Gli scrittori italiani che parlano di sesso
26 maggio 2014
di Stefano Guerriero
1889
“Egli si levò; le prese le mani; la
trasse nell’altra stanza. Ella obedì. Nel letto, smarrita, sbigottita,
innanzi al cupo ardore del forsennato, ella gridava: «Ma che hai? Ma che
hai? ». Ella voleva guardarlo negli occhi, conoscere quella follia; ed
egli nascondeva il viso, perdutamente, nel seno, nel collo, ne’ capelli
di lei, ne’ guanciali.”
2003
“E mentre ero in ostaggio della perizia
tecnica di Agota e accompagnavo il suo culo pneumatico colpo dopo colpo
solo per mostrare il contrario, ho realizzato di essere senza
preservativo e mi sono subito vergognato per quanto offensivo fosse un
simile pensiero nei confronti di quella bellissima bambola senza sorriso
che sicuramente doveva aver pensato la stessa cosa, ma poi, per non
offendermi, mi aveva accolto così, senza. Vergognati, il preservativo. E
sentivo le pareti della vagina stringersi come ganasce e tornare
docili, lattiginose, dopo ogni spasmo.”
2008
“Così alla fine, quando vede che non ne
posso proprio più di continuare a trattenermi, allora questo orgasmo che
allontana quando è sul punto di venire e avvicina quando è sul punto di
farlo andare via, lo accoglie fino in fondo, e nonostante io sia lì, in
pratica quasi non esisto più, esiste il mio cazzo e i miei colpi e il
suo corpo che si muove con sapienza e incoscienza allo stesso tempo,
senza più controllo ma con la razionalità di essere stato portato fin
lì. Valeria viene con una serie di spasimi che appaiono dolorosi per
quanto sono profondi.”
2012
“Non è bagnata, brutto segno; maledetta,
riesce a far apparire come una concessione quel che ho ampiamente
comprato. Keep calm and carry. L’ha leccata all’interno delle cosce, le
ha stretto a lungo il clitoride tra le labbra; piccoli schiaffetti sulle
natiche, un dito subito respinto; le ha guidato la mano perché si
masturbasse da sola, è uscito ed è rientrato cercando l’angolo di
incidenza più favorevole – per lei, voleva a tutti i costi portarla
all’orgasmo. Sentiva la vagina contrarsi ma solo d’affetto, mentre lei
gli contava le cicatrici; non osava un pompaggio violento, tutto era
meraviglioso ma inutile.”
Che cosa è successo? Quando gli spasimi
della vagina sono diventati narrativamente più interessanti di quelli
del cuore? E perché? Perché pagine e pagine sono dedicate a ciò che in
altre epoche letterarie finiva nell’ellissi e nella reticenza? Perché
tanta dettagliatezza fisioanatomica? È solo un benefico processo di
smascheramento di falsi assoluti, quello che sostituisce “il cupo ardore
del forsennato” anno 1889, con l’incontro di fisiologie contemporaneo?
Lontani i tempi di Stendhal: “Qualche ora dopo, quando Julien uscì dalla camera di madame de Rênal, si sarebbe potuto dire, en style de roman,
che non ci fosse più nient’altro da desiderare.” Un gentiluomo che sa e
tace, eppure, nonostante questo silenzio, il tema forse maggiore di Il rosso e il nero è
proprio il desiderio (un effetto impossibile da realizzare oggi per un
romanzo che fosse altrettanto taciturno sugli eventi della camera da
letto). Ma lontani anche i tempi di Proust, delle sue articolatissime
metafore floreali, in cui la complessità del meccanismo sembra più
importante, o quanto meno più bello, dello spostamento del polline in sé
(che avviene generalmente a mezzo di calabrone). Il narratore della Recherche,
grande esperto di desiderio e di gelosia, può ancora permettersi di
dire che “sotto l’apparenza della donna, ci rivolgiamo in realtà alle
forze invisibili accessoriamente unite a lei, come a oscure divinità”.
Se oggi la proliferazione di scene
sessuali dettagliate ci lascia indifferenti, negli anni Ottanta avrebbe
avuto dotti convegni dedicati e molteplici metodi di indagine. Si può
immaginare che cosa si sarebbe detto con un approccio
storico-contenutistico: “precursore del passaggio dall’erotismo alla
sessualità nel romanzo è sicuramente Moravia, sia negli anni Trenta con Gli indifferenti,che si allontana dalle cineserie dannunziane, sia negli anni Sessanta, soprattutto con La noia.
Ma sono gli anni Ottanta che danno inizio a un nuovo periodo del
romanzo anche da questo punto di vista, dopo i liberatori anni sessanta e
settanta, dopo l’ultimo Pasolini, dopo i giochi metaletterari di
Arbasino tra sperimentazione linguistica e resa mimetico-referenziale,
dopo il caso Porci con le ali e la letteratura selvaggia. Altri libertini di Tondelli e il Seminario sulla gioventù di
Busi inaugurano un altro livello nella tematizzazione del sesso, e
tuttavia quel livello è ben diverso da quello attuale: nell’erotismo
trasgressivo e borderline di Tondelli o nella cupa disperazione di Busi
si sente una componente di rivolta, assente dagli spasimi narrativi
attualmente prevalenti. Nel presente, si sente piuttosto il bisogno di
stupire un pubblico assuefatto, il languore di formalismi alessandrini:
languore e assuefazione che sembrano divenire prevalenti a partire dal
nuovo millennio, dal tempo di internet.”
O che cosa si sarebbe detto con un
approccio tecnico-formale: “a partire dal Novecento, i frammenti vengono
in primo piano, si perde di vista la totalità, perché essa è diventata
inconoscibile. Dopo il modernismo, si perde il senso delle gerarchie, la
narrazione non può più essere ordinata. Se prima intorno a un nucleo
tematico si organizzavano più satelliti, adesso satelliti diversi
coesistono nella pagina, vagano come particelle dal moto imprevedibile. I
particolari, i dettagli (anche fisiologici), acquistano un’importanza
enorme, diventano depositari autonomi di verità. Anche il cinema, il
fumetto, le arti moderne per eccellenza, procedono per tagli e dettagli,
a cui poi il montaggio si incarica di dare senso. Il quadro d’insieme
si perde però, non siamo più nell’ingenuo Ottocento che pretende di
spiegare tutto, siamo nella complicata modernità, ci sono solo brevi
illuminazioni, epifanie, flashes, brandelli di informazione, bites di
verità che si conservano nella catastrofe. Dettagli che fanno intuire
una perduta unità.” Ma troppa teoria forse nobilita eccessivamente il
fenomeno: se le cose stanno così, la pornografia ha soppiantato da tempo
le avanguardie artistiche: è nella pornografia che il dettaglio è
sempre in primo piano e, a forza di dettagli in primo piano, non si ha
più nostalgia dell’unità perduta, della figura umana nella sua
completezza (nuda o vestita che sia).
Nel lontano ’47, in un articolo sulla
“Fiera letteraria”, un Moravia che protesta giustamente contro gli
arbìtri della censura può dire: “nella vita, l’atto sessuale c’è e se
non ci fosse non ci sarebbe la vita. Io voglio che il mio libro sia
completo come la vita, ecco tutto”. In un paese che tra l’altro deve
ancora conoscere le gemelle Kessler simbolo di erotismo e il film Dottor Zivago
vietato ai minori perché parla di adulterio, l’esigenza di Moravia è
sacrosanta; ma lo porta a un esempio decisamente infelice: è la volontà
di censura, di non volere l’atto sessuale nel suo libro, che renderebbe
il Manzoni dei Promessi sposi inverosimile, irritante, inutile
(“avete mai capito perché don Rodrigo si accanisce tanto a voler far sua
Lucia?”). Brancati non si lascia scappare la scemenza moraviana (più
che un ragionamento, un banale tentativo di sconvolgere casti ricordi
scolastici) e nel suo Diario romano osserva: “unico movente la
libidine? E la scommessa col cugino? È il suo prestigio di potente che è
in giuoco”. La libidine di don Rodrigo non è dettagliata perché altro è
trattato nel dettaglio da Manzoni: l’esercizio e l’ossessione della
forza e del potere; e i due temi–libidine e potere – sono all’epoca
ancora antagonisti. Si uniranno in seguito, ma in Moravia c’è già il
rischio – o la pretesa – di parlare solo di libidine, pretendendo che si
tratti di potere.
È l’Ottocento romantico che aveva
promosso a sfondo della letteratura la vita, “a fondamento del pubblico
successo l’esemplarità nel bene o nel male del privato” (di un privato
sempre più privato con il passare del tempo, e quindi sempre più
pubblico). Praz, raffinato cacciatore di perversioni in La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica,
ha osservato che “in nessun altro precedente periodo letterario, il
sesso è mai stato così ostensibilmente al centro delle opere di
fantasia”. La sessualità esce dagli enfers dove si nascondevano i libri proibiti di Sade, per collocarsi en plein air
sugli scaffali della libreria buona. Per il grande critico, le ragioni
dell’ostensione, dei libri in biblioteca e della sessualità nei libri,
sarebbero da ricercare non tanto o non solo nel temperamento dei singoli
autori, ma anche nella moda del tempo (la moda che si legherà pure ai
mutamenti della società, ma è soprattutto, si sa, sorella della morte).
Uno degli effetti collaterali del meccanismo della moda è l’iperbole.
Oggi, nella letteratura cosiddetta “forte” (e meno in quella di
intrattenimento o di consumo…), il sesso è irrinunciabile e sempre più
acrobatico e virtuosistico, come in un film giallo il topos
dell’inseguimento in macchina è sempre più acrobatico e improbabile (ma
come fanno a guidare così?). E il dettaglio acrobatico prevale non solo
nei romanzi che tematizzano il desiderio erotico e sono costruiti
intorno ad esso, ma c’è sempre, sia pure per poche pagine in una storia
che parla d’altro: ci deve essere, direbbe Totò, a prescindere.
Ma se Praz inseguiva le perversioni
polimorfe e il “vizio inglese” dei romantici, oggi tutto il polimorfismo
sembra ridursi sotto il segno della dinamica narcisismo
dell’autore/voyeurismo del lettore, unica veniale perversione a due di
fronte al fantasma della letteratura, in cui realtà e finzione,
sincerità e menzogna restano inestricabili, nonostante l’autofiction o
l’ispirazione autobiografica (e nonostante i diversi fini a cui
autofiction e biografismo possono mirare. Per restare agli esempi qui
citati: dalla messa in scena di un ego straordinario e unico in Covacich
– esempio 2003 –, alla rappresentazione di un io esemplare perché si
ritiene fatto della stessa materia di cui sono fatti tutti – Piccolo
2008; vedi a conferma anche Il desiderio di essere come tutti, appena uscito –; al piacere divertito e nichilista di épater le bourgeois, che caratterizzaSiti 2012).
Gianluigi Simonetti, che del desiderio nella narrativa del nuovo secolo ha costruito un ritratto veramente mirabile (Come e cosa desidera la narrativa italiana degli anni Zero,
www.between-journal.it), distingue tra un desiderio considerato
autentico e vincente nella letteratura di consumo (Volo, eccetera), un
desiderio autentico e perdente nella letteratura di “nobile
intrattenimento” (Mazzantini, eccetera) e un desiderio di cui viene
messa in discussione l’autenticità e che viene equiparato al desiderio
di beni materiali nella letteratura “forte” (Siti, eccetera).
Il quadro è suggestivo e convincente, ma
forse il finale sempre tragico della letteratura forte, la mancanza di
lieto fine che inviterebbe il lettore a meditare sulla natura del
proprio desiderio, non vanno sopravvalutati. Anche nelle Relazioni pericolose di
Laclos, alla fine il desiderio libertinoè duramente castigato, e così
in tanti romanzi gotici e del romanticismo nero; ciò non toglie che per
buona parte del tempo esso si prenda la ribalta del palcoscenico
(“guardate come viene castigato il vizio” è il trucco del libertino
romantico per poter parlare di vizio, magari aggiungendo un pizzico di
sadismo). Se di sesso “nudo”, per così dire, e generalmente privo di
abbellimenti sentimentali o orpelli metaforici, si parla soprattutto
nella letteratura “forte”, viene il dubbio che essa forse stia
rischiando di diventare nient’altro che ciò che leggono i lettori forti
quando non leggono pornografia.
Lo smascheramento del desiderio
ipertrofico di cui parlano Piccolo, Siti e altri, la morale implicita
nella letteratura forte, sanno a tratti di ipocrisia: assomigliano al
fumatore che ha appena smesso di fumare e non parla che dei danni del
tabagismo, pregustandosi segretamente il piacere della resa alla
prossima sigaretta. Il desiderio denunciato è come la balena assente di
Swift, come l’elefante di Lakoff (“non pensare all’elefante!”: come me
lo dicono, penso all’elefante).
Se parlano sempre di desiderio reificato
è per dire che dalla degradazione nasce la purezza? Dal letame i fiori?
O forse è piuttosto un invito a sostare nell’impurità? Il dubbio è del
resto legittimo anche per queste brevi note. C’è ancora, comunque, una
paradossale impronta dannunziana: in fondo anche D’Annunzio, da Andrea
Sperelli in poi, metteva in scena eroi sconfitti nel loro desiderio,
continuando però ad essere il cantore del desiderio, nell’arte e nel suo
vivere inimitabile.
Quello che è certo però è che si è
passati dalla rappresentazione di una sessualità repressa, e poi
trasgressiva e liberatoria (tra l’inizio del romanticismo e gli anni
Settanta del Novecento), alla rappresentazione di una sessualità non
liberata, ma piuttosto annoiata, ossessivamente annoiata. La crescita
della scandalosità sulla pagina è però inversamente proporzionale allo
scandalo effettivo che quelle pagine danno nella loro ricezione dentro
la società del proprio tempo. Il piacere (1889), da cui è
tratta la prima citazione, contribuisce a creare un’aura di leggenda
intorno al suo autore, quel D’Annunzio oggetto della riprovazione e
della curiosa prurigine dell’Italia fin de siècle. Resistere non serve a niente (2012)
ha vinto il premio Strega, rassicurante riconoscimento
dell’establishment letterario e garanzia di affidabilità (le attempate
signore borghesi leggono sempre l’ultimo premiato, magari nella loro
poltrona e in calzerotti di lana).
Sarà per questo che nelle grandi città
proliferano i sexy shop? Walter Siti per gli intellettuali e sexy shop
per il popolo? Negozi dagli ingressi anodini che sembrano distributori
di sigarette o preservativi, negozi di quartiere, che si collocano tra
il bengalese che vende frutta e verdura e i bazar dei cinesi (e il
gestore: sarà italiano come il venditore di sigarette elettroniche?
L’occidentale coltiva ormai vizi giudiziosi). “Perché il desiderio non
sia mai spento”, il memorabile slogan pubblicitario di un sexy shop che
campeggia su una strada romana, fa pensare a un altro segno dei tempi:
il nuovo pseudoreality che la pornostar Rocco Siffredi presenta su un
canale Sky, un “intrattenimento ‘terapeutico’ su uno dei principali
motivi di crisi nella coppia, il calo del desiderio, condotto dal
simbolo dell’eros nel mondo” (simbolo che, in un’intervista
giornalistica di lancio della trasmissione, rivendica di essere sempre
stato percepito dalle donne come un grande romantico).
È di un paese in cui ormai al desiderio
ci pensa Rocco, che parla ormai la letteratura forte? Viene in mente il
bel dialogo che nell’ultimo libro (autofiction? saggio? romanzo?) di
Antonio Pascale, Le attenuanti sentimentali, pronuncia proprio
una regista specializzata nel genere del novello conduttore televisivo:
“un’opera d’arte per prima cosa deve essere vera, per essere vera deve
essere autobiografica e se fai un buon uso dell’autobiografia allora fai
anche un’operazione come dire… politica. (…) Il porno è finto,
d’accordo, ma non è quello in ultima analisi il problema, il problema è
che forma una generazione di uomini che prende per buono tutto quello vede”.
[Questo articolo è stato pubblicato anche da «Lo Straniero» (n. 167, maggio 2014)].
Nessun commento:
Posta un commento