario di un bar sputa un "fottuto ebreo!" nei confronti di un cliente che non consumava abbastanza. Ho chiesto a un pittore uruguaiano se si era trovato con un amico comune a Miami: 'No, è troppo ebreo'. Un altro gruppo di uruguaiani dice: 'gli ebrei potranno avere i soldi, ma quello che non hanno è classe.' Eccetera, eccetera, eccetera. Tutto questo accade su quell'isola di lotofagi che è Cadaqués. Nel frattempo sparano contro gli ebrei in Belgio, ebrei francesi cominciano a scappare dalla Francia perché hanno paura, i neo-nazisti erano al governo in Ucraina fino a poche settimane fa, in Ungheria sono ancora al potere. Non si può essere indifferenti, non si può rimanere inattivi, è troppo grave, ci sono dei precedenti mostruosi." Enrique Irazoqui