27 maggio 2014

IL SESSO RACCONTATO






Gli scrittori italiani che parlano di sesso

 
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di Stefano Guerriero


1889
“Egli si levò; le prese le mani; la trasse nell’altra stanza. Ella obedì. Nel letto, smarrita, sbigottita, innanzi al cupo ardore del forsennato, ella gridava: «Ma che hai? Ma che hai? ». Ella voleva guardarlo negli occhi, conoscere quella follia; ed egli nascondeva il viso, perdutamente, nel seno, nel collo, ne’ capelli di lei, ne’ guanciali.”
 2003
“E mentre ero in ostaggio della perizia tecnica di Agota e accompagnavo il suo culo pneumatico colpo dopo colpo solo per mostrare il contrario, ho realizzato di essere senza preservativo e mi sono subito vergognato per quanto offensivo fosse un simile pensiero nei confronti di quella bellissima bambola senza sorriso che sicuramente doveva aver pensato la stessa cosa, ma poi, per non offendermi, mi aveva accolto così, senza. Vergognati, il preservativo. E sentivo le pareti della vagina stringersi come ganasce e tornare docili, lattiginose, dopo ogni spasmo.”
 2008
“Così alla fine, quando vede che non ne posso proprio più di continuare a trattenermi, allora questo orgasmo che allontana quando è sul punto di venire e avvicina quando è sul punto di farlo andare via, lo accoglie fino in fondo, e nonostante io sia lì, in pratica quasi non esisto più, esiste il mio cazzo e i miei colpi e il suo corpo che si muove con sapienza e incoscienza allo stesso tempo, senza più controllo ma con la razionalità di essere stato portato fin lì. Valeria viene con una serie di spasimi che appaiono dolorosi per quanto sono profondi.” 
 2012
“Non è bagnata, brutto segno; maledetta, riesce a far apparire come una concessione quel che ho ampiamente comprato. Keep calm and carry. L’ha leccata all’interno delle cosce, le ha stretto a lungo il clitoride tra le labbra; piccoli schiaffetti sulle natiche, un dito subito respinto; le ha guidato la mano perché si masturbasse da sola, è uscito ed è rientrato cercando l’angolo di incidenza più favorevole – per lei, voleva a tutti i costi portarla all’orgasmo. Sentiva la vagina contrarsi ma solo d’affetto, mentre lei gli contava le cicatrici; non osava un pompaggio violento, tutto era meraviglioso ma inutile.”


Che cosa è successo? Quando gli spasimi della vagina sono diventati narrativamente più interessanti di quelli del cuore? E perché? Perché pagine e pagine sono dedicate a ciò che in altre epoche letterarie finiva nell’ellissi e nella reticenza? Perché tanta dettagliatezza fisioanatomica? È solo un benefico processo di smascheramento di falsi assoluti, quello che sostituisce “il cupo ardore del forsennato” anno 1889, con l’incontro di fisiologie contemporaneo?
Lontani i tempi di Stendhal: “Qualche ora dopo, quando Julien uscì dalla camera di madame de Rênal, si sarebbe potuto dire, en style de roman, che non ci fosse più nient’altro da desiderare.” Un gentiluomo che sa e tace, eppure, nonostante questo silenzio, il tema forse maggiore di Il rosso e il nero è proprio il desiderio (un effetto impossibile da realizzare oggi per un romanzo che fosse altrettanto taciturno sugli eventi della camera da letto). Ma lontani anche i tempi di Proust, delle sue articolatissime metafore floreali, in cui la complessità del meccanismo sembra più importante, o quanto meno più bello, dello spostamento del polline in sé (che avviene generalmente a mezzo di calabrone). Il narratore della Recherche, grande esperto di desiderio e di gelosia, può ancora permettersi di dire che “sotto l’apparenza della donna, ci rivolgiamo in realtà alle forze invisibili accessoriamente unite a lei, come a oscure divinità”.
Se oggi la proliferazione di scene sessuali dettagliate ci lascia indifferenti, negli anni Ottanta avrebbe avuto dotti convegni dedicati e molteplici metodi di indagine. Si può immaginare che cosa si sarebbe detto con un approccio storico-contenutistico: “precursore del passaggio dall’erotismo alla sessualità nel romanzo è sicuramente Moravia, sia negli anni Trenta con Gli indifferenti,che si allontana dalle cineserie dannunziane, sia negli anni Sessanta, soprattutto con La noia. Ma sono gli anni Ottanta che danno inizio a un nuovo periodo del romanzo anche da questo punto di vista, dopo i liberatori anni sessanta e settanta, dopo l’ultimo Pasolini, dopo i giochi metaletterari di Arbasino tra sperimentazione linguistica e resa mimetico-referenziale, dopo il caso Porci con le ali e la letteratura selvaggia. Altri libertini di Tondelli e il Seminario sulla gioventù di Busi inaugurano un altro livello nella tematizzazione del sesso, e tuttavia quel livello è ben diverso da quello attuale: nell’erotismo trasgressivo e borderline di Tondelli o nella cupa disperazione di Busi si sente una componente di rivolta, assente dagli spasimi narrativi attualmente prevalenti. Nel presente, si sente piuttosto il bisogno di stupire un pubblico assuefatto, il languore di formalismi alessandrini: languore e assuefazione che sembrano divenire prevalenti a partire dal nuovo millennio, dal tempo di internet.”
O che cosa si sarebbe detto con un approccio tecnico-formale: “a partire dal Novecento, i frammenti vengono in primo piano, si perde di vista la totalità, perché essa è diventata inconoscibile. Dopo il modernismo, si perde il senso delle gerarchie, la narrazione non può più essere ordinata. Se prima intorno a un nucleo tematico si organizzavano più satelliti, adesso satelliti diversi coesistono nella pagina, vagano come particelle dal moto imprevedibile. I particolari, i dettagli (anche fisiologici), acquistano un’importanza enorme, diventano depositari autonomi di verità. Anche il cinema, il fumetto, le arti moderne per eccellenza, procedono per tagli e dettagli, a cui poi il montaggio si incarica di dare senso. Il quadro d’insieme si perde però, non siamo più nell’ingenuo Ottocento che pretende di spiegare tutto, siamo nella complicata modernità, ci sono solo brevi illuminazioni, epifanie, flashes, brandelli di informazione, bites di verità che si conservano nella catastrofe. Dettagli che fanno intuire una perduta unità.” Ma troppa teoria forse nobilita eccessivamente il fenomeno: se le cose stanno così, la pornografia ha soppiantato da tempo le avanguardie artistiche: è nella pornografia che il dettaglio è sempre in primo piano e, a forza di dettagli in primo piano, non si ha più nostalgia dell’unità perduta, della figura umana nella sua completezza (nuda o vestita che sia).
Nel lontano ’47, in un articolo sulla “Fiera letteraria”, un Moravia che protesta giustamente contro gli arbìtri della censura può dire: “nella vita, l’atto sessuale c’è e se non ci fosse non ci sarebbe la vita. Io voglio che il mio libro sia completo come la vita, ecco tutto”. In un paese che tra l’altro deve ancora conoscere le gemelle Kessler simbolo di erotismo e il film Dottor Zivago vietato ai minori perché parla di adulterio, l’esigenza di Moravia è sacrosanta; ma lo porta a un esempio decisamente infelice: è la volontà di censura, di non volere l’atto sessuale nel suo libro, che renderebbe il Manzoni dei Promessi sposi inverosimile, irritante, inutile (“avete mai capito perché don Rodrigo si accanisce tanto a voler far sua Lucia?”). Brancati non si lascia scappare la scemenza moraviana (più che un ragionamento, un banale tentativo di sconvolgere casti ricordi scolastici) e nel suo Diario romano osserva: “unico movente la libidine? E la scommessa col cugino? È il suo prestigio di potente che è in giuoco”. La libidine di don Rodrigo non è dettagliata perché altro è trattato nel dettaglio da Manzoni: l’esercizio e l’ossessione della forza e del potere; e i due temi–libidine e potere – sono all’epoca ancora antagonisti. Si uniranno in seguito, ma in Moravia c’è già il rischio – o la pretesa – di parlare solo di libidine, pretendendo che si tratti di potere.
 È l’Ottocento romantico che aveva promosso a sfondo della letteratura la vita, “a fondamento del pubblico successo l’esemplarità nel bene o nel male del privato” (di un privato sempre più privato con il passare del tempo, e quindi sempre più pubblico). Praz, raffinato cacciatore di perversioni in La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, ha osservato che “in nessun altro precedente periodo letterario, il sesso è mai stato così ostensibilmente al centro delle opere di fantasia”. La sessualità esce dagli enfers dove si nascondevano i libri proibiti di Sade, per collocarsi en plein air sugli scaffali della libreria buona. Per il grande critico, le ragioni dell’ostensione, dei libri in biblioteca e della sessualità nei libri, sarebbero da ricercare non tanto o non solo nel temperamento dei singoli autori, ma anche nella moda del tempo (la moda che si legherà pure ai mutamenti della società, ma è soprattutto, si sa, sorella della morte). Uno degli effetti collaterali del meccanismo della moda è l’iperbole. Oggi, nella letteratura cosiddetta “forte” (e meno in quella di intrattenimento o di consumo…), il sesso è irrinunciabile e sempre più acrobatico e virtuosistico, come in un film giallo il topos dell’inseguimento in macchina è sempre più acrobatico e improbabile (ma come fanno a guidare così?). E il dettaglio acrobatico prevale non solo nei romanzi che tematizzano il desiderio erotico e sono costruiti intorno ad esso, ma c’è sempre, sia pure per poche pagine in una storia che parla d’altro: ci deve essere, direbbe Totò, a prescindere.
Ma se Praz inseguiva le perversioni polimorfe e il “vizio inglese” dei romantici, oggi tutto il polimorfismo sembra ridursi sotto il segno della dinamica narcisismo dell’autore/voyeurismo del lettore, unica veniale perversione a due di fronte al fantasma della letteratura, in cui realtà e finzione, sincerità e menzogna restano inestricabili, nonostante l’autofiction o l’ispirazione autobiografica (e nonostante i diversi fini a cui autofiction e biografismo possono mirare. Per restare agli esempi qui citati: dalla messa in scena di un ego straordinario e unico in Covacich – esempio 2003 –, alla rappresentazione di un io esemplare perché si ritiene fatto della stessa materia di cui sono fatti tutti – Piccolo 2008; vedi a conferma anche Il desiderio di essere come tutti, appena uscito –; al piacere divertito e nichilista di épater le bourgeois, che caratterizzaSiti 2012).
Gianluigi Simonetti, che del desiderio nella narrativa del nuovo secolo ha costruito un ritratto veramente mirabile (Come e cosa desidera la narrativa italiana degli anni Zero, www.between-journal.it), distingue tra un desiderio considerato autentico e vincente nella letteratura di consumo (Volo, eccetera), un desiderio autentico e perdente nella letteratura di “nobile intrattenimento” (Mazzantini, eccetera) e un desiderio di cui viene messa in discussione l’autenticità e che viene equiparato al desiderio di beni materiali nella letteratura “forte” (Siti, eccetera).
Il quadro è suggestivo e convincente, ma forse il finale sempre tragico della letteratura forte, la mancanza di lieto fine che inviterebbe il lettore a meditare sulla natura del proprio desiderio, non vanno sopravvalutati. Anche nelle Relazioni pericolose di Laclos, alla fine il desiderio libertinoè duramente castigato, e così in tanti romanzi gotici e del romanticismo nero; ciò non toglie che per buona parte del tempo esso si prenda la ribalta del palcoscenico (“guardate come viene castigato il vizio” è il trucco del libertino romantico per poter parlare di vizio, magari aggiungendo un pizzico di sadismo). Se di sesso “nudo”, per così dire, e generalmente privo di abbellimenti sentimentali o orpelli metaforici, si parla soprattutto nella letteratura “forte”, viene il dubbio che essa forse stia rischiando di diventare nient’altro che ciò che leggono i lettori forti quando non leggono pornografia.
Lo smascheramento del desiderio ipertrofico di cui parlano Piccolo, Siti e altri, la morale implicita nella letteratura forte, sanno a tratti di ipocrisia: assomigliano al fumatore che ha appena smesso di fumare e non parla che dei danni del tabagismo, pregustandosi segretamente il piacere della resa alla prossima sigaretta. Il desiderio denunciato è come la balena assente di Swift, come l’elefante di Lakoff (“non pensare all’elefante!”: come me lo dicono, penso all’elefante).
Se parlano sempre di desiderio reificato è per dire che dalla degradazione nasce la purezza? Dal letame i fiori? O forse è piuttosto un invito a sostare nell’impurità? Il dubbio è del resto legittimo anche per queste brevi note. C’è ancora, comunque, una paradossale impronta dannunziana: in fondo anche D’Annunzio, da Andrea Sperelli in poi, metteva in scena eroi sconfitti nel loro desiderio, continuando però ad essere il cantore del desiderio, nell’arte e nel suo vivere inimitabile.
 Quello che è certo però è che si è passati dalla rappresentazione di una sessualità repressa, e poi trasgressiva e liberatoria (tra l’inizio del romanticismo e gli anni Settanta del Novecento), alla rappresentazione di una sessualità non liberata, ma piuttosto annoiata, ossessivamente annoiata. La crescita della scandalosità sulla pagina è però inversamente proporzionale allo scandalo effettivo che quelle pagine danno nella loro ricezione dentro la società del proprio tempo. Il piacere (1889), da cui è tratta la prima citazione, contribuisce a creare un’aura di leggenda intorno al suo autore, quel D’Annunzio oggetto della riprovazione e della curiosa prurigine dell’Italia fin de siècle. Resistere non serve a niente (2012) ha vinto il premio Strega, rassicurante riconoscimento dell’establishment letterario e garanzia di affidabilità (le attempate signore borghesi leggono sempre l’ultimo premiato, magari nella loro poltrona e in calzerotti di lana).
Sarà per questo che nelle grandi città proliferano i sexy shop? Walter Siti per gli intellettuali e sexy shop per il popolo? Negozi dagli ingressi anodini che sembrano distributori di sigarette o preservativi, negozi di quartiere, che si collocano tra il bengalese che vende frutta e verdura e i bazar dei cinesi (e il gestore: sarà italiano come il venditore di sigarette elettroniche? L’occidentale coltiva ormai vizi giudiziosi). “Perché il desiderio non sia mai spento”, il memorabile slogan pubblicitario di un sexy shop che campeggia su una strada romana, fa pensare a un altro segno dei tempi: il nuovo pseudoreality che la pornostar Rocco Siffredi presenta su un canale Sky, un “intrattenimento ‘terapeutico’ su uno dei principali motivi di crisi nella coppia, il calo del desiderio, condotto dal simbolo dell’eros nel mondo” (simbolo che, in un’intervista giornalistica di lancio della trasmissione, rivendica di essere sempre stato percepito dalle donne come un grande romantico).
È di un paese in cui ormai al desiderio ci pensa Rocco, che parla ormai la letteratura forte? Viene in mente il bel dialogo che nell’ultimo libro (autofiction? saggio? romanzo?) di Antonio Pascale, Le attenuanti sentimentali, pronuncia proprio una regista specializzata nel genere del novello conduttore televisivo: “un’opera d’arte per prima cosa deve essere vera, per essere vera deve essere autobiografica e se fai un buon uso dell’autobiografia allora fai anche un’operazione come dire… politica. (…) Il porno è finto, d’accordo, ma non è quello in ultima analisi il problema, il problema è che forma una generazione di uomini che prende per buono tutto quello vede”.


 [Questo articolo  è stato  pubblicato anche  da «Lo Straniero» (n. 167, maggio 2014)].

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